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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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Visualizzazione post con etichetta Cultura e cucina. Mostra tutti i post
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domenica 3 maggio 2015

L'Anello di San Luigi Gonzaga

Cari amici ed amiche,

vi propongo un dolce tipico della zona nord della Provincia di Mantova, precisamente di Castiglione delle Stiviere.

venerdì 21 marzo 2014

Le radici ebraiche della "chisolina" mantovana




Cari amici ed amiche.

Qui, nella zona della Provincia di Mantova, si usa fare merenda con la schiacciatina, che in dialetto è chiamata "chisolina".

giovedì 2 maggio 2013

domenica 23 settembre 2012

Agriturismo "Le Caprette", un esempio di difesa della cultura del territorio mantovano

Cari amici ed amiche.

Gli agriturismi sono un esempio di difesa della cultura di un territorio.
Ve ne voglio citare uno che è in funzione qui nel mio Comune, Roncoferraro, in Provincia di Mantova.

giovedì 23 agosto 2012

American dinner

Cari amici ed amiche.

Qui in Italia, la cucina degli Stati Uniti d'America viene vista con vari stereotipi.
Il più classico di questi è quello dell'americano che mangia un cheeseburger con le patatine al fast food.
In realtà, dietro alla cucina americana ci sono tradizioni e culture importantissime e molto antiche.

venerdì 17 agosto 2012

Il pane "Challah"? E' una ricetta familiare!

Cari amici ed amiche.

Dal sito "Labna-amore in cucina", ho trovato questa ricetta di un pane ebraico, il pane "Challah".
Questa ricetta mi ha incuriosito.
Questa è la ricetta:



La challah è un pane molto simile al pain brioche, ma è un po’ meno dolce e più compatto.

[ricetta updatata al 06/07/2012 con le indicazioni della signora Garelik, che fa indubitabilmente la migliore challah che io abbia mai provato]

Per fare 8 grandi trecce di pane (challot) servono:

4 bicchieri di acqua tiepida
2 cubetti di lievito fresco o 20 g di lievito disidratato in grani o 2 bustine di lievito secco in polvere per pane
1 cucchiaio di zucchero
1 bicchiere di olio di semi leggero
1 bicchiere di zucchero
2 uova
2 cucchiai di sale
2 kg di farina
2 tuorli d’uovo per spennellare il pane
semi di sesamo o semi di papavero per decorare il pane

Sciogliete in una ciotola capiente il lievito con l’acqua tiepida (non calda!) e il primo cucchiaio di zucchero, poi fate riposare un paio di minuti per riattivare il lievito, specie se usate quello granuloso.
Aggiungete nella ciotola il resto dello zucchero, l’olio, il sale e le uova, dunque amalgamate il tutto; aggiungere poi anche la farina, ma lentamente, due bicchieri per volta.
Quando l’impasto diventa compatto e non si attacca più alle mani lavoratelo bene su un piano infarinato per una decina di minuti, poi trasferitelo in una ciotola leggermente unta e fatelo lievitare per un’ora coperto da un panno umido, almeno finchè non raddoppia.
Una volta che l’impasto è ben lievitato fate le forme (e se fate l’hafrashat – dico alle lettrici ebree! – ricordatevi di prelevare la parte di impasto necessaria!): la treccia semplice di tre rotoli è facilmente realizzabile e di sicuro effetto, mentre per le trecce complicate rimando all’efficacissimo tutorial di Belinda su YouTube, 5 strands challah bread.
Disponete le trecce o i nodini di impasto su teglie ricoperte di carta da forno e fate lievitare il tutto ancora mezz’ora.
A lievitazione ultimata, spennellate le challot con 2 tuorli diluiti in un po’ d’acqua e cospargetele di semi di sesamo o papavero, poi infornatele nel forno già caldo a 200°.
Fate cuocere le challot a 200° per una decina di minuti, poi abbassate la temperatura a 180° e fate cuocere per ancora una ventina di minuti; il tempo di cottura dipende dal forno (circa 25/30 minuti, di solito), ma si nota subito se la challah è cotta: acquista in superficie un bel colore, tra il marrone e il dorato, sprigionando un profumino che richiamerebbe anche la più sbadata delle cuoche…

Tradizionalmente, la challah si copre durante il kiddush e la benedizione con un panno finemente ricamato; quando la benedizione finisce, il capofamiglia spezza una delle challot in piccole parti, vi sparge sopra un po’ di sale e ne offre ai commensali. Tuttavia, la challah è un pane adatto a ogni occasione, sia ai pasti che per colazione e merenda.

P.S. Diffidate di chi mette in questa ricetta il burro invece dell’olio, o peggio il latte o lo yogurt! Nessun ebreo lo farebbe mai, perchè è vietato mescolare i derivati del latte con la carne e di Shabbat qualsiasi famiglia ebraica mangia senz’altro la carne!

Ora, io un prodotto simile l'ho già mangiato, anche se non professo religione ebraica.
In Sicilia, ci sono delle brioches molto simili.
Queste brioches sono semi-dolci che vengono mangiate con la granita o con la crema di nocciole, la famosa "Nutella". 
Io credo che la ricetta di queste brioches possa essere stata presa dalla tradizione ebraica, un po' come la "Sfogliata di Finale Emilia" o il Baccalà Fritto, della tradizione romana. 
Il cibo (specialmente il buon cibo) si sa è cultura.
Del resto, in Sicilia ci furono fiorenti comunità ebraiche.
Basti pensare a Messina, la città nel cui territorio affondano le radici della mia famiglia.
Forse, noi abbiamo attinto dalla cultura ebraica più di quanto si possa immaginare.
Forse, anche un dolce "cattolico" come il Pandoro può avere un retaggio ebraico. 
In fondo c'è una similitudine!
Anche per questo l'antisemitismo è stupido.
Cordiali saluti.  

domenica 29 luglio 2012

Visitate il Lazio!

Cari amici ed amiche.

Su Facebook ho trovato questa pagina molto interessante dedicata a Frascati.
Su questa pagina, ho visto questa bella immagine, con questa didascalia:

"Durante una gita ai "castelli romani", soprattutto d’estate in cerca di fresco, mangiando in una fraschetta di Ariccia o di Frascati, le coppiette sono una immancabile apertura. Le fraschette sono da sempre il punto di vendita istituzionale del vino sfuso e già nel ‘700 erano frequentate dai “fagottari” romani durante le famose “gite fuori porta” o le “ottobrate”. Fornivano soltanto il posto a sedere ed il vino, e spesso erano prive di cucina: per questo gli avventori si portavano da casa il classico “fagotto”, fatto con una tovaglia o una semplice pezza di stoffa annodata, nella quale erano riposte le pietanze cucinate in casa: in genere insalatiere con zuppe di legumi o pasta e fagioli, salumi, formaggi, frutta e pane. Negli ultimi decenni anche le fraschette dei castelli romani si sono “evolute” e, continuando a fornire il coperto ed il vino della casa, hanno iniziato a proporre anche antipasti (appunto salumi, formaggi, verdure grigliate, sott’olio o sott’aceto, olive condite) ma anche primi piatti come la Gricia, Cacio e pepe, Amatriciana, Carbonara, le fettuccine (o pappardelle) con ragù, sugo di castrato oppure di lepre o di cinghiale. A tutto questo ben di Dio faranno seguito (spesso non è previsto alcun secondo, vista la quantità degli antipasti e della pasta) le immancabili ciambellette al vino con la "Romanella", un vino frizzante e “traditore”, dolce o secco, rosso o bianco.".

Io non ho mai avuto il piacere di visitare Roma ed il Lazio.
Ci sono passato tante volte, per andare Sicilia, ma non ho mai avuto occasione di fermarmici.
Eppure, dovrebbe essere bello vedere i "mostri" di Bomarzo (in Provincia di Viterbo),  il bel borgo di Civita di Bagnoregio (in Provincia di Viterbo), Viterbo, Nazzano (in Provincia di Roma), Frascati (sempre in Provincia di Roma),  Anagni (la città in cui nel 1303 Papa Bonifacio VIII fu schiaffeggiato da Sciarra Colonna e Guglielmo di Nogaret, in Provincia di Frosinone), le abbazie di Fossanova (in Provincia di Latina), quelle di Montecassino e di Casamari (sempre in Provincia di Frosinone) e, naturalmente, Roma.
Il Lazio è costellato di luoghi e città ricche di storia e di cultura.
Basti pensare alla città di Viterbo, la città dei Papi, con la sua Festa di Santa Rosa che si tiene in settembre.
Inoltre, basti pensare ai prodotti tipici.
Uno di questi è il vino "Est Est Est", un vino della zona di Montefiascone, in Provincia di Viterbo.
Il suo nome deriva da un fatto avvenuto nel 1111.
In quell'occasione, Enrico V di Franconia, futuro imperatore del Sacro Romano Impero, stava andando a Roma, insieme al vescovo Johannes Defuk.
Questi era un intenditore di vini e andò con il suo coppiere Martino a visitare le locande per trovare il vino buono.
Essi ebbero un codice per identificarlo.
Se questi fosse entrato in una locanda e vi avesse trovato il vino buono, egli avrebbe dovuto scrivere "Est" che in latino significa "c'è".
Se il vino fosse stato molto buono, il coppiere avrebbe dovuto scrivere "Est Est".
Arrivati a Montefiascone, Martino assaggiò il vino e ne rimase così incantato da scrivere "Est Est Est!".
Da lì venne il nome.
Un altro prodotto tipico è la Porchetta di Ariccia, un maialino arrosto con spezie varie.
Io l'avevo assaggiata in un supermercato qui nel Mantovano ma non aveva la stessa fragranza che avrebbe potuto avere sul posto.
In compenso, ho mangiato sul posto la porchetta abruzzese, che è ottima.
Caratteristico è il Pane di Genzano, un pane artigianale prodotto a Genzano (Roma) che è ricoperto con il cruschello.
Molto interessante è il Gran Cacio di Morolo, una sorta di caciocavallo affumicato prodotto a Morolo, nel Frusinate.
Sono da assaggiare anche i Bucatini all'Amatriciana o i Carciofi alla Giudìa, piatti tipici della cucina romana.  
Questi sono solo alcuni dei prodotti del Lazio, una Regione ricca di tesori.
Cordiali saluti. 




mercoledì 25 luglio 2012

Il Matzo Kugel, un dolce di un'antica tradizione




Cari amici ed amiche.

Sul blog "Honey Never Spoils" ho trovato la ricetta del Matzo Kugel, un budino tipico di Israele che si fa nei periodi della Pasqua ebraica.
La ricetta è la seguente:

INGREDIENTS
6 broken matzo
2 cups orange juice
1/2 cup cold water
4 tablespoons butter
2 large apple
4 beaten eggs
1 cup sour cream
1/2 cup raisins
1 TSP cinnamon
1 TBSP sugar

Heat oven to 350.

Pour orange juice and water over matzo and let soak.






Peel and chop apples.




Melt butter and saute apples until soft.



Combine all ingredients except for sugar and cinnamon.





Pour into a greased 1 1/2 qt. casserole.



Sprinkle with cinnamon and sugar.



Bake 45 minutes or until brown.

Let stand for 10 minutes.

Serve with extra sour cream.





Questo budino viene fatto con il pane azzimo e con altri ingredienti molto antichi.
Addirittura, pare che la ricetta sia molto antica e che addirittura risalga.
A casa, ho un ricettario scritto da Lisa Biondi e distribuito dalla casa editrice "De Agostini".
Anche qui c'è una ricetta di questo dolce e gli ingredienti sono:

3 pani azzimi  (200 g),
165 g. di grasso d'oca o di rognone di bue tritato,
165 g. di zucchero biondo,
un pizzico di sale,
3 cucchiaini di cannella in polvere,
2 uova intere,
scorza di 1/2 limone grattugiata.

Per la crema:

2 tuorli d'uovo,
70 g di zucchero,
1 cucchiaino di fecola di patate,
165 g. di vino Malaga.

Procedimento:

Spezzettate i pani azzimi, bagnateli in acqua tiepida, strizzateli e metteteli in una terrina.
Dopo averli ben spappolati, mescolatevi il grasso, le uova, la cannella e metà della scorza di limone grattugiata.
Versate il composto a 3/4 di uno stampo da budino uno di grasso ed infarinato e fatelo cuocere coperto a bagnomaria per circa due ore.
Quando sarà quasi pronto, preparate la salsa nel seguente modo: in una casseruola mescolate i tuorli d'uovo, la rimanente scorza di limone, lo zucchero, la fecola e il vino.
Sempre rimestando, fate cuocere la crema su fuoco moderato finché sarà addensata, poi versatela sul budino che avrete sformato sul piatto da portata.

Questa ricetta è frutto di una tradizione molto antica.
Forse, anche Gesù Cristo potrebbe avere mangiato il Matzo Kugel.
Mi piacerebbe saperne di più.
Per dare un tocco di "italianità" suggerisco di sostituire il vino Malaga con lo Zibibbo, un tipico vino siciliano, il vino di una terra che amo.
Tra l'altro, anche in Sicilia si usa molto la cannella.
Cordiali saluti.


lunedì 9 luglio 2012

Storia della mozzarella


Cari amici ed amiche.

Oggi vi voglio parlare della storia di un simbolo della nostra gastronomia,  mozzarella.
Questo formaggio ha una storia molto antica.
Com'è noto, nel Medio Evo si iniziò a produrre il formaggio.
Esso serviva a fare in modo che il latte venisse conservato.
Ora, l'origine della mozzarella è molto complessa.
Nel VI secolo AD, in Italia iniziò a comparire il bufalo.
I Vandali, popolo germanico che si stabilì in Nord Africa, portarono i bufali attraverso la Sicilia.
I bufali, poi, vennero allevati Campania, una terra indicata ad essi.
Nel XII secolo, presso il monastero i San Lorenzo in Capua, i monaci offrivano in ristoro pane e "mozza",  formaggio a pasta filata.
Ciò è riportato in un documento di un tale monsignor Alicandri.
Il termine "mozzarella" nacque a Napoli.
Questo formaggio era considerato di scarso valore poiché non si poteva conservare.
Il termine "mozzarella" deriva da "mozzare" , il procedimento con cui veniva rotta la pasta filata.
Questo termine comparve poi in un ricettario del cuoco papale della corte papale Scappi che risale al 1570. 
Consumata nelle campagne della Campania, la mozzarella si diffuse in tutta Napoli grazie alle Tenute Reali  del Carditello.
Poi, si diffuse anche fuori dalla Campania, grazie alle ferrovie, con la creazione tra Napoli, Caserta ed Aversa della "Taverna", un mercato di latticini.
Fino a pochi anni fa, la mozzarella veniva conservata in foglie di mortella e giunco e in ceste di castagno e non in acqua.
Da un punto di vista microbiologico, la mozzarella può avere la seguente tipologia di batteri:
  1. Micobatteri.
  2. Colibatteri.
  3. Stafilococchi coagulasi positivi
  4. Lattobacilli.
  5. Streptococchi lattici. 

Questi batteri possono essere presenti in caso di cattiva igiene.
Alcuni di essi possono essere pericolosi.
Cito, ad esempio, lo Staphylococcus aureus, che è coagulasi positivo, la Salmonella typhi, la Salmonella typhimurium o la Yersinia Enterocolitica. 
Termino l'articolo parlando del video qui sopra.
Esso mostra lo chef Gordon Ramsay nella sua trasmissione "Kitchen Nightmares", mentre è alle prese con il salvataggio del ristorante "Trobiano's".
Qui la mozzarella la fa da padrona.
Inoltre, se seguite il link http://ricette.giallozafferano.it/Mozzarella-in-carrozza.html, troverete la ricetta della "Mozzarella in carrozza", un piatto tipicamente italiano.
Cordiali saluti...e buon appetito. 



martedì 27 marzo 2012

TARTUFO

Cari amici ed amiche.

Qui sopra vi è il video che mostra la preparazione di un tipico piatto italiano, il Risotto al tartufo nero.
Ora, provo a parlare proprio di questa tanto ricercata prelibatezza, per l'appunto, il tartufo.
Esso è un fungo che però si distingue dagli altri, come il Boletus edulis (Porcino) o l'Amanita caesraea (Ovolo buono), per il fatto che faccia parte della classe degli Ascomiceti (come le muffe) e non a quella dei Basidiomiceti.
Il tartufo ha uno sviluppo ipogeo (sottoterra) e cresce vicino alle radici degli alberi, in particolare, querce, lecci e tigli.
Esso è una micorriza e stabiliscono un rapporto simbiontico con la pianta.
Il suo profumo caratteristico attira i maiali, i cinghiali e le volpi, che lo mangiano e ne spargono le spore.
Il tartufo fu già noto a Plinio il Vecchio (23-79 AD) che lo citò nella sua opera "Naturalis Historia" .
Nel mondo antico, si ritenne che esso fosse afrodisiaco, in seguito ad una leggenda diffusa da Giovenale (55-60 AD) in cui Giove avrebbe scagliato un fulmine vicino ad una quercia, un albero ritenuto sacro.
Fu nota la capacità sessuale di Giove.
Fu molto apprezzato anche nel Medio Evo.
Secondo alcuni, addirittura, il suo profumo portava a veri e propri stati di estasi.
Quindi, esso fece parte della nostra dieta da molti secoli.
Queste sono le specie di tartufo:




Tartufo bianco pregiato, Tuber magnatum Pico
Tartufo nero pregiato, Tuber melanosporum Vittad.
Tartufo moscato, Tuber brumale var. moschatum De Ferry
Tartufo nero estivo, Scorzone, Tuber aestivum Vittad.
Tartufo uncinato, Tuber uncinatum Chatin
Tartufo nero invernale, Tuber brumale Vittad.
Tartufo bianchetto o Marzolino, Tuber borchii Vittad. = Tuber albidum Pico
Tartufo nero liscio, Tuber macrosporum Vittad.
Tartufo nero ordinario o tartufo di Bagnoli, Tuber mesentericum Vittad., di scarso valore economico, considerato da alcuni un omonimo del Tuber aestivum..
Tuber excavatum Vittad.
Tuber puberulum Berk. & Broome
Tuber oligospermum Vitt.
Tartufo rossetto, Tuber rufum Pico


La denominazione Vitt. o Vittad. si riferisce a Carlo Vittadini, scopritore di diverse specie.

Qui in Italia, ci sono tante zone di produzione del tartufo e sono:

  1. Alba, in Provincia di Cuneo.
  2. Colli Euganei, Padova.
  3. Borgofranco sul Po, Carbonara di Po e Felonica, in Provincia di Mantova.
  4. Dovadola, in Provincia di Forlì-Cesena.
  5. Acqualagna, in Provincia di Pesaro-Urbino. 
  6. Città di Castello, in Provincia di Perugia.
  7. Vejano, in Provincia di Viterbo.
  8. Bagnoli Irpino, in Provincia di Avellino.
  9. Carbone,  Missanello e Francavilla in Sinni, in Provincia di Potenza.
  10. Acri e Luzzi, in Provincia di Cosenza.
  11. Decollatura, in Provincia di Catanzaro.
  12. Serra San Bruno, in Provincia di Vibo Valentia.
  13. Bronte, Zafferana Etnea e Paternò , in Provincia di Catania.
  14. Ucria, in Provincia di Messina .
Queste sono solo alcune delle zone di produzione del tartufo.
I tartufi si distinguono in bianchi e neri.
I primi sono ottimi cotti ed i secondi crudi e messi a scaglie sul risotto.
Esso rappresenta di diritto il nostro Paese.
Cordiali saluti. 




domenica 18 marzo 2012

L'ALTRA STORIA DEL RISOTTO ALLA PILOTA




Cari amici ed amiche.

Oggi è il giorno di Sant'Anselmo, la festa del Santo Patrono di Mantova.
Egli fu legato a questa terra.
Egli fu nell'Abbazia di San Benedetto in Polirone e fu legato anche ad altri santi, come San Cassiano, un monaco di quell'abbazia.
Ora, vi è una storia che lega questo santo ad un piatto tipico della cucina mantovana, il "Risotto alla Pilota".
Come dice il video qui sopra, il "Risotto alla Pilota" nacque presso le corti che colitivavano il riso e fu fatto dai "pilarini", coloro che lavoravano il riso.
Ora, vi è un'altra storia legata a questo piatto.
Pare, infatti, che il nome sia di origini ben più antiche e che risalga al Medio Evo.
A Roncoferraro, sulla strada per Nosedole, si apre una via chiamata "Stradello San Cassiano".
Questo stradello prende il nome dal monastero che si trovava lì e che potrebbe essere stato fondato da San Cassiano.
Oggi, il monastero non c'è più ma c'è una corte con un cappella.
Lì i monaci facevano coltivare il riso, che fu introdotto dal sud dell'Italia attraverso gli Arabi.
Tra questi monaci ce ne fu uno che venne definito "pilotino".
Questo monaco (che forse era il celleraio o un suo collaboratore) si dedicava al riso e ne verificava la sua qualità.
Egli ne faceva cuocere un po', condendolo con della cipolla.
Questo fu il primo "Risotto alla Pilota".
Poi, fu introdotto il "pesto" di carni di maiale.
Nelle antiche corti, nel giorno di Santa Caterina (25 novembre), i proprietari terreni usavano fare ammazzare il maiale.
In quell'occasione, essi offrivano il "Risotto alla Pilota", anche per assaggiare la pasta dei salami .
Se seguite il link http://blog.paperogiallo.net/2010/09/riso_alla_pilota.html, troverete la ricetta di questa pietanza.
In realtà, non esiste una ricetta vera e propria di questo risotto.
Alcuni, ad esempio, profumano il "pesto" con del rosmarino, altri lo sfumano con del vino bianco durante la cottura ed altri ancora accompagnano il risotto con delle costine o delle braciole di maiale alla griglia.
In questo caso si parla di "Risotto col puntel".
Per il Venerdì Santo, suggerisco una variante "magra".
Al posto del "pesto" di maiale, potrete usare l'Halibut, un pesce molto usato dallo chef Gordon Ramsay nelle sue trasmissioni, come "Hell's Kitchen".
L'Halibut sembra carne e si può preparare in questo modo:

Prendete 250 g di Halibut e tagliatelo a dadini di circa 2 centimetri.
Marinatelo* in vino bianco, olio d'oliva, succo di limone, sale, pepe ed aglio per circa un quarto d'ora.
Mescolate i cubetti di pesce perché prendano tutta la marinatura.
Poi, mettetelo a cuocere in una pentola con 20 grammi di burro, senza mettere la marinatura.
Fate cuocere per circa 2 o 3 minuti a fuoco vivo.
Sfumatelo con un quarto di bicchiere di vino banco.
Una volta cotto, unite il pesce al riso cotto secondo il procedimento del "Risotto alla Pilota".

Buon appetito e cordiali saluti.

La marinatura si può fa con un bicchiere di olio d'oliva, mezzo bicchiere di vino bianco, sale (q.b.), pepe (q.b), un cucchiaio di succo di limone e mezzo spicchio d'aglio schiacciato.

mercoledì 7 marzo 2012

STORIA DELLA PIZZA











Cari amici ed amiche.

Il video qui sopra mostra uno spezzone di una puntata della VIII stagione del noto reality show condotto dallo chef Gordon Ramsay "Hell's Kitchen".

Esso mostra una cena italiana.

E' da notare una vera e propria gag in cui il concorrente Rob McCue (che nella vita reale è uno chef di uno studio legale) ha bruciato una pizza e Ramsay l'ha "invitato" mangiarsela.

E' stata molto simpatica la reazione di un altro concorrente, il barman di Chicago (oggi chef) Trevor McGrath, che ha affermato:



"E' questa sarebbe una punizione, fare mangiare ad un grassone la sua pizza bruciata?".



Ora, citata questa vera e propria gag, voglio parlare dell'argomento dell'articolo, la pizza.

La pizza è un piatto tutto italiano.

Anzi, possiamo dire che la pizza sia figlia di una tradizione molto antica.

Pensate, pare che essa risalga all'Antica Roma, ove era nota una certa pietanza chiamata "picea".

La "picea" era il piatto dei pescatori che condivano della pasta di pane con i rimasugli del pesce pescato o con del garum, una salsa liquida fatta con le interiora di pesce.

In tutto il bacino del Mare Mediterraneo si facevano delle focacce schiacciate che potevano essere azzime o meno.
In Egitto e in Grecia si facevano delle focaccie come in altre parti.

Pensiamo alle "matzo" di Israele o alle "offa" dell'Antica Roma.

Le "offa" erano delle piccole focacce di farro.

La "picea" poteva essere un "matzo" o una "offa" condita con rimasugli di pesce o di garum.

Tenete conto del fatto che la comunità ebraica romana sia molto antica.

La "picea" fu, quindi, un'antenata della pizza e fu un piatto dei poveri.

Fu una sorta di "cibo di strada".

Pare che il termine "pizza" sia una storpiatura della parola "picea".

Secondo alcuni, il suo luogo d'origine della prima pizza è Penne, un Comune della Provincia di Pescara.

Secondo le cronache, qui fu fatta una "pizza" intorno al 1200.

All'inizio, la pizza fu condita con una salsa bianca costituita da strutto, formaggio, basilico e pepe.

Nel 1540 arrivò in Europa il pomodoro. Esso raggiunse l'Italia alla fine del XVI secolo.

La sua coltivazione e diffusione ci furono nel XVII secolo.

Proprio nel XVII, la pizza fu condita con il pomodoro, assieme al formaggio e all'olio d'oliva.

In un suo viaggio in Italia, lo scrittore francese Alexander Dumas il vecchio (1802-1870) descrisse i vari condimenti della pizza.

Nel 1889, un cuoco napoletano di nome Raffaele Esposito fece una pietanza in onore della regina Margherita di Savoia.

Essa fu un pane schiacciato condito con salsa di pomodoro, mozzarella e basilico.

Oggi, questa pietanza è ancora apprezzata e si chiama "Pizza Margherita" e fu fatta in onore della regina e dela bandiera italiana, con il verde del basilico, il rosso del pomodoro ed il bianco della mozzarella.

Nel XIX e nel XX secolo, molti italiani emigrarono nelle Americhe.

Qui portarono anche la pizza.

Ben presto, essa divenne quasi un piatto nazionale negli Stati Uniti d'America ed il termine "pizza" entrò di diritto nella lingua inglese.

A Chicago, la città del concorrente di "Hell's Kitchen" Trevor Mc Grath, nacque una pizza caratteristica.

Essa è una focaccia ripiena di formaggio Parmigiano-Reggiano, salsiccia e peperoni e che è ricoperta di salsa di pomodoro.


Qui in Italia, esistono tante pizze.

Una di questa è la "Pizza Margherita" ma vi sono anche la "Pizza alla romana" , che è condita con salsa di pomodoro, mozzarella ed acciughe sott'olio, quella alla "capricciosa" , che è condita con salsa di pomodoro, mozzarella, carciofini, prosciutto cotto, olive e funghi sott'olio, e tante altre.

In Sicilia, vi è una pizza chiamata "Sfincione"

Essa è tipica della zona di Palermo ed è una pizza condita salsa di pomodoro, cipolle, formaggio pecorino grattugiato, sarde salate formaggio "primo sale" siciliano, origano ed olio.

Secondo alcuni, la sua origine sarebbe araba ma il fatto che ci siano le sarde salate potrebbe volere dire che le sue origini possano essere molto più antiche.

Come ho già detto, la "picea" romana aveva il garum. Guarda caso, il garum proveniva anche della salatura delle sarde.


Termino, ora, con la ricetta della tradizionale "Pizza alla Margherita".



Ingredienti (per quattro persone):



500 gr di farina

25 gr di lievito di birra

1/2 cucchiaio di sale

200 ml di acqua tiepida

300 gr di mozzarella (meglio se è di fior di latte)

200 gr di pomodori pelati

origano q.b.

olio extravergine d'oliva q.b.

due o tre foglie di basilico.




Preparazione:

Mettete la farina al centro di una spianatoia e fate una fontana.

Sbriciolate il lievito, scioglietelo in acqua tiepida e aggiungeteci il sale e un po' d'olio.

Versate l'acqua con il lievito sulla farina ed impastate, fino ad ottenere un impasto elastico.

Fate una palla di pasta e fatela lievitare (per circa un'ora) finché non ha raddoppiato le proprie dimensioni.

Una volta lievitata, dividete la pasta in palline da 130 grammi l'una.

Fate lievitare le palline per circa 30 minuti e poi tiratele con un matterello o a mano.

Mettete la pasta per pizza nelle teglie e copritele di pomodori pelati schiacciati, basilico, mozzarella tagliata a dadini, olio ed origano.

Irrorate le pizze con olio e mettetele in forno a 220 °C per circa 15 o 20 minuti.

Buon appetito.


Mangiare una pizza significa conoscere la storia di un Paese ricco di cultura, l'Italia.

Cordiali saluti.

























venerdì 17 febbraio 2012

FISH AND CHIPS? POTREBBE ESSERE DI ORIGINE ITALIANA...ANZI SICILIANA!





Cari amici ed amiche.

Guardate questo video che preso da Youtube e che mostra una puntata della trasmissione di Gordon Ramsay "Kitchen Nightmares".
In questa puntata, Ramsay doveva rimettere in sesto un ristorante di Brighton (in Gran Bretagna).
Il ristorante in questione era il "Ruby Tates", il cui titolare, l'ex attore Allan Love, versava in cattive condizioni economiche.
Ramsay ha cercato di mettere in sesto il ristorante con un piatto tradizionale della cucina britannica, il celebre "Fish and Chips".
Peccato che il ristorante non sia durato. Allan Love era davvero simpatico. La colpa di ciò non è stata di Ramsay. Infatti, quando si ha la zavorra di un grosso debito non è facile andare avanti.
Ora, però, voglio parlare del piatto in questione, il "Fish and Chips".
Per la ricetta, seguite il link http://ricette.giallozafferano.it/Fish-and-chips.html.
Ora, questo piatto tradizionale britannico potrebbe non essere tanto britannico.
In Italia, come nel resto del bacino del Mare Mediterraneo la frittura con olio fondo era usata fin dalle epoche molto antiche.
Per esempio, essa fu in uso presso gli ebrei.
Il celebre "Baccalà fritto", piatto tipico della tradizione romana, fu di origine ebraica.
Lo stesso vale per un altro classico della cucina di Roma, i "Carciofi alla giudìa".
Ora, anche gli Arabi conoscevano molto bene questa tecnica di cottura dei cibi.
Com'è noto, gli Arabi si stanziarono in Sicilia ed il loro dominio durò dall'827 e finì nel 1091, con l'arrivo dei Normanni.
Questi ultimi ebbero un impero molto esteso, il primo "Commonwealth" che univa l'Europa del nord (Svezia, Norvegia, Inghilterra e nord della Francia) con quella orientale (Principato di Kiev) e con l'Italia meridionale, Sicilia compresa.
Quindi, tra queste terre ci furono contatti molto forti e fu possibile che ci fossero stati vari scambi culturali tra queste terre.
Forse, il "Fish and Chips" potrebbe essere stato il frutto di uno di questi scambi.
La Sicilia faceva parte di questo "Commonwealth normanno" e, di conseguenza, può darsi che gli uomini che si trovavano in esso avessero viaggiato.
Del resto, in Sicilia la stessa tecnica di frittura è molto usata.
Pensiamo agli "Arancini", di cui faccio vere e proprie abbuffate quando vado in Sicilia e la cui ricetta può essere trovata, seguendo il link http://www.ricettedisicilia.net/piatti-unici/arancine-di-riso-con-carne/.
Mi ricordo che la buon'anima di mia nonna mi faceva anche il Pesce bandiera (il cui nome scientifico è Lepidopus caudatus e che viene chiamato Spatola) fritto in questo modo.
Quindi, gli Inglesi potrebbero avere appreso in Sicilia questa tecnica di frittura, per friggere i loro ottimi pesci, come il Merlano nero (il cui nome scientifico è Pollachius Virens).
Questo dimostra che la tanto bistrattata Sicilia sia più europea di quanto si possa immaginare.
Cordiali saluti.

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Il peggio della politica continua ad essere presente

Ringrazio un caro amico di questa foto.