Su Facebook, l'amico Filippo Giorgianni ha messo questo testo molto interessante che è stato scritto da Pier Paolo Ottonello e che è intitolato "Ideologia e ideazione", in Idem, "La barbarie civilizzata"":
«Non so quanto sia noto che il termine “ideologia” si affaccia per la prima volta non già nei primissimi anni dell’Ottocento, bensì nel cuore di una delle fasi più cruciali della rivoluzione francese, nel 1794, allorché Destutt de Tracy, nella Mémoire sur le faculté de penser, lo conia, attribuendogli il significato sensistico, condillachiano, di scienza empirica ovvero di psicologia antimetafisica. [...] I riformatori sociali, secondo Rosmini, specie nel suo tempo, fanno a gara nel vendere inaudite “magnifiche promesse”, peraltro mai avverate e sempre “riserbate all’avvenire”, e soprattutto totalmente affidandole alla riduzione della società a un grande “meccanismo, tutto di passioni e di materiali industrie, che produca da se medesimo ogni soddisfazione”: tenendo dunque fermissimo il sacrificio della libertà come la prima condizione del realizzarsi di tali “immense promesse” [...]. La prospettiva metafisica dell’oggettività veritativa dell’idea - donde le possibilità inesauribili delle forme dell’idealità e dell’ideazione - misura dunque l’ideologia nei suoi sviluppi storici come la riduzione soggettivistica del piano ideale, alla quale consegue infine la “morte delle ideologie” come favola provvisoriamente ultima dell’ideologia stessa, per assolutizzare la sua odierna dittatura tecnocratica. In questo senso, l’ideologia in quanto tale si conferma come morte dell’idea e dunque sintomo di collassi spirituali e culturali, fecondissimo terreno di coltura per il prevalere delle più epidermiche mode sulla cultura autentica [...]. La sua dinamica propria è la sistematica usurpazione dei fini da parte degli strumenti, la quale può essere totalitariamente assicurata solo dalla tecnocrazia, in quanto omologa i rottami delle ideologie, consunte e auto dissolte, nelle corruzioni degli egoismi soggettivi e tribali: attraverso il loro riciclaggio, la tecnocrazia accelera i processi di orizzontalizzazione di principi e valori, e di crescita dell’indifferenza più belluina. Le ideologie hanno dunque volti rivoluzionari e anime reazionarie: si riducono a pure reazioni all’unica [...] necessaria e positiva [...] conversione all’integralità della persona; di conseguenza, generano, con il differenziarsi delle forme di reazione, la genìa delle conflittualità permanenti e sterili, che si cristallizzano nei riti convenzionalizzati di partiti, lobbies e sette, che in realtà sono altrettante forme di concentrazione idolatrica. La dinamica dell’ideologia come idolatria è caratterizzata da una dialettica che prolifera sofistiche alternative, di cui le “alternative” politiche sono solo l’estremo fantasma. In realtà, tali alternative sono la maschera della dittatoriale dissoluzione di entrambi i termini che le costituiscono: sicché dettano legge solo le alternative più falsificanti: ad esempio, tra fatto e principio, teoria e pratica, scienza e religione, filosofia e scienza, etica e politica. Il Mida capovolto che è l’ideologia, in quanto riduce ai minimi termini tutto ciò che tocca, si assicura così una serie di riduzioni: della storia a cronaca dei progressi della “liberazione”, della libertà a liberazione dalla libertà, ossia dai suoi limiti costitutivi, della persona a elemento della macchina sociale, della scienza a tecnologismo, delle passioni individuali all’egoismo di massa, dell’essere secondo il bene al cosiddetto benessere. L’ideologia oggi più sbandierata, quella della pace planetaria, in realtà, placa le mille fami – e quelle biologiche non sono le prime per importanza – anzitutto con la nuova “cattolicità” triadica della contraccezione-aborto-eutanasia: confermando così in modo drammatico la sua natura autoritaristica, la cui industria del consenso riduce ai minimi termini il significato stesso dell’autorità e dell’assenso, dando ragione alle vecchie diagnosi alla Horkheimer-Adorno della “disperazione come ultima ideologia”. La sola uscita radicalmente costruttiva la vedo nella domanda che Agostino formula nella sua perennità, valida anzitutto per il patrimonio di idealità che ci costituisce ontologicamente e storicamente: “Molti – scrive Agostino – dovrebbero restituire ciò che possiedono, ma sono ben pochi, fra quelli che non possiedono, a cui questi beni si potrebbero restituire”. Naturalmente intendo che ciò valga anzitutto per i beni spirituali e ideali, quindi per tutte le forme del bene.»
A Filippo vanno i miei complimenti.
E' sempre molto acuto.
Io penso che non sia un male avere delle idee di politica.
Io sono di destra e come uomo di destra ho una visione del mondo in cui ci sono la sussidiarietà, il rispetto delle tradizioni di un popolo, il rifiuto dell'egualitarismo, il rifiuto del centralismo democratico ed il rifiuto della massificazione della cultura di massa.
Per questo, io sono contrario (ad esempio) al monopolio della scuola pubblica.
Perciò, agisco in funzione di questa idea, senza esserne schiavo.
Ergo, se il partito a cui faccio riferimento commette degli errori, io lo dico.
Il problema sussiste quando l'ideologia diventa dominante e la persona perde ogni capacità di critica.
Qui in Italia c'è una situazione molto particolare.
Quando il centrodestra va male, molti dei suoi elettori non votano.
Quando ad andare male è il centrosinistra, i suoi elettori votano.
Se Satana si candidasse con il centrosinistra, gli elettori di tale coalizione voterebbero comunque.
Invece, se Satana in persona si candidasse con il centrodestra, tanta parte degli elettori di tale coalizione si asterrebbe.
Ora, ho fatto questo esempio stupido per fare capire una cosa: la differenza tra chi ha un'ideologia ma ha un'autonomia di pensiero e chi, invece, e militarizzato.
Non voglio mancare di rispetto a nessuno ma i dati di fatto sono questi.
Del resto, basta guardare i risultati elettorali.
In tutte le competizioni in cui il centrodestra è uscito perdente c'è sempre stato un forte astensionismo.
Quindi, chi dice di non andare a votare altro non fa che favorire il centrosinistra.
Di certo, molte ideologie sono indirizzate da lobbies, gruppi di pressione.
Ad esempio, tutte le ideologie contro il federalismo sono indirizzate di gruppi politici che con l'attuale sistema hanno guadagnato così come tutte le ideologie contro le riforme della scuola sono indirizzate da coloro che con l'attuale sistema hanno guadagnato.
Anche le ideologie di chi non vuole la realizzazione della TAV Lione-Torino, la TiBre o il Ponte sullo Stretto di Messina, sono pilotate da gruppi di potere locali che sacrificano l'interesse di tutti a vantaggio del proprio.
Un discorso analogo può valere per chi sostiene l'aborto, l'eutanasia o il matrimonio gay.
Questi gruppi di pressione si servono di gente ignara di tutto, gli "utili idioti", per raggiungere i loro scopi.
Io penso che ci sia una sconfitta per la società nel momento in cui un'ideologia inizi a militarizzare le persone.
Anche da qui nasce l'odio tra persone.
Cordiali saluti.
Caro Antonio, comprendo cosa intendi, ma non userei il termine ideologia in chiave positiva come "sistema di idee" (mi riferisco a quando scrivi "la differenza tra chi ha un'ideologia ma ha un'autonomia di pensiero e chi, invece, é militarizzato"). L'ideologia è sempre chiusa, è sempre "militarizzata". L'avere delle idee (l'ideazione appunto, di cui parla il prof. Ottonello) è cosa diversa (e opposta) all'ideologia. L'avere idee presuppone una ricerca filosofica, ispirata alla domanda continua: perché? L'ideologia invece è sempre (senza eccezioni) fondata su una chiusura dogmatico-secolare che impedisce di far domande su di essa. E' il cosiddetto divieto di far domande di cui parlava Eric Voegelin. Un divieto che pratica l'ideologo (è il caso di Marx di cui Voegelin porta un documentato esempio): l'ideologo dice che x è così; y è colì e non può che essere colì. Se tu cerchi di spiegare il contrario, sono due le cose: o ti deride, o ti aggredisce. Ma non puoi porre la questione: non puoi fare domande per tentare di persuaderlo. O accetti o vieni rifiutato.
RispondiEliminaDetto questo, quoto tutto. Hai toccato, tra l'altro, un problema politologico molto rilevante che i dati statistici hanno spesso registrato: l'astensionismo colpisce sempre a destra. Ti posto a seguire un brano di un mio saggio che voglio proporre proprio al prof. Ottonello per 'Filosofia Oggi' (o a mons. Livi per la rivista dell'ISCA: 'Sensus Communis')
Ad ogni modo, di fronte alle nuove sinistre create dal processo rivoluzionario, il suddetto proliferare di reazioni comunemente dette – più ideologiche o più realistiche che siano –, comporta una minor capacità dei reazionari di organizzarsi rispetto ai progressisti. Infatti, le diverse reazioni non sono unite dal senso comune, da una mentalità tradizionale, in quanto ogni reazionario reagisce contro un singolo progressismo senza alcuna consapevolezza della mentalità e dell’unità da cui muove la singola ideologia progressista. Al contrario, al di là delle differenze ideologiche, i progressisti sono invece uniti da un’unica mentalità: la condizione spirituale individualistico-rivoluzionaria. Per di più, basando la propria azione non sulla base della complessità della realtà concreta, bensì su di un’astrazione, essi sono politicamente più impegnati perché sono cementati da facili slogans ideologici astratti. Diversamente, i reazionari sono meno impegnati e coinvolti, nel nome della predominanza dei propri concreti impegni privati , in quanto, anche quando ideologizzati, spesso essi sono più pragmatisti, anti-ideologici. Rigettando le ideologie, troppo spesso il reazionario rigetta anche le idee stesse, dimenticando di difendere adeguatamente le proprie e scadendo in un fare fine a se stesso. Queste ragioni spiegano perché il popolo dei reazionari in molti casi è meno impegnato in politica e spiegano anche l’assurdo individualismo divisivo presente “a destra” tra i vari reazionari. (...)
RispondiEliminaIn ultima analisi, dopo una vittoria politica e dopo ogni logorante esperienza di governo di un paese da parte di forze reazionario-fusioniste, il senso di pericolo, di fronte al progressismo, tende a scemare nel sentire diffuso della società. Così, l’elettore reazionario non sempre risponde alla chiamata alle elezioni, e spesso, per di più, tende a non approfondire le tematiche politologiche reazionarie e gli assi portanti del pensiero non progressista. Come detto, infatti, se i progressisti, in quanto ideologici, sono più attivi e/o impegnati politicamente – nonché tendenzialmente più informati sui fondamenti delle proprie ideologie –, il reazionario è meno ideologico e anche meno impegnato, nonché meno pratico di questioni politologiche. In tal modo, il reazionario, quand’anche non sia persona di bassa istruzione né di bassa cultura, si trova ad essere politicamente ignorante e politicamente ingenuo, non informandosi in modo più deciso, né andando a votare per quella parte politica cui culturalmente sarebbe ascrivibile, bensì preferendo spesso l’astensione o, talvolta, il voto all’avversario, in presenza di volti politici progressisti meno radicali – ma non meno pericolosi nell’aggredire il senso comune – o in presenza di una propria disaffezione verso i volti politici reazionari. Gli unici casi in cui si riesca a muovere il reazionario si hanno quando lo si riesca a scuotere con un campanello d’allarme, alzando i toni dello scontro con il progressismo, smascherando efficacemente la vera natura intimamente radicale dell’avversario. Questa situazione produce il grande paradosso tipico del processo rivoluzionario: solo una minoranza di persone è effettivamente di sinistra “avanzata”, mentre la maggioranza è più “conservatrice”, più realista e vicina al senso comune, ma, nonostante ciò, questa maggioranza non sempre si traduce in un governo “reazionario” dei paesi o in una cultura egemonica “reazionaria”, in quanto non sempre v’è una mobilitazione dei reazionari stessi.
Effettivamente, ho peccato di leziosità quando io ho parlato di "ideologia in chiave positiva".
RispondiEliminaDi questo faccio mea culpa.
Di solito, chi è ideologizzato è chiuso mentalmente e rifiuta il confronto, poiché si attribuisce la ragione.
Chi è ideologizzato irride l'interlocutore e fa di tutto per isolarlo.
Chi è ideologizzato crede di avere sempre ragione.
Per esperienza personale, posso confermarlo.
Su quanto hai detto sulle sinistre, sono perfettamente d'accordo con te ed aggiungo una cosa.
Guardando la storia, tutti i regimi e le idee rivoluzionarie hanno sempre avuto l'esigenza di legittimarsi agli occhi della gente.
Essi facevano (e fanno) ciò individuando il nemico in chi era (ed è) contrapposto a loro.
Lo facevano attraverso l'insulto nei confronti dell'avversario e ricorrendo al terrorismo, per portare le masse dalla loro parte.
Per esempio, i rivoluzionari francesi terrorizzavano le masse dicendo loro che se fossero tornati il re ed i nobili questi ultimi si sarebbero vendicati contro di loro.
Naturalmente, i rivoluzionari usavano anche la violenza.
Le sinistre si comportano più o meno nello stesso modo.
Anch'esse demonizzano il proprio avversario per "darsi una legittimità".
Quando poi esse acquistano un privilegio, eco che da rivoluzionarie diventano conservatrici.