Cari amici ed amiche.
Leggete l'articolo de "Il Giornale" che è intitolato "Vogliono arrestare il direttore: Sallusti rischia 14 mesi in cella".
Proprio così, il direttore del succitato quotidiano rischia quattordici mesi di carcere perché accusato di diffamazione a mezzo stampa.
Questo è il succitato articolo che spiega tutto:
" L'udienza in Cassazione è fissata per
mercoledì prossimo. Se la Suprema Corte respingerà il ricorso presentato
dai suoi legali, la sera stessa - o al più tardi la mattina successiva -
il direttore responsabile del Giornale Alessandro Sallusti verrà
arrestato e rinchiuso in carcere per scontare la condanna emessa il 17
giugno dell'anno scorso dalla Corte d'appello di Milano: un anno e due
mesi di carcere senza condizionale, per diffamazione a mezzo stampa.
A querelare Sallusti, e a ottenere nei suoi confronti una pena di una durezza senza precedenti, è stato un magistrato.
A dire il vero, in primo grado il giudice aveva ottenuto scarsa
soddisfazione: Sallusti era stato condannato ad una pena modesta, una
ammenda di cinquemila euro. Ma il magistrato non si è accontentato. E
neanche la Procura di Milano. Hanno fatto appello, chiedendo che
Sallusti venisse punito più duramente. E la prima sezione della Corte
d'appello ha accolto in pieno le richieste della presunta vittima e del
pm. Un anno e due mesi di carcere: senza sospensione condizionale.
Quattordici mesi da trascorrere dietro le sbarre.
Nelle carte che la Cassazione dovrà esaminare mercoledì' prossimo per
decidere se inviare effettivamente al fresco il direttore del Giornale
spiccano due elementi di un certo rilievo. Il primo è che nell'articolo
in questione il nome del magistrato-querelante non viene mai citato,
neppure per allusioni o giri di parole. Ciò nonostante il giudice si è
sentito diffamato, e i suoi colleghi gli hanno dato ragione. La seconda
singolarità è che l'articolo querelato non è stato né scritto né firmato
da Sallusti. Eppure, senza che la Procura abbia compiuto alcuna
indagine per individuare l'autore dell'articolo, la sentenza ne
attribuisce senza incertezze la paternità a Sallusti: che viene
processato e condannato non solo per «omesso controllo» - come accade
abitualmente ai direttori di giornale - ma direttamente per diffamazione
aggravata.
Rispetto ai tempi medi della giustizia, il processo al direttore del
Giornale è stato piuttosto spedito. Tutto comincia nel febbraio 2007,
quando sul quotidiano torinese La Stampa viene pubblicato un articolo
che nel giro di poche ore rinfocola le polemiche mai sopite intorno alla
legge sull'aborto. È la storia di una ragazzina di 13 anni, rimasta
incinta e autorizzata ad abortire dal tribunale di Torino: ma, dopo la
interruzione forzata della gravidanza, preda di scompensi emotivi
talmente pesanti da portarla al ricovero in un reparto di psichiatria.
Parte immediata la polemica, da una parte chi difende la scelta dei
giudici e degli assistenti sociali, dall'altra la Chiesa e il fronte
antiaborto si indignano: chi ha permesso a una bambina di abortire senza
esplorare altre strade? La notizia rimbalza sulle agenzie di stampa, e
l'indomani su diversi giornali. Compreso Libero, allora diretto da
Sallusti. Alla vicenda, il quotidiano dedica un articolo firmato dal
cronista Andrea Monticone, che racconta senza fronzoli la vicenda, e un
corsivo pesantemente critico firmato con lo pseudonimo di Dreyfus:
«Qui ora esagero. Ma prima domani di pentirmi, lo scrivo: se ci fosse la
pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo
sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice».
Né i genitori della ragazzina né i medici
si sentono diffamati dall'articolo di Monticone né dal corsivo di
Dreyfus. A inalberarsi è invece un magistrato torinese, Giuseppe
Cocilovo, in servizio presso l'ufficio del giudice tutelare, il cui nome
non è stato fatto né da La Stampa, né da Libero né dagli altri
giornali. Ma Cocilovo si sente chiamato in causa. Prende penna e carta
da bollo e deposita una querela contro il cronista e contro l'autore del
commento. Sallusti finisce sotto inchiesta: sia per «omesso controllo»,
cioè per avere permesso la pubblicazione dell'articolo di Monticone,
sia come supposto autore del commento firmato Dreyfus. Il 26 gennaio
2009 il tribunale di Milano condanna Monticone e Sallusti
rispettivamente a 5mila e 4mila euro di ammenda. Cocilovo e la procura
impugnano. E in appello, il 17 giugno 2011, arriva la batosta.
A Monticone viene inflitto un anno di
carcere: ma almeno al cronista vengono concessi la sospensione
condizionale della pena e la non menzione sul certificato penale. Per
Sallusti invece i giudici scelgono la linea dura, spiegata in appena
dieci righe di motivazione. Quattordici mesi di carcere. La condizionale
viene negata «ai sensi dell'articolo 133 del codice penale», e cioè -
oltre che per gli altri procedimenti penali subìti da Sallusti come
giornalista - a causa della sua «pericolosità» e dalla previsione che se
lasciato a piede libero potrebbe commettere altri reati. Su uno dei
punti cruciali, e cioè se sia lui l'autore dell'articolo incriminato, la
motivazione è sbrigativa: «Direttore responsabile del quotidiano Libero
e quindi da intendersi autore dell'articolo redazionale a firma
Dreyfus».".
Che dire?
A me sembra che l'Italia sia un Paese impazzito.
Quando i giornali parlano male del presidente Berlusconi, vi è diritto di cronaca.
Quando un giornale critica il comportamento di un magistrato, ecco che scatta la querela e si parla di attacco alle autorità.
Per quale motivo Sallusti sarebbe così pericoloso?
Tra l'altro, né i genitori della ragazzina che ha abortito né il ginecologo si sono sentiti diffamati.
Io penso che la giustizia debba fare il suo dovere con chi commette realmente i reati e non impuntarsi su certe cose o andare in ambiti non suoi.
Sono d'accordo con "Il Giornale"
I politici hanno una parte della colpa poiché non hanno cambiato una legge che andrebbe rivista.
Cordiali saluti.
The Liberty Bell of Italy, una voce per chi difende la libertà...dalla politica alla cultura...come i nostri amici americani, i quali ebbero occasione di udire la celebre campana di Philadelphia nel 1776, quando fu letta la celeberrima Dichiarazione di Indipendenza. Questa è una voce per chi crede nei migliori valori della nostra cultura.
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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino
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Il peggio della politica continua ad essere presente
Ringrazio un caro amico di questa foto.
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