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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

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martedì 16 ottobre 2012

Ricordiamo la Shoah!

Cari amici ed amiche.

Ricordiamo la Shoah, una tragedia immane in cui morirono più di 6.000.000 di persone nei campi di sterminio di Auschwitz, Treblinka, Dachau, Sobibor, San Sabba (che si trova a Trieste) ed altri.

In particolare, sessantanove anni fa furono deportati gli ebrei di Roma.
Quindi, questo articolo è dedicato in particolare agli ebrei romani.
Qualcuno di loro mi segue su questo blog.
In particolare saluto con stima l'amico Morris Sonnino e sua madre, la signora Sara Astrologo, che mi seguono.
Fu anche grazie a grandi uomini, come Papa Pio XII, se molti ebrei romani trovarono la salvezza ed evitarono di finire nei campi di sterminio.
Al sicuro in conventi e chiese, molti ebrei romani evitarono lo sterminio.
Inoltre, anche lo stesso Papa si mosse attraverso la diplomazia.
Ho qui uno spezzone della tesi dell'amico Angelo Fazio che parla proprio di Papa Pio XII e della questione degli ebrei romani:

"Particolarmente importante, nel periodo considerato, fu la drammatica giornata del 16 ottobre 1943, quando avvenne la razzia, compiuta dalle SS nel ghetto di Roma, ai danni della comunità ebraica. Anche in relazione a questo evento non sono mancate le accuse di silenzio e complicità verso Pio XII, poiché egli non denunciò il rastrellamento. In realtà, anche qui non mancano  le testimonianze relative al fatto che il Papa intervenne in qualche modo, salvando numerose vite. L’opera clandestina delle realtà ecclesiali conobbe un periodo di grande indecisione tra la fine del ’43 l’inizio del ’44, quando le camicie nere della “banda Koch” compirono delle irruzioni al Collegio Lombardo e nell’Abbazia di San Paolo (con la probabile regia tedesca), strutture queste che ospitavano numerosi rifugiati. Si temevano nuove perquisizioni, ma furono evitate dall’eco internazionale che la diplomazia vaticana seppe dare ai raid contro l’extraterritorialità dei suoi spazi.
Dopo tanti anni di dibattiti, oggi non mancano autorevoli voci (anche da parte ebraica) a sostegno dell’operato di Papa Pacelli nel drammatico contesto della seconda guerra mondiale. La storiografia si sta muovendo in maniera risoluta in direzione di una riabilitazione totale di un Pontefice verso il quale furono indirizzati innumerevoli attestati di stima e gratitudine dopo la guerra. Dopo il 1945, i meriti di Pio XII rappresentavano un assunto di fondo della coscienza e della collettività mondiale.







CAPITOLO PRIMO


Il ruolo Pio XII e della Chiesa di fronte al nazismo: ricostruzione in base agli Archivi di stato vaticani e la memoria di Papa Pacelli


1.1 Attività del cardinale Pacelli in merito alla Nunziatura Apostolica in Germania negli anni ‘30

Nel 1929, dopo la firma del Concordato tra la Santa Sede e lo Stato italiano, il card. Gasparri lasciò l'incarico di Segretario di Stato, perché stava divenendo sempre più vicino al regime fascista. Al suo posto venne nominato il card. Pacelli, che fino ad allora aveva ricoperto la carica di Nunzio Apostolico in Germania e che, in tale incarico, venne sostituito da mons. Orsenigo. Nel frattempo, l'avvento del nazismo aveva destato qualche preoccupazione. Dei quarantaquattro discorsi pronunciati da Pacelli in Germania come nunzio pontificio fra il 1917 e il 1929, quaranta denunciavano qualche aspetto dell’emergente ideologia nazista. Il vescovo di Magonza e poi, gradualmente, tutto l'episcopato tedesco, pubblicano norme tassative per precisare ai cattolici il divieto di aderire al partito nazista.
Giunto al potere il 7 febbraio 1933 Hitler aveva chiesto al partito del Centro Cattolico di collaborare con il suo governo, dichiarando di voler proteggere “l'idea cristiana, base di ogni morale”. Alla vigilia delle elezioni del 5 marzo 1933, i nazisti lanciarono accuse ai governi precedenti e, in particolare al Centro, alle quali accuse, democratici e centristi si difendevano lanciando fosche profezie circa un governo dittatoriale. I nazisti contrattaccavano per dimostrare che il nuovo governo non era nemico della religione, ma dell'abuso politico di essa.
Il notevole successo di Hitler -secondo Orsenigo- era da attribuire, oltre “al fascino della novità, al programma del governo”. La percentuale dei votanti fu molto alta, pari all'89%; ciò significava un calo dell'astensionismo e che coloro che prima si erano astenuti avevano votato per il governo. La sconfitta comunista, secondo Orsenigo, era dovuta al fatto che “gli operai boscevisti, ormai disillusi, forse, si erano astenuti dal votare; rimaneva significativo il fatto che socialisti e comunisti avevano comunque raggiunto una notevole percentuale di voti”. Per quanto riguarda i cattolici, Orsenigo ritiene che 6-7 milioni di cattolici avevano votato per i nazionalsocialisti, nonostante le norme disciplinari dell'episcopato.
L'inaugurazione del nuovo parlamento fu preceduta da una serie di manifestazioni religiose; a quelle cattoliche non partecipò Hitler, spiegando la sua assenza con la conseguenza della non-ancora revocata condanna del nazionalsocialismo, da parte dell'episcopato.
Dalla documentazione ora disponibile emerge che Pio XI era disposto a far saltare il negoziato dei Patti Lateranensi, se Mussolini avesse resistito alle irrinunciabili richieste vaticane e se, tramite gli accordi, volesse fascistizzare la Chiesa.
Qualcosa di simile accadde per il Concordato tra la Santa Sede e la Germania Nazista. Va ricordato che i primi negoziati furono avviati con la Repubblica di Weimar e che quindi, l'idea del Concordato non era nuova all'avvento di Hitler. Esso rappresentava l'unico modo per difendere i cattolici tedeschi dal nazismo. Ma l'illusione cadde all'indomani della sigla, avvenuta il 20 luglio 1933, che rappresentava per la Santa Sede un traguardo tutt'altro che raggiunto.
E' stato detto che, con il Concordato, Pacelli svendette il partito del Centro Cattolico ai nazisti. Non c'è prova che il Vaticano desiderasse la fine dello Zentrum; dai documenti e dalle testimonianze, emerge che furono gli stessi dirigenti a decidere lo scioglimento sulla base di un'impressione che il Vaticano volesse disfarsi dei partiti cattolici tedeschi. Va detto che, a causa delle sue divisioni interne, il Zentrum, aveva deciso di sciogliersi da sé, prima del Concordato e indipendentemente da esso. Per Pacelli il Concordato era un mezzo per garantire per iscritto i diritto che la Chiesa e i suoi membri ancora detenevano. La Curia sentiva un grande disagio nei confronti del regime nazista. D'altra parte né Pacelli, né Pio XI si facevano alcuna illusione sulle promesse di Hitler.
I rapporti poi erano complicati dal problema ebraico. Pacelli ne parlò con l'incaricato britannico in Vaticano, Ivone Kirkpatrick, il quale riferì che il 19 agosto 1933 Pacelli aveva deplorato le azioni naziste contro gli ebrei e contro gli oppositori. Sia Pacelli, sia Pio XI avevano espresso sentimenti di disagio nei confronti dell'attitudine anticristiana dei nazisti.
Orsenigo ha retto la nunziatura berlinese fino al 1946. E, per la sua qualità di Nunzio era stato designato decano del corpo diplomatico accreditato a Berlino. In qualità di decano, preparava i discorsi ufficiali che erano sottoposti preventivamente al Vaticano per l'approvazione e quindi ai colleghi titolari delle ambasciate più importanti. A fine novembre del 1931, Orsenigo inviò a Pacelli il testo di un discorso che avrebbe dovuto pronunciare in occasione del ricevimento per il capodanno 1932. Egli aveva evitato ogni riferimento esplicito a qualsiasi paese e ai principi cristiani in fatto di guerra, poiché erano rappresentate potenze non cristiane (Giappone e Cina) in quel momento in guerra fra loro per la Manciuria.
Poi rilevava che la Germania era stata la prima e la più colpita dalla crisi economica. Su ciò si appuntarono le osservazioni del card. Pacelli, secondo cui il discorso avrebbe sollevato critiche da parte dell'ambasciatore francese, in quanto la Francia era tutt'altro che pronta a disarmare la Germania e poi, anche la Francia era stata devastata dalla crisi economica del 1929 e ritenere la Germania più colpita significava avallare il progetto di unione doganale austro-tedesca, che la Francia aveva fatto fallire. L'avvento di Hitler pose diversi problemi: 1-Hitler si era professato cristiano, ma non aveva proclamato l'appartenenza a una confessione precisa; 2-il problema dell'educazione religiosa; 3-molti preti cattolici si erano iscritti al partito di Hitler, nonostante i divieti della Conferenza Episcopale, con il pericolo che potesse sorgere una Chiesa nazionale tedesca.
Questo problema non fu annullato dalla conclusione del Concordato. A giudicare dalle parole del card. Gasparri, l'avvento del nazismo e il Concordato significavano, per la Chiesa di Pacelli allinearsi al nuovo regime e andarci d'accordo ad ogni costo. Ma Gasparri era stato estromesso e non rappresentava la posizione ufficiale della Santa Sede.
A differenza dei Patti Lateranensi, il Concordato tedesco, secondo le nuove fonti archivistiche vaticane, non cancellò i problemi delle relazioni tra Pacelli e la Germania nazista. Chi deduce dalle parole di Gaparri, la linea politica di Pacelli, va invitato a maggiore cautela. Orsenigo, pur non amando lo scontro frontale, non si può dire il suo fosse un approccio filo-nazista. Egli aveva vagheggiato la tenuta del Centro Cattolico come contrappeso al partito hitleriano.
Il 25 novembre 1933, egli inviò in Vaticano il testo del discorso che avrebbe dovuto pronunciare dinnanzi al presidente del Reich, per gli auguri di capodanno. Nella predetta bozza vengono usati accenti che appaiono eccessivamente elogiativi e tali apparvero a Pio XI, che tramite Pacelli comunicò ad Orsenigo le sue osservazioni.
Così nel nuovo testo si ribadiscono gli impegni del nuovo governo nazista per la soluzione pacifica di eventuali controversie internazionali, che riguardassero la Germania. Nel ricevimento del capodanno del 1934, Hitler vi partecipò con una dignità protocollare quasi pari a quella riservata al Presidente della Repubblica. Fu notata con piacere, però, l'insistenza di Hitler sulla volontà di pace della Germania.
A questo punto il dispaccio di Orsenigo si fa interessante, comunicando dubbi sulla volontà di pace e che, fra i diplomatici, si parlava apertamente del pericolo di guerra e che ogni manovra di pace politica costituiva la preparazione di un alibi. Il 1934 è per la Germania un anno denso di avvenimenti: morto il vecchio presidente von Hindenburg, con apposita legge, Hitler aveva sommato le cariche di Cancelliere e Presidente del Reich. Avviene anche il tentativo di Anschluss, sventato dall'Italia, che inviò truppe al Brennero per la difesa dell'indipendenza austriaca.
Il compito di Orsenigo si faceva più difficile, dato il suo ruolo di “doppio rappresentante” del Papa e dei colleghi diplomatici. In occasione degli auguri per il capodanno 1935, Orsenigo insistette con Hitler sul desiderio di pace nel mondo. Pacelli lo approvò senza modifiche ma modificò la parte in cui si augurava a Hitler ogni bene per la sua patria. Siccome Hitler era austriaco e, ricordando il tentativo di Anschluss, Pacelli preferì che si usasse la parola “paese”.
Nel marzo del 1935, Pacelli scrisse una lettera aperta al vescovo di Colonia in cui chiamava i nazisti “falsi profeti con l’orgoglio di Lucifero”.
In quello stesso anno attaccava le ideologie “possedute dalla superstizione della razza e del sangue” davanti a un’enorme folla di pellegrini a Lourdes. A Notre Dame di Parigi, due anni dopo, chiamò la Germania “quella nobile e potente nazione che cattivi pastori vorrebbero portare fuori strada verso l’ideologia della razza”.
Ad alcuni amici, Pacelli disse in privato che i nazisti erano “diabolici”. Hitler “è completamente invasato”, disse a quella che fu per lungo tempo sua segretaria, suor Pasqualina: “tutto ciò che non gli serve, lo distrugge, quest’uomo è capace di calpestare i cadaveri”. Incontrando nel 1935 l’eroico antinazista Dietrich von Hildebrand dichiarò: “non vi può essere riconciliazione fra cristianesimo e razzismo nazista: essi sono come l’acqua e il fuoco”.
Nel 1935, la Conferenza di Stresa aveva tentato, senza successo, di contenere il dinamismo tedesco. Inoltre Hitler aveva interpretato i patti franco-ceco-sovietico, come diretti contro la Germania. Lo scoppio del conflitto italo-etiopico ripropose il problema dell'efficacia della Società delle Nazioni nella tutela dell'integrità territoriale dei suoi membri (l'Etiopia lo era dal 1923). Il 16 novembre 1935, Orsenigo inviò in Vaticano il suo discorso augurale di capodanno. Letta la bozza, Pacelli rispose chiedendo l'annullamento di alcune parti come “duce del popolo tedesco”, “signori ministri”, tra i quali c'era Goebbles che era un apostata e la sostituzione delle varie parti con “a tutti i vostri collaboratori”. Intanto il nazismo introdusse la novità protocollare che i diplomatici accreditati a Berlino erano invitati ogni anno al congresso del partito nazista di Norimberga.
Orsenigo, in più occasioni, aveva trovato modo di non intervenirvi. In previsione della “giornata del partito” di fine estate del 1936, Orsenigo propose di allontanarsi dalla Germania per alcuni giorni di vacanza. Questa soluzione fu appunto adottata dalla Santa Sede. Ciò per vari motivi: i pessimi rapporti fra Stato e Chiesa in Germania; il revisionismo tedesco con il ripristino della circoscrizione obbligatoria e la rimilitarizzazione della Renania, in violazione del Trattato di Versailles. A ciò si aggiungeva l'avvicinamento tra Roma e Berlino, dopo la fine della guerra italo-etiopica e la visita di Ciano a Berlino.
In questa situazione, Orsenigo sembrò fosse incapace di districarsi tra il culto stato-partito, cui aveva aderito parte del clero e dei cattolici tedeschi, e la necessità di rappresentare adeguatamente gli interessi della Santa Sede. Tutto ciò non può condurre a ritenere Orsenigo un filo-nazista e un fiancheggiatore di Hitler.
Ci si può chiedere se egli non risentisse dell'ambiente, lasciandosene suggestionare, forse nella speranza di migliorare così la condizione della Chiesa Cattolica in Germania. Inoltre egli, pur avendo indubbie qualità pastorali, mancava del classico “cursus honorum” dei diplomatici vaticani. Di fronte a questa situazione, la Santa Sede poteva sostituire il Nunzio a Berlino. Ma avrebbe ottenuto il gradimento del governo? Sarebbe risultato eletto decano del corpo diplomatico? Dalla documentazione emerge che l'unica cosa possibile per il Vaticano era correggere di tanto in tanto l'azione di Orsenigo; qui il contributo di Pacelli si rivelò fondamentale, facendo passare alcune correzioni come volontà del Papa, come attestano le cancellature sulle minute.
Nel discorso preparato per il capodanno 1937, Orsenigo riprendeva i temi della pace, ma vi aggiungeva i rallegramenti per la riuscita delle Olimpiadi dell'agosto 1936, che la Segreteria di Stato ordinò ad Orsenigo di cancellare.
Il 1937 si rileva un anno particolarmente difficile per i rapporti tra il Vaticano e la Germania. E' l'anno dell'Enciclica “Mit Brennender Sorge”, sulla situazione della Chiesa in Germania. Qualcuno ritiene che questa enciclica, in fondo, non colpiva il regime nazista. Gli archivi vaticani consentono ora una verifica su questo punto.
Pochissimi giorni dopo la sua promulgazione, Orsenigo scrisse a Pacelli per chiedere se poteva intervenire al compleanno di Hitler, al quale era stato invitato il corpo diplomatico. La risposta è stata negativa, anche perché l'Ambasciatore tedesco non aveva partecipato alla Messa di Pasqua in San Pietro e anche perché si sarebbe trattato di una manifestazione di omaggio verso il cancelliere.
La freddezza dei rapporti vaticani, dopo l'enciclica, portò a un mutamento di tono della nunziatura Berlinese; ve ne è traccia nel discorso per il capodanno 1938 che fu approvato da Pacelli senza osservazioni. Vi si parla della necessità di giungere alla vera pace e alla collaborazione dei popoli nell'interesse di una comune prosperità. Si trattava di toni preoccupati che riflettevano l'infima qualità dei rapporti vaticano-tedeschi nel 1937, acuite dallo stato delle relazioni internazionali in quel delicato momento (visita di Mussolini a Berlino). Il testo di Orsenigo venne ripreso dai giornali americani e interpretato come un ammonimento di Pio XI a Hitler. Inoltre il 6 febbraio 1938, sarebbe caduto il sedicesimo anniversario dell'incoronazione di Pio XI, evento che la nunziatura usava celebrare con un pranzo offerto al cancelliere e alle alte autorità del Reich. L'11 gennaio 1938, Pacelli scrisse ad Orsenigo: “ho riferito al Santo Padre, il Quale desidera che, attesa la penosa situazione attuale, V. E. si astenga dal dare il pranzo”.
Il discorso preparato in occasione dell'ultimo capodanno di pace del 1939, fu influenzato dalla Conferenza di Monaco, che aveva decretato la cessione dei Sudeti alla Germania, da parte della Cecoslovacchia. Il Nunzio considerava quell'evento “un vero giorno di piena e completa letizia”. Alcuni accenti di Orsenigo furono ritenuti esagerati dalla Santa Sede: se non modificati, avrebbero collocato la Chiesa Cattolica nel campo di coloro che avevano sempre accontentato Hitler in ogni sua richiesta. Pertanto la richiesta di Pacelli fu quella di abbassare i toni.
La Radio Vaticana, che operava sotto il controllo di Pacelli, diede per estesa la notizia della “Notte dei cristalli”, e dal 1935, a seguito della “Leggi di Norimberga”, esortava gli ascoltatori a pregare per gli ebrei perseguitati.
Questi elementi ci dicono: 1-Pacelli controllava con grande attenzione ciò che proveniva dalla nunziatura di Berlino, anche per rendere più incisiva l'azione di Orsenigo; 2-i dispacci citati, mostrano che i rapporti tedesco-vaticani erano ben diversi di quelli che assimilavano Vaticano e Germania nazista e che, per la Santa Sede, il dittatore nazista rappresentò un vero problema politico.
La Santa Sede, forse, ebbe l'impressione di un calo di energia di Orsenigo nei confronti di Hitler. Pacelli avrebbe avuto grosse difficoltà, oltre per i motivi già detti, per non privarsi di un'esperienza diplomatica pluriennale in una sede delicata. Dalle carte vaticane emergono altri due elementi: 1-la crisi della politica concordataria; 2-la situazione di stallo, dopo l'Enciclica “Mit Brennender Sorge”, era la conseguenza di una latente crisi, maturata negli anni precedenti.

1.2 Documenti pubblicati nel 2003, dopo l’apertura degli archivi di Stato Vaticani. Interventi di Pio XII in favore degli ebrei

Nel febbraio 2003, a pochi giorni di distanza dall'apertura degli archivi vaticani relativi ai rapporti tra la Santa Sede e la Germania durante il periodo nazista, si è conosciuto il testo della lettera che la filosofa Edith Stein (l'ebrea convertita, divenuta suora carmelitana, deportata e uccisa dai nazisti ad Auschwitz) nel 1933 scrisse a Papa Pio XI, denunciando le politiche antisemite del neocancelliere Adolf Hitler. Trattasi di un documento utilizzato dagli accusatori della Chiesa per sostenere che le gerarchie vaticane erano state avvertite della pericolosità del nazionalsocialismo senza intervenire. La lettera reca la data del 12 aprile del 1933 e fu spedita sigillata dall'arciabate benedettino Beuron Raphael Walzer al Segretario di Stato Eugenio Pacelli e accompagnata da uno scritto in latino nel quale Walzer garantiva sulla serietà della filosofa. Si tratta di una denuncia precisa e lungimirante, accompagnata dalla richiesta di una presa di posizione della Santa Sede contro il nazismo. La fretta di rendere noto questo testo ha contribuito a dare l'idea che la missiva della futura martire e santa sia rimasta sepolta negli archivi e non abbia mai avuto risposta.
In realtà, la Santa Sede rispose, ma non direttamente a lei, bensì all'arciabate Benedettino Walzer, che aveva inviato a Roma la denuncia. La risposta è scritta in lingua tedesca ed è stata spedita a firma del cardinale Segretario di Stato il 20 aprile 1933, mentre la lettera con cui Walzer accompagnava la denuncia, porta quella del 12 aprile. Quindi la risposta fu tempestiva. Comunque, per una condanna al nazismo, bisognerà attendere il 1937, quando Pio XI pubblicherà la “Mit Brennender Sorge”, di cui Pacelli scrisse la bozza .
Nei palazzi vaticani arrivavano numerose richieste e denunce. La Stein, all'epoca della lettera, non era conosciuta come oggi. Inoltre, come la futura Santa, scrivevano al Papa moltissime persone.
Esiste un altro documento passato sotto silenzio dai media, perché favorevole al grande accusato Pacelli. Si tratta di una comunicazione al suo successore Orsenigo, datata 4 aprile 1933, in cui il futuro Pio XII chiede al Nunzio Apostolico di interessarsi della sorte degli ebrei, dopo che le diverse “alte notabilità israelite si erano rivolte al Pontefice per implorare il suo aiuto”.
Il 26 marzo 1933, il Congresso Ebraico Americano aveva manifestato l'intenzione di chiedere un embargo mondiale contro la Germania nazista. Nonostante che i governi degli Stati Uniti, Inghilterra e Francia si fossero opposti, Hitler colse l'occasione per iniziare la sua politica antiebraica. Il 1° aprile venne proclamata “la giornata del boicottaggio” contro negozi gestiti da ebrei in Germania. Il boicottaggio non ebbe il successo sperato. Il 7 aprile venne varata una legge sul riordino della pubblica amministrazione tedesca e in un paragrafo si sanciva che tutti gli impiegati di origine non-ariana dovevano andare in pensione. Il messaggio del 4 aprile viene inviato 72 ore dopo la giornata del boicottaggio e precede di qualche giorno la legge discriminatoria. Questo dimostra la sollecitudine e l'interesse del cardinale Pacelli per il problema ebraico e a sbugiardare quanti l'hanno definito “filo-nazista”.
Il Nunzio Orsenigo risponde immediatamente dicendo che da 24 ore la lotta antisemita è diventata legge del governo del Reich e la protesta dell'ambasciatore vaticano si sarebbe configurata come un attacco a una legge dello stato, che avrebbe comportato l'allontanamento del Nunzio e l'impossibilità di sostituirlo con altra persona. Orsenigo ha comunque invitato l'episcopato tedesco a intervenire per esprimere, a nome dei cattolici, il disappunto per le leggi discriminatorie. Due giorni dopo, Orsenigo invia un nuovo messaggio al Segretario di Stato Vaticano, in parte criptato e che solo Pacelli poteva decrittare. Orsenigo ha allegato il testo della dichiarazione dei vescovi tedeschi, i quali lamentavano i giorni di gravissimi e amarissimi dolori per molti cittadini fedeli e coscienziosi impiegati. Si dirà che non compare la parola ebreo. Ma il riferimento appariva immediatamente attribuibile alla situazione degli israeliti discriminati proprio in quei giorni. Il cardinale Pacelli ha risposto a Orsenigo il 19 aprile, lo ha ringraziato e lo ha avvertito che il Papa Pio XI era stato informato.
Esistono altre tre interessantissimi testi. Il primo è datato 22 aprile e si tratta di un breve appello del rabbino della Congregazione Ohab di New York, William Margolis, inviato al Papa Pio XI per implorarlo ad alzare la voce contro le persecuzioni hitleriane. Esso dimostra che chi non conosce l'esperienza nazista, non può capire che non basta la condanna vaticana per rovesciare una politica che Hitler aveva concepito dagli anni venti con il libro “Mein Kampf”. Anche il rabbino di Vienna, Arthur Zacharias Schwarz, il 9 aprile 1933, ha scritto a Pio XI pregandolo di intervenire sulla persecuzione contro gli ebrei in Germania, al quale non è stato risposto per delicatezza. Un'altra personalità ebraica ha incontrato Orsenigo per discutere delle scuole ebraiche e della gestione degli ospedali ebrei, ricevendo assicurazioni in merito.
La Santa Sede intervenne in via informale per cercare di mitigare le legislazioni antiebraiche nei colloqui con il vicecancelliere, il barone Franz von Papen, come dimostra il “memorandum” portato in Vaticano dall'ambasciatore del Reich, Diego von Bergen, che cercava di giustificare la politica antiebraica di Berlino. Con il passare dei mesi, il Papa si rendeva conto che Hitler considerava il concordato niente più che una carta straccia.
Pacelli, all'epoca della nunziatura a Monaco di Baviera, aveva letto il “Mien Kampf” e si era reso conto della pericolosità di Hitler. Ciò è dimostrato in un colloquio con l'ex console degli Stati Uniti a Berlino Alfred W. Kleiforth, in cui diceva che Hitler non soltanto era “una canaglia inaffidabile, ma anche una persona profondamente malvagia”. L'altro documento è un memorandum consegnato dal cardinale Pacelli, all'ambasciatore Joseph Kennedy, in cui Pacelli definiva i nazisti “i nuovi pagani, che sorgono tra le giovani generazioni ariane”, concludeva che era impossibile un accordo e lo invitava a comunicare al presidente degli USA, Frank Delano Roosevelt, le sue vedute personali e private.
La sua prima enciclica, “Summi pontificatus”, pubblicata in fretta nel 1939 da Pacelli (dopo essere divenuto Papa Pio XII) fu redatta per invocare la pace; essa era in parte la rivendicazione che il ruolo del papato era di far appello a entrambi i contraenti del conflitto, piuttosto che condannarne uno. Ma molto significativamente, il nuovo Papa citava le lettere di san Paolo Apostolo “non esiste più greco e giudeo” , usando la parola “giudeo” specificatamente nel contesto di allora, tale affermazione rappresentava il rigetto dell’ideologia antisemita del nazismo. Il New York Times , il 28 ottobre 1939, accolse l’Enciclica con il titolo di prima pagina “Il Papa condanna i dittatori, i violatori di trattati, il razzismo”. Aeroplani alleati lanciarono migliaia di copie del giornale sulla Germania nello sforzo di alimentare il sentimento antinazista.
Secondo alcune fonti nel 1939 e nel 1940, Pio XII agì da intermediario segreto fra i congiurati tedeschi contro Hitler e gli inglesi e avrebbe corso del pari un rischio avvisando gli Alleati dell’imminente invasione tedesca di Olanda, Belgio e Francia.
Nel gennaio del 1940, Pio XII diede disposizioni a Radio Vaticana di far conoscere “le tremende crudeltà di una barbara tirannia” che i nazisti stavano infliggendo agli ebrei e ai cattolici polacchi. La settimana successiva, il Jewish Advocate di Boston lodò quella trasmissione come un’ “esplicita denuncia delle atrocità tedesche nella Polonia nazista, che le dichiarava un insulto alla coscienza morale dell’umanità”. Il New York Times pubblicò un editoriale in cui affermava: “ora il Vaticano ha parlato, con un’autorità che non può essere discussa e ha confermato i peggiori indizi di terrore emersi dalla tenebra polacca”. In Inghilterra il Manchester Guardian definì Radio Vaticana come “l’avvocata più potente della Polonia torturata”.
Nel marzo del 1940, Pio XII concesse udienza a Joachim von Ribbentrop, ministro degli Esteri del Terzo Reich e unico esponente nazista di alto rango a visitare il Vaticano. Era chiaro che i membri del governo tedesco ben sapevano le posizioni di Pio XII: Ribbentrop criticò aspramente il Papa, accusandolo di parteggiare per gli Alleati. Dopo di ciò Pio XII cominciò la lettura di una lunga lista di atrocità tedesche. Il New York Times scriveva il 14 marzo “con le infiammate parole con cui parlò a Herr Ribbentrop, Pio XII si trovò a essere il difensore degli ebrei in Germania e in Polonia”.
Il vescovo di Munster, Ernst Von Galen, che per tutto il periodo nazista si contraddistinse per un'energica opposizione contro il regime, il 3 agosto 1941 denunciò con veemenza in una sua omelia il programma di eutanasia nazista, visto dal prelato tedesco come negazione del comandamento divino “non uccidere”. Queste le sue parole in quell'occasione “hai tu, o io, il diritto alla vita soltanto finché noi siamo produttivi, finché siamo ritenuti produttivi da altri? Se si ammette il principio, ora applicato, che l'uomo improduttivo possa essere ucciso, allora guai a tutti noi, quando saremo vecchi e decrepiti. Se si possono uccidere esseri improduttivi, allora guai agli invalidi, che nel processo produttivo hanno impegnato le loro forze, le loro ossa sane, le hanno sacrificate e perdute. Guai ai nostri soldati, che tornano in patria gravemente mutilati, invalidi. Nessuno è più sicuro della propria vita”.
Il messaggio natalizio del 1941 di Pio XII, per causa del linguaggio usato, è oggi bersagliato da varie critiche; tuttavia agli osservatori dell'epoca tale messaggio era chiaro, difatti, il giorno dopo il New York Times lo commentava così: “la voce di Pio XII è una voce isolata nel silenzio e nella tenebra che in questo Natale avvolge l’Europa. Nel suo richiamo a “un autentico nuovo ordine” basato sulla "libertà, la giustizia e l’amore" il Papa si schiera in pieno contro l’hitlerismo”.
Nel 1942, mentre i vescovi francesi diffondevano delle lettere pastorali che attaccavano le deportazioni, Pio XII mandava il suo Nunzio a protestare presso il governo di Vichy contro “gli inumani arresti e le deportazioni di ebrei dalla zona d’occupazione francese in Slesia e in certe parti della Russia” .
Radio Vaticana commentò le lettere episcopali per sei giorni di seguito, in un momento in cui ascoltare tale emittente era in Germania e Polonia, ritenuto un reato, per il quale alcune persone furono condannate a morte.
Il 6 agosto 1942 il New York Times titolava “Si dice che il Papa abbia lanciato un appello per gli ebrei in lista di deportazione dalla Francia”. E il Times londinese , tre settimane dopo, scriveva:  “Vichy cattura gli ebrei. Ignorato Papa Pio XII” . Come ritorsione a ciò, nell’autunno del 1942, l’ufficio del ministro della propaganda nazista Paul Goebbels diffondeva dieci milioni di copie di un opuscolo che definiva Pio XII "il Papa filo-ebraico" e menzionava esplicitamente i suoi interventi nei confronti del governo-fantoccio francese di Vichy.
La locuzione “perfidi giudei”, usata il venerdì santo, viene utilizzata come prova del carattere antisemita del Vaticano e di Pacelli, che si adeguava a ciò che la Chiesa a lui contemporanea pensava degli ebrei; ma fu Pio XII a specificare che l'espressione “perfidi” significava “che non hanno fede”. Da una formula liturgica si continua a trarre la conclusione che Pacelli fosse antisemita e che il Vaticano fosse partner ideale di Hitler.
Si biasima anche che il Vaticano abbia condannato un'associazione denominata “Amici d'Israele”, finalizzata alla conversione degli ebrei al cattolicesimo. Le teorie che il Vaticano andasse a braccetto col nazismo sono smentite dalle carte dell'Archivio Segreto Vaticano, dove gli ebrei sono definiti “modelli del Nuovo Testamento” e coloro ai quali Dio aveva parlato per primi e rivestiti di un'altissima dignità essendo lo stesso Gesù ebreo di nascita.
Il documento col quale si condannava l'associazione “Amici d'Israele” condannava anche il totalitarismo nazista, che andava distinto dalla concezione totalizzante della dottrina cattolica, in quanto la dottrina nazista si ispira ad una teoria della razza dalla quale fa derivare tutti i valori umani dei popoli nordici e imponeva dall'esterno dei valori che, invece, devono essere interni per un naturale avvicinamento a Dio. Per la Chiesa non è ammissibile la statolatria, per la quale il singolo e niente, il tutto è lo stato. Il Cristianesimo non conosce anime collettive e la Chiesa lavora per la salvezza personale di ogni singolo individuo.
Il Concordato non significava il riconoscimento di un regime, ma solo un mezzo per tutelare la vita e la sopravvivenza dalla Chiesa. Contro l'assimilazione tra Santa Sede e nazismo occorreva che i sacerdoti dovevano sentirsi liberi di calibrare le loro allusioni alla falsità della dottrina nazista; ma la Chiesa avrebbe dovuto varare un documento in cui si evidenziassero le differenze profonde fra la sua dottrina e quella nazista, come era avvenuto in Italia dopo il Concordato.
Il 13 aprile del 1938, Papa Ratti fece indirizzare dalla Sacra Congregazione per i Seminari e le Università una lettera ai rettori e i decani di facoltà in cui si ingiungeva a tutti i professori di teologia di confutare, con il metodo proprio di ogni disciplina, le pseudo verità scientifiche con le quali in nazismo giustificava la sua ideologia antisemita.
Il 28 luglio del 1938, in un discorso tenuto ai membri del collegio di Propaganda Fide, Pio XI asserì: “cattolico vuol dire universale, non razzista, non nazionalista, nell’eccezione separatista di questi due attributi. Non vogliamo portare alcuna separazione nella famiglia umana. L’espressione “genere umano” denota, appunto, la razza umana. Si deve dire che gli uomini sono innanzi tutto un grande e solo genere, una grande ed unica famiglia di viventi. Esiste un’unica razza umana universale e con essa e in essa, delle diverse variazioni. Ecco la risposta della Chiesa”.
Il 6 settembre del 1938 Pio XI affermò: “l’antisemitismo non è ammissibile. Spiritualmente noi siamo semiti”.
Sebbene in condizioni in cui era più difficile portare avanti certe denunce, Pio XII riprese molte delle idee che si ponevano in linea di continuità con il patrimonio culturale di Papa Ratti. Difatti, Suor Ferdinanda Maria Corsetti, premiata nel 1999 dal governo israeliano come “Giusta tra le Nazioni”, ha conservato una lettera inviata da Pio XII alla madre superiora in cui si parla degli ebrei come “figli diletti”.
Nel radiomessaggio di Natale del 1942, Papa Pacelli affermò che tra i postulati erronei dei positivismo giuridico “è da annoverare una concezione la quale rivendica a particolari nazioni o stirpi o classi l’istinto giuridico quale ultimo imperativo e inappellabile norma”.
Il Papa rivolse quindi un appassionante appello per un nuovo e migliore ordine sociale: “questo voto l’umanità lo deve alle centinaia di migliaia di persone che, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o al progressivo deperimento”.
Esso venne largamente inteso come una condanna pubblica dello sterminio nazista degli ebrei. Peraltro, gli stessi nazisti lo interpretarono come tale. Così commentava una fonte interna nazista: “il suo discorso è un unico lungo attacco a tutto ciò che rappresentiamo. Egli sta chiaramente parlando per conto degli ebrei. Sta virtualmente accusando il popolo tedesco d’ingiustizia verso gli ebrei e si fa portavoce dei criminali di guerra ebraici”.

1.3 Il Vaticano e la nascita dello stato d’Israele

Guenter Lewy dice che “la Santa Sede aveva perplessità nei confronti dell'installazione degli ebrei in Palestina, perché ciò avrebbe compromesso la situazione dei Luoghi Santi e dato adito al progetto sionista”. Ciò è vero come è vero che tutte le nazioni (USA, Gran Bretagna, Francia e URSS) erano contrarie all'installazione degli ebrei in Palestina. Tuttavia, i documenti che Lewy non ha visto ci dicono che la Santa Sede accettò, magari a malincuore, l'opzione del trasferimento degli ebrei europei in Palestina, pur chiarendo che tale orientamento non significava per lei cedimento sulla questione dei Luoghi Santi. La dichiarazione di Lewy si fonda su un dispaccio inviato il 18 maggio 1943 dal Segretario di Stato, cardinale Maglione al Delegato Apostolico a Washington Amleto Cicognani.
Lewy scrive che la Santa Sede si opponeva alla costituzione di uno stato ebraico, nonostante fosse in corso la Shoah, facendo intendere come se l'antisionismo avesse impedito la lotta contro l'antisemitsmo e la vittoria finale sul nazismo. Nel suo libro, Lewy riporta una citazione errata. La Dichiarazione di Balfur parlava di “national home” da assicurare agli ebrei, che in italiano non significa “patria”, bensì “sede nazionale” e non parla di “homeland”. Queste incomprensioni sono dovute al fatto che la Gran Bretagna, con lo scambio di lettere fra l'emiro dell'Higiaz, Ibn’Alì Hussein e l’Alto Commissario britannico Arthur Henry McMahon, nel 1915-16, aveva dato agli arabi assicurazioni diametralmente opposte alla Dichiarazione di Balfur. Inoltre, sul problema dei Luoghi Santi, la Santa Sede, nel 1920 ebbe assicurazioni dalla Gran Bretagna che era mandataria della Società delle Nazioni sulla Palestina.
Inoltre era opinione diffusa che non si potesse creare uno stato d'Israele solo perché gli ebrei vi avevano risieduto diciannove secoli prima. Lo studio dell'alternativa di fondare eventualmente altrove uno stato d'Israele, non impedì alla Santa Sede di procurare i documenti a carovane di profughi che cercavano rifugio verso la Palestina, via Balcani.
All'inizio del 1944, il Gran Rabbino di Gerusalemme Isaac Herzog ringraziò la Santa Sede per quanto essa stava facendo in favore degli ebrei in fuga verso la Palestina e chiese ulteriori aiuti, che non gli furono negati. Dunque la Santa Sede si impegnò a trasferire gli ebrei in Palestina benché fosse antisionista, cioè contraria alla creazione di uno stato d'Israele nella Palestina medesima.
Nel giugno del 1943, si trattava di trasferire gli ebrei dell'Europa centrale, ma era necessario una serie di visti di transito. A ciò provvide mons. Roncalli che ci riuscì benissimo con le autorità turche e bulgare, ma non ci riuscì con la Romania e anche con l'Ungheria si ebbero problemi.
Nel settembre 1943, gli ebrei polacchi rivolsero un appello a Pio XII implorandone l'interessamento per numerose famiglie rimaste in Polonia, mentre capifamiglia avevano raggiunto la Palestina. La legazione inglese, in merito, propose di scambiare ebrei polacchi con residenti in Palestina, ma ciò era impossibile perché i tedeschi residenti in Palestina erano anch'essi di origine ebraica.

1.4 Pensiero degli storici ebrei in favore di Pio XII e altre testimonianze. Verso la riabilitazione

Come reagirono agli attacchi sferrati contro Pio XII gli eminenti storici ebrei?
Pinchas Lapide (primo console d’Israele a Milano) scrisse, in difesa del Papa, “Roma e gli ebrei” nel 1967. A questo volume dobbiamo aggiungere l’opuscolo scritto nel 1963 dal membro dell’Anti-Defamation League Joseph Lichten, nonché le taglienti recensioni di Friedländer redatte da Livia Rotkirchen, la storica dell’ebraismo slovacco allo Yad Vashem, il Memoriale israeliano dell’Olocausto. Jenö Levai, il grande storico ungherese, reagì con grande rabbia davanti alle accuse di silenzio rivolte a Pio XII, egli scrisse nel 1968 un trattato in lingua inglese  “Hungarian Jewry and the papacy. Pope Pius XII did not remain silent. Reports, documents and records from church and state archives assembled by Jeno Levai” comprendente un'introduzione di Robert M. W. Kempner, sostituto procuratore capo statunitense a Norimberga.
Sir Martin Gilbert, in occasione della pubblicazione del suo libro “The Righteus”, ha dichiarato: “spero che il mio nuovo libro contribuisca a sdemonizzare Pio XII e la Chiesa”. Più recentemente (luglio 2012), Gilbert ha affermato “come storico ebreo ho a lungo sentito il bisogno di rivelare pienamente l’aiuto cristiano agli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale e la storia degli uomini che sono stati coinvolti nel salvataggio” .
Gilbert ha anche parlato del ruolo del Vaticano e dei suoi rappresentanti: “all’inizio erano soprattutto preoccupati per il destino degli ebrei che si erano convertiti al cristianesimo, ma quando il delitto divenne evidente, il Vaticano ha espresso preoccupazione non solo per la loro macellazione, ma ha incoraggiato i rappresentanti pontifici in Europa a compiere ogni sforzo a favore dei perseguitati. Pio XII ha ritenuto, a mio parere correttamente, che l’intervento diretto avrebbe avuto conseguenze disastrose nelle forme di rappresaglia e un’escalation di persecuzione. Scomunicando Hitler non avrebbe ottenuto altro che aumentare la persecuzione dei cattolici sotto la loro sfera di controllo”.
Gilbert ha poi raccontato che “sacerdoti e vescovi cattolici hanno lavorato per salvare gli ebrei in ogni paese in cui venivano minacciati, tra cui Francia, Italia e Polonia, paese in cui era in vigore la pena di morte per coloro che aiutavano gli ebrei. In Ungheria -ha proseguito lo storico ebreo- il Nunzio Apostolico Angelo Rotta ha condotto uno sforzo diplomatico tale da salvare oltre un centinaio di migliaia di ebrei. In Francia, la Chiesa cattolica è stata molto attiva nel salvare decine di migliaia di persone e in Italia, chiese e monasteri sono stati i primi a salvare vite umane. Quando le SS vennero a Roma, la Santa Sede prese sotto la sua protezione centinaia di migliaia di ebrei, accogliendoli in Vaticano e incoraggiando nel contempo tutte le istituzioni cattoliche a fare altrettanto”.
Circa gli ebrei interessati agli eventi della guerra, Michele Tagliacozzo dice che senza Pio XII molti ebrei non sarebbero vivi. Il rabbino capo di Roma, Israel Zolli, si convertì al cattolicesimo. Il rabbino capo di Danimarca, Marcus Melchior afferma: “se il Papa avesse parlato, Hitler avrebbe massacrato più di sei milioni di ebrei”.
Altre testimonianze sono state rese da Albert Einstein che scriveva sul Time Magazine nel 1940 che “solo la Chiesa sbarra pienamente il cammino alla campagna hitleriana per la soppressione della verità. Prima d’ora non ho avuto alcun interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento un grande affetto e ammirazione per essa perché solo la Chiesa ha avuto il coraggio e la perseveranza di schierarsi dalla parte della verità intellettuale e della libertà morale. Sono pertanto costretto ad ammettere che quanto una volta disprezzavo, ora lo apprezzo senza riserve”; Chaim Weizman dichiara che “la Santa Sede sta prestando il suo potente aiuto dove può per attenuare la sorte dei miei correligionari perseguitati”; Moshe Sharrett (un futuro primo ministro israeliano) incontrò Pio XII, negli ultimi giorni di guerra e gli disse che il suo “primo dovere era di ringraziarlo e, attraverso lui, ringraziare la Chiesa cattolica da parte dell’opinione pubblica ebraica per tutto quanto avevano fatto nei vari paesi per salvare gli ebrei”; il rabbino capo di Terra Santa, Isaac Herzog, nel febbraio 1944, inviò un messaggio in cui dichiarava: “il popolo d’Israele non dimenticherà mai quello che Sua Santità e i suoi illustri delegati, ispirati dagli eterni princìpi della religione, che formano le vere basi di un’autentica civiltà, stanno facendo per i nostri sfortunati fratelli e sorelle nell’ora più tragica della nostra storia, prova vivente dell’esistenza della divina Provvidenza in questo mondo”; il segretario generale del “World Jewish Congress”, Leon Kubowitzky, nel settembre 1945, ringraziò personalmente il Papa per i suoi interventi e il Congresso Ebraico Mondiale donò 20.000 dollari alla opere caritative vaticane “in riconoscimento del lavoro svolto dalla Santa Sede nel salvare gli ebrei dalle persecuzioni fascista e nazista”.
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane proclamò altresì il 17 aprile come “il Giorno di Gratitudine”, per l'assistenza di Pio XII alle vittime di guerra e, in occasione della prima giornata, l'Orchestra Filarmonica d'Israele si recò in Vaticano, avendo chiesto alla Santa Sede di tenere un concerto in onore di Pio XII.
Tra altri difensori, occorre citare la rivista “Yad Vashem Studies”, sulle cui pagine, lo storico John Conway scrisse nel 1983 “un rigoroso studio delle molte migliaia di documenti pubblicati in questi volumi offre scarso sostegno alle tesi che l’autoperpetuazione ecclesiastica sia stata il motivo principale della condotta dei diplomatici vaticani. Piuttosto, l’immagine che ne emerge è quella di un gruppo di uomini intelligenti e coscienziosi, che cercarono di perseguire le vie della pace e della giustizia in un tempo in cui questi ideali erano inesorabilmente ridotti all’irrilevanza in un mondo di “guerra totale”; un altro rabbino di Roma, Elio Toaff, afferma che “più di chiunque altro noi abbiamo avuto modo di beneficare della grande e caritatevole bontà e della magnanimità del rimpianto Pontefice, durante gli anni della persecuzione e del terrore, quando ogni speranza sembrava essere morta per noi”.
In un'intervista all'agenzia di stampa Zenit, il rabbino e storico americano David G. Dalin ha dichiarato “durante il ventesimo secolo il popolo ebraico ha avuto un grande amico. Pio XII ha salvato più vite di ebrei di chiunque altro.
Oggi c’è una generazione di giornalisti impegnati a screditare gli sforzi documentati di Pio XII per salvare gli ebrei durante l’Olocausto. Questa generazione si è ispirata all’opera teatrale “Il Vicario” di Rolf Hochhuth, che però non ha alcun valore storico. Questi critici ignorano anche lo studio illuminante di Pinchas Lapide, che è stato console generale di Israele a Milano, il quale ha scoperto molti ebrei italiani sopravvissuti all’Olocausto. Nei documenti di Lapide si dice che Pio XII ha incoraggiato la salvezza di almeno 700.000 ebrei dai nazisti. Ma secondo un’altra stima, questa cifra sale a 860.000. Abbiamo un sacco di documentazione che dimostra che non stette proprio in silenzio, parlò infatti ad alta voce contro Hitler e quasi tutti lo vedevano allora come un oppositore del regime nazista. Durante l’occupazione tedesca di Roma, Pio XII ha segretamente incaricato il clero cattolico di salvare tutte le vite umane possibile con tutti i mezzi possibili. In questo modo vennero salvati migliaia di ebrei italiani dalla deportazione. Mentre l’80% degli ebrei europei morirono in quegli anni, l’80% degli ebrei italiani furono salvati. Solo a Roma, 155 conventi e monasteri diedero rifugio a 5000 ebrei. Almeno 3.000 vennero nascosti nella residenza pontificia di Castel Gandolfo. Seguendo le istruzioni dirette di Pio XII, molti preti e monaci resero possibile la salvezza di centinaia di vite di ebrei, rischiando la propria stessa vita. Il suo silenzio era una strategia efficace per proteggere il maggior numero di ebrei dalla deportazione. Un’esplicita e dura denuncia contro i nazisti sarebbe servita come invito alla ritorsione, e avrebbe peggiorato le disposizioni sugli ebrei in tutta Europa. Certamente ci si potrebbe chiedere: cosa c’è di peggio che lo sterminio di sei milioni di ebrei? La risposta è semplice e terribilmente onesta: l’assassinio di centinaia di migliaia di altri ebrei. I Vescovi cattolici provenienti dai Paesi occupati hanno consigliato a Pacelli di non protestare pubblicamente contro le atrocità commesse dai nazisti. Abbiamo le prove che, quando il vescovo di Münster avrebbe voluto parlare contro la persecuzione degli ebrei in Germania, il responsabile della comunità ebraiche della sua diocesi lo pregò di non farlo, avrebbe infatti provocato una repressione più dura contro di loro»
Molto significativa ed esaustiva è la ricerca condotta dalla “Pave the Way Foundation” (un'organizzazione con sede a New York che si pone l'obiettivo di promuovere il dialogo fra le religioni), fondata dallo storico ebreo Gary Krupp (uno dei difensori più convinti di Pio XII). Uno sforzo durato ben sei anni e che ha portato Krupp e il suo staff a scoprire circa 76mila pagine di materiale originale, oltre alle testimonianze oculari e ai contribuiti di studiosi internazionali di rilievo. Krupp si è dichiarato recentemente fiducioso che l’opera di diffamazione della memoria di Pio XII stia avviandosi alla sua conclusione. In un'intervista all'agenzia Zenit, Krupp ha dichiarato “stiamo decisamente vincendo, assolutamente non c’è dubbio su questo, ogni volta che approfondiamo la ricerca, troviamo un diamante, E’ incredibile, ma non c’è nulla dall’altra parte, perché non c’è una base documentata per nessuna delle accuse”.
Krupp e i membri della sua fondazione pensano che tutti i documenti che hanno portato alla luce dovrebbero agire per ogni studioso serio come una prova incontrovertibile del fatto che Pio XII, durante e dopo la seconda guerra mondiale, fece tutto quello che era in suo potere per proteggere e difendere gli ebrei.
In una delle sue scoperte, la Fondazione ha portato alla luce una lettera scritta nel 1939 dal cardinale Pacelli in cui l'allora Segretario di Stato Vaticano tentava di ottenere i visti per 200.000 ebrei che restavano in Germania dopo la Notte dei Cristalli. Sostiene Krupp che Pacelli “non è riuscito a ottenere i visti, ma ci ha provato. E il punto è che non l’ha fatto dalla tranquillità di Washington, D.C. o di Londra. L’ha fatto mentre era circondato da forze ostili e infiltrato da spie. E tuttavia è riuscito a salvare più ebrei di tutti gli altri leader mondiali messi insieme” .
E' stato molto importante il lavoro di Krupp e della sua organizzazione anche in relazione alla situazione del gran numero di ebrei romani in monasteri, conventi e case di cattolici. In questo senso, la Fondazione ha scoperto che, nella Roma occupata dai nazisti, operava anche una rete clandestina, che faceva perno attorno a don Giancarlo Centioni, fortemente voluta da Pio XII (di cui si parlerà in seguito).
Secondo Krupp, la “leggenda nera” su Pio XII è frutto della propaganda sovietica e degli effetti dell’opera teatrale “Il vicario”, scritta da un autore tedesco, Rolf Hochhut, alla fine degli anni ’50. Una “leggenda nera” che ancora continua a essere diffusa a dispetto della forte documentazione storica contraria .
La studiosa dell'Olocausto Susan Zuccotti ha negato che l'aiuto prestato agli ebrei dal mondo cattolico, fosse stato dato sulla base di precise disposizioni di Pio XII. La Zuccotti è stata smentita dal cardinale Pietro Palazzini e da don Aldo Brunacci, stretto collaboratore del vescovo di Assisi  Giuseppe Nicolini nell'aprire i conventi e gli altri istituti religiosi agli ebrei. Egli assicura di aver visto l'ordine scritto della Santa Sede al vescovo Nicolini che prescriveva di offrire ogni asilo possibile a perseguitati politici e a ebrei.
Seguendo le istruzioni di Pio XII, singoli sacerdoti italiani, monaci, monache, cardinali e vescovi si prodigarono (a Roma e altrove) per salvare la vita a migliaia di ebrei. Il cardinale Boetto di Genova ne salvò almeno ottocento. Il vescovo di Assisi nascose trecento ebrei per oltre due anni. Il vescovo di Campagna, mons. Giuseppe Maria Palatucci, e due suoi parenti (fra cui il questore Giovanni Palatucci, deportato e ucciso a Dachau) ne salvarono anche di più a Fiume.
A testimonianza di come le tematiche relative all'operato di Pio XII, durante il secondo conflitto mondiale, siano di straordinaria attualità, ma anche di come la storiografia si stia muovendo vero una riabilitazione di Papa Pacelli vi è un recentissimo avvenimento risalente al 2 luglio 2012.
Ovvero la rettifica che lo “Yad Vashem” ha voluto porre in essere nel testo della lapide del museo dell'Olocausto, in cui, precedentemente, si criticava il suo operato, additandolo di non aver protestato contro i nazisti per lo sterminio degli ebrei, di non aver denunciato il razzismo e l'antisemitismo e di non essere intervenuto contro la razzia degli ebrei romani.
Nel nuovo testo, invece, si riconosce che già nel 1942, nel corso del radiomessaggio di Natale, Pio XII prese le difese di tante persone ad alto rischio di atrocità.
Il nuovo testo sottolinea un numero considerevole di attività di soccorso che la Chiesa cattolica ha operato per salvare gli ebrei. Si indicano i casi in cui lo stesso Pontefice è intervenuto per incoraggiare le attività di soccorso e salvaguardia verso numerosi individui. In ultima istanza, l'autorevole istituzione ebraica riconosce che Papa Pio XII salvò vite umane.
Una storica decisione che permette la definizione di nuove basi per il futuro di codesto importante dibattito sulla figura di tale Pontefice, da cui la storiografia e la coscienza collettiva potranno ripartire.

1.5 Il “silenzio” di Pio XII di fronte alla Shoah

In effetti, si è molto parlato del “silenzio” di Pio XII durante la seconda guerra mondiale, di fronte alla Shoah, senza spiegare perché tacque. Il 29 settembre 1939, il governo francese chiese tramite il proprio ministro degli esteri Deladier di parlare e di non sottrarsi all'onere di spendere una parola in favore della nazione e del popolo polacco; il ministro non chiedeva di denunciare la Germania, tuttavia riteneva che si dovesse denunciare l'aggressione sovietica in Polonia e chiedeva al Papa di parlare contro una tale aggressione e di sanzionarla. Ma il riferimento al giovamento che ne avrebbe tratto l'opinione pubblica e i cattolici, indurrebbe a ipotizzare che Deladier intendesse riferirsi, senza nominarla, anche alla Germania nazista. Perché Deladier chiedeva a Pacelli di sanzionare l'operato dell'Unione Sovietica, con cui la Francia non era in guerra, senza nominare il paese con cui la Francia era belligerante? Naturalmente c'era una pluralità di fattori per cui la Francia chiedeva al Vaticano un “silenzio selettivo”: tacere sull'aggressione tedesca e parlare di quella sovietica nei confronti della Polonia. Deladier non parlava dei tedeschi perché temeva che questi sferrassero una più repentina offensiva a occidente, ponendo fine alla “guerra per burla” (“la drole de guerre”) e perché pensava che il Vaticano aveva delle grosse difficoltà a condannare i nazisti.
A riguardo di ciò, nel 1964, Guenter Lewy scrisse “I nazisti e la Chiesa”, nel 1966 lo seguì “Pio XII e il Terzo Reich. Documenti” di Saul Friedländer. Entrambi gli autori nei loro trattati sostenevano che l’anticomunismo di Pio XII lo aveva portato ad appoggiare Hitler, da lui visto come baluardo contro i sovietici.
Queste accuse sono facilmente opponibili poiché, mentre dal 1989 sono aumentate le informazioni relative alle atrocità sovietiche e le paure nei confronti di Stalin apparivano più giustificate di quanto potessero sembrare a metà degli anni 1960, di fatto non mancano le prove che Pio XII avesse ponderato accuratamente le minacce dell'epoca. Si potrebbe citare, in tal senso, la frase che nel 1942 egli disse a un visitatore: “è ben vero che il pericolo comunista esiste, ma in questo momento la minaccia nazista è più seria”. Egli intervenne altresì presso i vescovi americani per sostenere la concessione di prestiti ai sovietici e si rifiutò esplicitamente di benedire l’invasione nazista della Russia. E quando, nel 1943, l'ambasciatore spagnolo Domingo de las Barcenas sarà ricevuto da Pio XII, per convincerlo a dare l'avallo ad una coalizione antisovietica in cambio della fine della guerra, si sentirà rispondere: “la persecuzione nazista è più pericolosa di qualsiasi persecuzione precedente”.
Di fronte al nuovo dramma mondiale, i problemi dell'atteggiamento da tenere non sono valutabili opponendo sempre la parola al silenzio. “Silenzio”, poi non significa “assenza di azione o protesta”. Tutto ciò richiedeva delle modalità: non essere plateali; conservare intatti i canali d'informazione, trovare il modo adeguato per manifestare la propria posizione.
Non si può dire che Pio XII scelse una via diplomatica; il suo modo di agire fu, invece, sperimentato giorno per giorno sulla base delle mutevoli circostanze belliche. Ad esempio, nel caso della Polonia, il riserbo apparve come la scelta per non peggiorare la condizione delle vittime; in non-pochi casi furono le popolazioni soggette ad Hitler a chiedere alla Santa Sede di “tacere”.
Nel resoconto che l'ambasciatore italiano in Vaticano Dino Alfieri fa della sua udienza di congedo da Pio XII, rileviamo che il Papa gli disse chiaramente che non temeva le conseguenze di parole o atti usciti dalla sua bocca o dalle sue mani: si trattasse perfino della sua stessa deportazione.
Lo stesso Pio XII, stando a quel documento, si rimproverò di non aver potuto parlare più chiaramente sul dramma polacco “ci trattiene dal farlo il sapere che renderemmo la condizione di quegli infelici, se parlassimo, ancor più dura”, sicché Pio XII aveva preferito parlare più apertamente in alcuni casi (es. con i sovrani di Belgio, Olanda e Lussemburgo), ma mantenere il riserbo di fronte al caso polacco.
Il gesuita Padre Dezza, personaggio autorevole della Roma dell'occupazione, tenne gli esercizi spirituali al Pontefice e alla curia nel dicembre 1943: in questa occasione, Pio XII disse chiaramente dell'invito dei vescovi polacchi a non parlare, poiché questo avrebbe causato sofferenze maggiori: Pacelli, proprio come Pio X ai suoi tempi, aveva dovuto mantenere il silenzio sulle feroci persecuzioni in Russia nei confronti dei cristiani. In quel colloquio, il Papa parlò anche del pericolo di un suo eventuale rapimento rimarcando che tale prospettiva non lo spaventava. La sostanza era “se parlo, faccio del male a loro”.
Lo storico Jedin (rifugiato in Vaticano) sostenne che l'idea di una pubblica condanna non fu presa in considerazione; non è d'accordo su questo mons. Carlo Respighi, maestro delle cerimonie pontificie, che chiedeva al card. Maglione una forte presa di posizione visto il disgusto che la mancanza di questa “aveva causato ad intere popolazioni”.
In una conversazione col delegato apostolico Roncalli (nel 1941), Pio XII parlò dei rischi di una condanna esplicita del nazismo per l'unità della Chiesa (visto che parte dei cattolici tedeschi si erano nazistificati) e, inoltre, si temeva un aumento dell'aggressività verso la Chiesa in Germania e gli altri perseguitati. Dunque prevale ancora una volta la tesi che una forte presa di posizione, avrebbe causato maggiori sofferenze a chi già soffriva. Andrea Riccardi aveva avanzato tale ipotesi già dal 1984.
Inoltre, da non dimenticare le responsabilità assunta dal Vaticano nell'avere preso l'impegno di custodire numerosi ospiti negli edifici dipendenti dall'Autorità ecclesiale, proprio a Roma. Dunque, la scelta del Papa fu quella di un rapporto con i tedeschi che preservasse la Chiesa da intromissioni nei suoi spazi.
Richard Breitman -l’unico storico autorizzato a studiare gli archivi della seconda guerra mondiale dello spionaggio statunitense- ha osservato che i documenti segreti provano fino a qual punto “Hitler diffidava della Santa Sede perché nascondeva gli ebrei”.
Il vescovo Jean Bernard del Lussemburgo, detenuto a Dachau dal 1941 al 1942, informò il Vaticano che “tutte le volte che venivano sollevate proteste, il trattamento dei prigionieri immediatamente peggiorava”. Verso la fine del 1942, l’arcivescovo Sapieha di Cracovia e due altri vescovi polacchi, avendo sperimentato le selvagge rappresaglie naziste, pregarono Pio XII di non pubblicare le sue lettere sulle condizioni della Polonia.
Venne letta nelle chiese cattoliche olandesi nel luglio del 1942 una lettera pastorale dei vescovi olandesi che condannava “lo spietato e ingiusto trattamento riservato agli ebrei”. La lettera, probabilmente ispirata da Pio XII, si rivelò essere controproducente. Nota Lapide nel libro “Roma e gli ebrei”: “la conclusione più triste e sulla quale ci sarebbe molto da riflettere è che, mentre il clero cattolico d’Olanda protestava più vibratamente, più formalmente e più spesso contro le persecuzioni ebraiche di qualsiasi altro, è stata proprio l’Olanda che ha visto il numero maggiore di ebrei - circa 110.000, cioè il 79 per cento di tutta la locale comunità ebraica- deportati verso i campi di sterminio, più di qualunque altro Stato dell’Europa occidentale”.
Le questioni sono alquanto più complesse perché non si tratta di un problema di denunce pubbliche contro un'ideologia e un regime. Se la struttura ideologica-politica del nazismo non fosse stata una realtà che pretendeva di soggiogare il mondo, una denuncia di quell'ideologia avrebbe potuto spingere Hitler a migliori consigli. Il Vaticano denunciò il regime bolscevico, mentre con il nazismo usò altri mezzi trattandosi di una questione di modalità e tempi.
Modalità: probabilmente si aveva in Vaticano un quadro di opzioni più variegato dell'alternativa denuncia/non denuncia. Di tempi: si dice che l'Enciclica “Mit Brennender Sorge” non sia stata una denuncia al nazismo, ma nel contempo si afferma che Pio XI fu più fermo di Pio XII di fronte al nazismo. Si tratta di un'incongruenza.
Si dice che la “Divini Redemptoris” sia stata una condanna del comunismo, provandosi così la politica di due pesi e due misure, tralasciando che la “Divini Redemptoris” non era una condanna dei popoli dell'Unione Sovietica, bensì una condanna all'ideologia. Si può così affermare che tra il pontificato di Ratti e quello di Pacelli si riscontra una linea di continuità.
Si trascura, infine, che tutte le grandi potenze europee riconoscevano la Germania e il regime nazista e che il trattamento riservato agli ebrei tedeschi era considerato affare interno alla Germania. Di fronte ad una situazione del genere c'è chi pensa che una denuncia vaticana avrebbe indotto Hitler alla resipiscenza e persino al crollo nazista. Nel valutare quali azioni Pio XII avrebbe potuto svolgere, alcuni ritengono che avrebbero sortito qualche effetto delle scomuniche comminate esplicitamente. Certo, i nazisti battezzati erano già incorsi automaticamente nella scomunica per varie ragioni: dalla mancata frequenza alla Messa, all’omicidio non confessato e al pubblico ripudio del cristianesimo. Come rivelano i suoi scritti e le conversazioni a tavola, era da molto tempo (prima di salire al potere) che Hitler aveva smesso di considerarsi cattolico, anzi, adesso si considerava un acerrimo nemico della Chiesa. Dunque, una dichiarazione pontificia di scomunica non si vede come avrebbe potuto, in qualche misura, giovare.
Robert M. W. Kempner (il sostituto procuratore a Norimberga) -in una lettera di risposta al direttore del periodico Commentary , che nel 1964 aveva pubblicato un brano di un libro di Guenter Lewy- rievocò la sua esperienza al processo di Norimberga per affermare che “ogni mossa propagandistica della Chiesa cattolica contro il Reich hitleriano sarebbe stato non solo “un procurato suicidio”, ma avrebbe affrettato l’esecuzione di ancor più numerosi ebrei e sacerdoti”.
Un altro elemento da considerare per comprendere la questione del “silenzio vaticano” è che la seconda guerra mondiale non riproduceva nessuna delle guerre dell'età contemporanea. Tutto questo segnò il mutare di una tradizione diplomatica, da parte della Germania, anche in termini di politica estera. La reazione dell'Europa, nell'interpretare il mutamento dei tempi, fu invece assai lenta. Se fosse stato diversamente l'Austria e la Cecoslovacchia sarebbero state indipendenti.
Pur non esistendo la tecnologia di oggi, che ci consente di venire a conoscenza dei fatti in tempo reale, tuttavia, si preferisce affermare che la Santa Sede disponeva di reti informative, per cui sapeva ciò che avveniva dietro i lager e, pur sapendo, tacque o rimase passivamente a guardare la Shoah. Ma l'analisi storica trascura elementi importanti, prima di giudicare Pio XII. Quando il 9 marzo 1942, mons. Burzio, diplomatico vaticano in Slovacchia, trasmise a Roma la notizia sull'imminente deportazione di tutti gli ebrei slovacchi in Galizia e nella regione di Lublino, i rapporti con la Santa Sede erano difficili perché molti ministri slovacchi erano favorevoli all'eliminazione degli ebrei e alla loro deportazione. Esistono diversi documenti, datati dal 12 marzo al 17 giugno 1942, che attestano l'intervento del Vaticano per evitare la deportazione degli ebrei slovacchi e che ragazze dai 16 ai 25 anni venissero inviate al fronte, come prostitute per i soldati tedeschi.
In Vaticano, in realtà, si sapeva dello sterminio degli ebrei, ma con percezione diversa, rispetto al dopoguerra. Vi era stato il precedente dello sterminio degli armeni nel 1917, quando Pacelli occupava il ruolo che adesso apparteneva a Tardini e al soglio Pontificio vi era Benedetto XV. Allora la diplomazia vaticana aveva svolto un'azione in grande stile, Papa Dalla Chiesa aveva scritto al sultano dell'Impero Ottomano e tentò, per vie diplomatiche, di far intervenire le potenze europee sue alleate. Adesso però, nel contesto del secondo conflitto mondiale, il Vaticano non poteva contare su un contatto rilevante come quello che aveva con l'Austria-Ungheria durante la prima guerra mondiale.
A Roma, ove operava il Papa, si toccava con mano l'opera di sterminio posta in essere dal nazismo. Pacelli sperava in una sconfitta del Terzo Reich, anche se l'atteggiamento degli Alleati verso la Santa Sede non lo esaltava e temeva molto l'enigma della Russia bolscevica. Egli si fidava poco del quadro internazionale che si era creato. Ernesto Bonaiuti scrisse in seguito che Pacelli, divenuto Papa, non si fidava più di tanto dello strumento diplomatico, ritenuto da lui poco funzionante. Per questo, Pio XII con il tempo maturò la prassi di rivolgersi ai popoli più che ai leaders, al fine di alleviare, nei limiti del possibile, la sofferenza di tante persone.
Parlando delle informazioni giunte in Vaticano, si cita una lettera del 12 maggio 1942 del cappellano dei treni-ospedale dell'Ordine di Malta don Pirro Scavizzi, il quale scriveva “la lotta antiebraica si va sempre più aggravando. La strage degli ebrei in Ucraina è ormai al completo. In Polonia e in Germania la si vuole portare al completo con le uccisioni di massa”. Chi intenda usare questo documento per dimostrare quante notizie sulla Shoah fosse in possesso il Vaticano, deve considerare alcuni elementi. Scavizzi, qualche tempo prima, aveva scritto che l'arcivescovo di Cracovia Adam Sapieha stava bene in salute, ma era profondamente afflitto perché non poteva, con completa sicurezza, comunicare con il Santo Padre, né con il Nunzio Apostolico. Questa lettera, prima di giungere in copia dattiloscritta, fece un percorso molto complicato. Ciò conferma il persistere di difficoltà nel far giungere in Vaticano notizie tempestive, esatte, accurate e non invece parafrasate, sulla sorte degli ebrei nella Polonia occupata.
Un'altra citazione riprodotta per dimostrare quante e quali notizie arrivassero alla Santa Sede sulla sorte degli ebrei e quella tratta da un dispaccio del Nunzio a Berlino, mons. Orsenigo, che il 28 luglio 1942 telegrafò al Vaticano: “corrono voci, difficili a controllarsi, di viaggi disastrosi e di eccidi di massa degli ebrei”.
Se consideriamo il documento nella sua interezza e collochiamo la citazione nel suo habitat naturale, esso indica che era molto difficile sapere esattamente che cosa succedeva agli ebrei e si poteva andare solo per supposizioni. Il 17 luglio 1942, l'abate Marcone scrisse da Zagabria, informando il Vaticano che, secondo il capo della polizia croata, “in Germania sono stati uccisi due milioni di ebrei. Pare che la stessa sorte attenderà gli ebrei croati, specialmente se vecchi e incapaci al lavoro”. Queste frasi, citate da sole e avulse dal contesto in cui sono inserite, potrebbero dare ragione alla tesi di una politica inerziale e passiva del Vaticano. Il dispaccio dell'abate Marcone non restò inascoltato; fu fatto il passo, da parte della Santa Sede, presso le autorità croate, per il tramite di Marcone e furono interessati i Nunzi di Budapest e Bucarest.
Su incarico della Santa Sede, l'abate Marcone si mosse per ovviare alla triste condizione degli ebrei croati, ma poi egli dovette prendere atto della sostanziale inefficacia delle sue azioni. A riguardo dell'opera di salvataggio di ebrei e zingari in Croazia, non si può sottostimare l'opera del vescovo di Zagabria, Alojzije Viktor Stepinac, poi imprigionato dal regime comunista nel 1946 e morto in carcere nel 1960. Nel frattempo Pio XII lo aveva fatto cardinale nel 1953
Fra il 29 e il 31 agosto 1942, mons. Andrea Szeptycky, metropolita di Leopoli dei Ruteni, inviava un messaggio da cui si evinceva che, per molto tempo, aveva ritenuto di non poter inviare al Papa le preziose informazioni di cui il Vaticano abbisognava per il timore che esse cadessero nelle mani sbagliate. La lettera descriveva gli orrori del giogo nazista peggiori di quelli inferti dal bolscevismo. Inoltre ricordava che, all'inizio dell'occupazione, i nazisti cercavano di addossare la colpa dei loro crimini ai ruteni e ciò creava confusione su “chi stesse facendo che cosa”, infine informava che oggetto degli assassinii era anche la popolazione locale.
Altre due citazioni sono chiamate in causa: un appunto di Montini sul resoconto di un colloquio con il conte Giovanni Malvezzi dell'IRI; un messaggio del rappresentante personale di Roosevelt presso il Papa, Myron Taylor.
Il primo ci informa che erano in corso dei bombardamenti e che vi sarebbero stati prevedibili massacri con rese di conti fra due atavici nemici (polacchi e russi), messi in atto dai sovietici sulle inermi città polacche e che c'era una collaborazione dei polacchi con i nazisti nello sventramento dei ghetti in Polonia. Il secondo parla della liquidazione del ghetto di Varsavia, esecuzione di massa di ebrei e non ebrei, di ebrei deportati e mandati al massacro. Questo documento non può essere utilizzato per dimostrare che la Santa Sede sapeva quanto stava accadendo in Polonia, perché Taylor chiedeva alla Santa Sede la verifica delle notizie in suo possesso. In questo senso fu inviata un’apposita nota al governo americano. Questo non fu un discarico di responsabilità da parte della Santa Sede, in quanto in ogni Stato investito dal dramma della Shoah, il grado di incertezza era lo stesso, come dimostra la vicenda di un noto personaggio, Gerard Riegner.
Egli, avvocato ebreo tedesco (membro del “World Jewish Congress” in Svizzera) divenne famoso per il suo dispaccio dell'8 agosto 1942, con cui volle trasmettere ad eminenti ebrei inglesi e americani, oltre che al Foreign Office di Londra e al Dipartimento di Stato di Washington, alcune allarmanti notizie in merito alla Shoah, a lui pervenute da un industriale tedesco, Edward Shulte.
In questo messaggio appare alta la percentuale di inesattezza delle informazioni: “è stato discusso ed allo studio un piano” per sterminare gli ebrei, ma il piano di sterminio era già in atto. C'è poi la fase conclusiva sull'incertezza delle fonti, cui Riegner attingeva. Questa chiusa era stata voluta dal diretto superiore di Riegner, il giurista Paul Guggenheim, il quale impose di eliminare un accenno sull'esistenza di un forno crematorio e di aggiungere la precisazione che l'accuratezza delle fonti non poteva essere controllata. Ma con quali mezzi e tempi lo sterminio era previsto? Questo aspetto non emergeva con la necessaria chiarezza. Per Richard Breitman, che ha collaborato alla declassificazione dei documenti dei Servizi Segreti del suo paese, il rapporto di Riegner derivava da informazioni di Shulte e che rappresentavano il primo tentativo di fare chiarezza sulla Shoah.
Il dispaccio di Riegner, per quanto impreciso, fu considerato una pietra angolare delle informazioni sulla Shoah, ma alquanto tardi. Il dispaccio subì diverse traversie, intercettato dagli alleati nell'agosto 1942, sarebbe restato nei loro archivi se Riegner non fosse riuscito a farlo giungere, per altre vie, ai suoi correligionari.
Si può dire che, fino a quando esso non fu pubblicato il 25 novembre 1942, sul dispaccio-Riegner nutrivano dubbi ebrei e alleati; sicché furono altre informazioni e le pressione ebraiche a spingere gli alleati all'azione. Essa rappresenta una ricostruzione ex-post non in grado di modificare la terribile verità sulla Shoah.
Altri elementi sulla vicenda dei problemi informativi: la autorità elvetiche non si comportarono diversamente sul documento che due scampati al lager diffusero al mondo. Il problema principale era di sapere che cosa stava accadendo in un mondo quasi impenetrabile come quello nazista. Si consideri poi che l'esattezza dell'informazione poteva implicare aspetti diversi fra loro. Ecco perché si continuò ad argomentare sui “si dice” e sui “sembra che”. Si doveva sapere ciò che stava accadendo con la maggiore esattezza possibile.".

Nella Shoah l'uomo si degradò e divenne peggio di una bestia, per l'abiezione mostrata.
Una cosa del genere non dovrà più ripetersi.
Cordiali saluti.

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