Un amico mi ha fatto avere questo sua nota su Facebook:
"Poiché talvolta accade di imbattersi in persone che si definiscono "credenti", "cristiane", "cattoliche", e magari a sproposito si mettono anche a citare ipotetici passi delle Sacre Scritture in cui Gesù avrebbe maledetto gli Ebrei, a patetica giustificazione del loro razzismo, che ha matrice nazista ma che vorrebbero giustificare in qualche modo, vale la pena chiarire una volta per tutte alcuni aspetti, semplici se vogliamo, che però questi personaggi ignorano o fingono di ignorare.
Gesù in realtà si chiamava Yĕhōšuă‘ era nativo di Betlemme ma la sua famiglia era di Nazareth, Nazareth era in Galilea, territorio di lingua, cultura ed etnia ebraica.
Sua madre Maria in realtà si chiamava Miriam, era israelita di Nazareth.
Suo padre (ritenuto putativo nella Religione Cristiana) era Giuseppe, di professione falegname, il cui nome in realtà era Yosef, non era semplicemente ebreo, ma discendeva addirittura da Re David.
Da questi semplici fatti storici ne deduciamo che Gesù era ebreo al 100% (e non era quindi di pura razza ariana germanica...)
Ma esiste la natura Divina del Cristo, per cui Egli in realtà sarebbe Figlio di Dio. Abbiamo già detto che la sua natura umana è puramente ebraica, quella divina, secondo la Teologia Cristiana discende dal Dio di Israele, di Abramo, Isacco e Giacobbe. Quindi ancora una volta una natura ebraica, seppur divina.
Ma non solo.
Egli predicò per tutta la durata della sua vita entro i confini di Israele, al popolo di Israele, ed ebbe come discepoli cittadini di Israele (della Galilea per lo più).
Viene sostenuto dai fautori del "deicidio" degli Ebrei che essi lo avrebbero messo a morte, e questa è un'altra odiosa distorsione dei fatti.
Egli secondo alcuni viene tradito da uno dei suoi discepoli (Giuda Iscariota o Yehuda ben Issacar) in contatto con una fazione, gli Zeloti, che considerava Gesù come un rivale, ed è vittima di una congiura da parte di alcuni membri del Sinedrio (o Sanhedrin), un organo religioso, si molto importante ma che sicuramente non poteva nè voleva nè doveva rappresentare tutto Israele, che peraltro all'epoca era diviso in almeno tre stati (Galilea, Samaria, Giudea), ma altri membri del Sinedrio non volevano che gli fosse fatto alcun male, uno dei quali è Giuseppe d'Arimatea. Per cui dire che tutti gli Ebrei (come una pazza ha scritto tempo fa) "sono malatetto tattìo perchè hanno ucciso Gesù" sarebbe come dire che i tutti i Romani "sono malatetto tattìo" perchè hanno ucciso Giulio Cesare.
A parte il fatto che chi sevizia ed uccide fisicamente il Cristo sono propriamente i Romani, quindi semmai i colpevoli sono (e chi ne sa di giurisprudenza può stabilire il grado di responsabilità oggettiva):
un manipolo di membri del Sinedrio di etnia ebraica (una decina di persone) in qualità di mandanti,
i Romani in qualità di esecutori,
un centinaio di persone in piazza che "vota" per salvare un altro (tale Bar Abbas un nome che non vuol dire nulla, perchè indica semplicemente "figlio del padre") senza magari nemmeno sapere chi fossero i due, pertanto come complici più o meno consapevoli,
sfugge o meglio finge di sfuggire però che (non so quanti fossero esattamente all'epoca) ma forse 100.000 forse un milione di ebrei dell'epoca semplicemente ignora quello che stava succedendo, sparsi sia in Gerusalemme (anzi molti seguono con disapprovazione la condanna di Gesù innocente), ed il resto in tutto il territorio di Israele.
Poi:
Abbiamo detto che i discepoli erano tutti ebrei. I Cristiani dei primi tempi erano semplicemente dei buoni e devoti ebrei che avevano riconosciuto Gesù come Messia. Altri in Israele non hanno mai ricevuto il Suo messaggio, ed altri hanno semplicemente detto "no grazie", ne vogliamo fare una colpa?
Anche tra i Romani, tra i Greci, tra i Germani, tra gli Slavi ed in tutto il mondo ci sono stati chi hanno seguito l'insegnamento e liberamente si sono convertiti e c'è chi non lo ha fatto. Però, guardacaso, il popolo di Gesù è preso di mira più degli altri per non essersi convertito in massa. Anzi questa mancata risposta diventa non più semplicemente ignorare ma colpire e uccidere. Questo è francamente grottesco, totalmente ridicolo.
Le prime avvisaglie di un cristianesimo antisemita si hanno diversi secoli dopo la predicazione di Gesù. Nel Nuovo Testamento c'è una Lettera agli Ebrei e le comunità Cristiane ed Ebraiche sono praticamente indistinguibili. Molto probabilmente i protocristiani praticavano anche la circoncisione, oltre ad adottare per intero le varie osservanze della Torah.
I capi delle Chiese che si andavano formando erano quasi certamente tutti ebrei, ed una prova semplice è data dall'utilizzo da parte delle gerarchie ecclesiastiche non solo cattoliche, ma anche ad es. anglicane dello "zuccotto" che altro non è che la kippah, ossia il copricapo tradizionale ebraico.
Il primo Papa Pietro (il cui nome è Shimon) ed i formalizzatori della religione Cristiana, come Paolo (in origine Saul) sono ebrei, e una quantità notevole di Santi e Martiri (martirizzati sotto Roma mentre non risultano atti particolarmente persecutori da parte degli Ebrei Israeliti contro i Cristiani) sono ebrei.
La cerimonia della Messa, scandita dagli Amen, e dagli Alleluja (parole ebraiche), per quanto ne sappia è una variante dei riti di offerta e sacrificio dei Rabbi Israeliti.
Alla luce di tutto ciò, mi domando da Cattolico non praticante ma abbastanza edotto nella propria religione come si fa a non vergognarsi di certi atteggiamenti di queste persone che hanno la faccia tosta di definirsi credenti.
Il Cristianesimo nasce dall'Ebraismo, cresce nell'Ebraismo, e si sviluppa nell'Ebraismo. Poi si diffonde come religione universale.
Un vero Cristiano, che si considera tale, rispetta Israele e rispetta gli Ebrei, e non è un caso che si parla di radici non Cristiane, ma Giudaico-Cristiane dell'Occidente e dell'Europa moderna."
Da cattolico praticante, non solo rispetto gli ebrei ma li guardo anche con stima e li amo come fratelli, per il loro attaccamento alla Parola di Dio che viene trasmessa di generazione in generazione.
Non c'è dubbio, essi sono nostri fratelli.
Sono d'accordo con quanto scritto ed aggiungo che i primi cristiani non di origine ebraica furono quelli di Antiochia , la cui comunità fu fondata tra il 44 ed il 45 AD.
Prima della nascita della Chiesa di Antiochia, tra cristiani ed ebrei non ci furono differenze.
Anzi, essi frequentavano il Tempio di Gerusalemme e partecipavano a tutte le funzioni ebraiche.
Le uniche differenze stavano nelle celebrazioni del Battesimo e della Santa Cena.
Gesù Cristo nostro Signore non predicò mai l'odio nei confronti degli ebrei.
Anzi, egli disse: "Ama il prossimo tuo come te stesso".
Se non sono prossimi gli ebrei...chi altro può esserlo?
Poi, successe qualcosa.
Nella comunità ebraica successiva alla morte (e resurrezione) di Cristo ci furono dei movimenti.
Ci fu uno scontro tra gli ebrei di lingua e cultura ebraica e quelli di lingua greca.
Di questo secondo gruppo fece parte Santo Stefano, il primo martire cristiano.
Questi fu un giudeo-cristiano di lingua greca.
In seguito, gli ebrei di lingua greca dovettero scappare ad Antiochia.
Qui la nuova religione cristiana iniziò a diffondersi tra i pagani, iniziando a staccarsi dall'Ebraismo.
Da qui sorsero i problemi della circoncisione, del dovere mangiare cibi kosher e dell'uso dei riti ebraici.
Per i cristiani di Gerusalemme, ancora legati all'Ebraismo, chi voleva convertirsi al Cristianesimo doveva prima farsi ebreo, facendosi circoncidere.
Questo creò malumore tra i cristiani di origine pagana, che con le predicazioni di San Paolo crescevano di numero.
Solo il Concilio di Gerusalemme (50 AD) riparò questa frattura.
Il brano del libro degli Atti degli Apostoli (capitolo 15, versetti 23-29) parla chiaro:
Fu un compromesso.
Questo determinò la nascita del Cristianesimo come religione a sé e portò anche la cosa negativa del pregiudizio verso gli ebrei.
Infatti, con la crescita della Chiesa nell'Europa ci furono sempre più apologeti di origine pagana.
Questi furono sempre in competizione con quelli di origine ebraica.
Da qui nacquero certi problemi.
Tuttavia, sia nella tarda età romana e sia nel Medio Evo non ci fu mai un antisemitismo forte.
Gli episodi di violenza contro gli ebrei avvenivano solo nei gravi momenti di crisi e spesso per ragioni che nulla ebbero a che fare con la fede.
La Chiesa fu forte ed il Papa poteva scomunicare un re e togliergli il potere.
L'antisemitismo, guarda caso, iniziò a crescere con il declino della Chiesa, a partire dal XIV secolo.
Nel 1348, con il Papa prigioniero in Avignone, ci fu la peste.
La gente fu lasciata a sé stessa e si imbarbarì.
Non c'erano più preti ed i morti non ricevevano la sepoltura cristiana.
Sorse un movimento di predicatori laici, quello dei flagellanti.
Questi, ben presto, iniziarono a predicare l'odio contro gli ebrei.
Purtroppo, queste predicazioni istigarono alla violenza i poveri cittadini.
Questi si scagliarono contro gli ebrei.
Particolarmente gravi furono i fatti che accaddero in Renania.
Il caso più noto, però, fu quello di Martin Luther (Martin Lutero 1483-1546) che scrisse sugli ebrei:
"Io voglio dare il mio sincero consiglio.
In primo luogo bisogna dare fuoco alle loro sinagoghe o scuole; e ciò che non vuole bruciare deve essere ricoperto di terra e sepolto, in modo che nessuno possa mai più vederne un sasso o un resto. E questo lo si deve fare in onore di nostro Signore e della Cristianità, in modo che Dio veda che noi siamo cristiani e che non abbiamo tollerato nè permesso – consapevolmente – queste palesi menzogne, maledizioni e ingiurie verso Suo figlio e i Suoi cristiani. Perché ciò che noi fino a ora abbiamo tollerato per ignoranza (io stesso non ne ero a conoscenza) ci verrà perdonato da Dio. Ma se noi, ora che sappiamo, dovessimo proteggere e difendere per gli ebrei una casa siffatta, nella quale essi – proprio sotto il nostro naso – mentono, ingiuriano, maledicono, coprono di sputi e di disprezzo Cristo e noi (come sopra abbiamo sentito), ebbene, sarebbe come se lo facessimo noi stessi, e molto peggio, come ben sappiamo.
Mosè scrive al XIII capitolo del Deuteronomio, che se una città pratica l’idolatria, bisogna distruggerla completamente col fuoco e non conservarne nulla. E se egli ora fosse in vita, sarebbe il primo a incendiare le sinagoghe e le case degli ebrei. Perchè ordinò molto severamente ai capitoli IV e XII del Deuteronomio di non togliere nè aggiungere niente alla sua legge. E Samuele dice al XV capitolo del I libro che non obbedire a Dio è idolatria. Ora, la dottrina degli ebrei non è altro che glosse di rabbini e idolatria della disobbedienza, cosicché Mosè è diventato del tutto sconosciuto presso di loro (come si è detto), proprio come per noi sotto il papato la Bibbia è diventata sconosciuta. E dunque anche in nome di Mosè le loro sinagoghe non possono essere tollerate, perché diffamano loro tanto quanto noi, e non è necessario che essi abbiano per una simile idolatria le loro proprie, libere chiese.Secondo: bisogna allo stesso modo distruggere e smantellare anche le loro case, perché essi vi praticano le stesse cose che fanno nelle loro sinagoghe. Perciò li si metta sotto una tettoia o una stalla, come gli zingari, perché sappiano che non sono signori nel nostro Paese, come invece si vantano di essere, ma sono in esilio e prigionieri, come essi dicono incessantemente davanti a Dio strillando e lamentandosi di noi.
Terzo: bisogna portare via a loro tutti i libri di preghiere e i testi talmudici, nei quali vengono insegnate siffatte idolatrie, menzogne, maledizioni e bestemmie.
Quarto: bisogna proibire ai loro rabbini – pena la morte – di continuare a insegnare, perchè essi hanno perduto il diritto di esercitare questo ufficio, in quanto tengono prigionieri i poveri ebrei per mezzo del passo di Mosè, al XVII capitolo del Deuteronomio, nel quale egli ordina a quelli di obbedire ai loro maestri, pena la perdita del corpo e dell’anima; mentre invece Mosè aggiunge con chiarezza: in «ciò che ti insegnano secondo la legge del Signore».
……
Quinto: bisogna abolire completamente per gli ebrei il salvacondotto per le strade, perchè essi non hanno niente da fare in campagna, visto che non sono nè signori, nè funzionari, nè mercanti, o simili. Essi devono rimanere a casa.
……..
Sesto: bisogna proibire loro l’usura, confiscare tutto ciò che possiedono in contante e in gioielli d’argento e d’oro, e tenerlo da parte in custodia. E il motivo è questo: tutto quello che hanno (come sopra si è detto), lo hanno rubato e rapinato a noi attraverso l’usura, perchè, diversamente, non hanno altri mezzi di sostentamento.
……………
Settimo: a ebrei ed ebree giovani e forti, si diano in mano trebbia, ascia, zappa, vanga, canocchia, fuso, in modo che si guadagnino il loro pane col sudore della fronte, come fu imposto ai figli di Adamo, al III capitolo della Genesi. Perchè non è giusto che essi vogliano far lavorare noi, maledetti goijm, nel sudore della nostra fronte, e che essi, la santa gente, vogliano consumare pigre giornate dietro la stufa, a ingrassare e scorreggiare, vantandosi per questo in modo blasfemo di essere signori dei cristiani, grazie al nostro sudore. A loro bisognerebbe invece scacciare l’osso marcio da furfanti dalla schiena!
…..
Se però i signori non vogliono costringerli e non vogliono porre rimedio a questa loro diabolica ribellione, allora vengano espulsi dal Paese, come si è detto, e si dica loro di tornare alla loro terra e ai loro beni, a Gerusalemme, dove possono mentire, maledire, bestemmiare, deridere, uccidere, rubare, rapinare, praticare l’usura, dileggiare e compiere tutti questi empi abominî come fanno qui da noi
…..
A chi ora voglia ospitare, nutrire, onorare queste serpi velenose e piccoli demoni, ossia i peggiori nemici di Cristo Signore nostro e di tutti noi, e desideri farsi scorticare, derubare, saccheggiare, oltraggiare, deridere, maledire e desideri patire ogni male, raccomando sinceramente questi ebrei. E se non è abbastanza se la faccia anche fare in bocca, o gli strisci nel culo e adori questo luogo santo, poi si vanti di essere stato misericordioso, di avere rafforzato il diavolo e i suoi cuccioli, perchè possano bestemmiare il nostro amato Signore e il Suo prezioso sangue, per mezzo del quale noi cristiani siamo stati redenti. Così egli sarà dunque un cristiano perfetto, pieno di opere di misericordia, per le quali Cristo lo premierà nel giorno del giudizio – assieme agli ebrei – nell’eterno fuoco dell’inferno!
………
… venga loro proibito – sotto pena di morte – di lodare Dio, di rendere grazie, di pregare, di insegnare, presso di noi e nei nostri possedimenti. Possono farlo nella loro terra, e dovunque possano senza che noi cristiani lo sentiamo né lo veniamo a sapere. La ragione è che le loro lodi, i ringraziamenti, le preghiere e gli insegnamenti, non sono altro che bestemmie contro Dio, maledizioni, idolatria, ….
….
Perciò, se io avessi potere su di loro, riunirei tutti i loro dotti e i migliori tra essi, e imporrei loro – pena il taglio della lingua fino alla radice – di convincere e persuadere, entro otto giorni, noi cristiani, dimostrando la veridicità delle loro infami menzogne contro di noi e cioè, nella fattispecie, che noi non adoriamo solamente l’unico, vero Dio.
……
Ai nostri governanti – se hanno ebrei sotto di sé – io auguro, e [anzi] li prego, di volere esercitare un’aspra misericordia verso questa gente miserabile, come sopra si è detto; e se volessero in qualche modo aiutarli (per quanto ciò sia difficile), dovrebbero fare come i bravi medici: quando la cancrena è arrivata nelle ossa, essi agiscono senza misericordia e tagliano, amputano, bruciano la carne, le vene, le ossa e il midollo. Così si faccia anche in questo caso. Si brucino le loro sinagoghe, si proibisca tutto ciò che ho elencato prima, li si costringa a lavorare, ci si comporti con loro senza alcuna misericordia, come fece Mosè nel deserto quando ne uccise tremila, perché non si corrompesse l’intero popolo. Essi davvero non sanno quello che fanno, e in più, come le persone possedute [dal demonio], non vogliono sapere, né ascoltare, né imparare. Perciò con loro non si può usare alcuna misericordia, per non rafforzarli nella loro condotta. Se questo non dovesse servire allora dovremmo cacciarli come cani rabbiosi, per non essere partecipi delle loro orribili empietà e di tutti i loro vizi, e per non meritare, insieme a loro, l’ira di Dio e la dannazione. Io ho fatto il mio dovere: qualcun altro, ora, veda di fare il suo ! Io no ho colpa’ (Martin Lutero, Degli Ebrei e delle loro menzogne, Einaudi, 2008, pag. 188-189, 190, 191, 192, 195, 201, 203, 213, 217-218, 221-222)".
Luther (o Lutero) fu uno dei fondatori di quel pensiero nazionalista tedesco che si evolse con altri filosofi, come Johann Gottlieb Fichte ed Houston Stewart Chamberlain, e che si concretò drammaticamente con il nazismo.
In seguito, questo sentimento nazionalista si svincolò sempre più dalla religione cristiana.
Spinta dalla sua crisi, la Chiesa cattolica reagì dando poteri all'Inquisizione, per eliminare ogni dissenso.
Tuttavia, spesso e volentieri, l'Inquisizione fu sotto il controllo dei re cattolici, che puntavano ad eliminare ogni dissenso.
Infatti, non riconoscersi nella Chiesa a cui era fedele il re significava essere contro il re.
Questo discorso era valido sia nei Paesi cattolici e sia in quelli protestanti.
Gli ebrei furono tra coloro che fecero le spese di ciò.
Intanto, il nazionalismo tedesco si evolse.
In pratica, il cristiano tedesco doveva sentirsi prima tedesco e poi cristiano.
Una forma di antisemitismo ci fu anche nel comunismo.
Per il comunista, l'ebreo doveva essere distrutto perché egli incentrava la sua vita sulla religione.
Quanto accaduto nel XX secolo fu il prodotto di tutto ciò ed il Cristianesimo nulla ebbe a che fare.
Vorrei terminare con un pezzo della tesi di laurea dell'amico Angelo Fazio che parla del rapporto tra Papa Pio XII, la nascita di Israele ed Hitler:
"1.3 Il Vaticano e la nascita dello stato d’Israele
Guenter Lewy dice che “la Santa Sede aveva perplessità nei confronti dell'installazione degli ebrei in Palestina, perché ciò avrebbe compromesso la situazione dei Luoghi Santi e dato adito al progetto sionista”. Ciò è vero come è vero che tutte le nazioni (USA, Gran Bretagna, Francia e URSS) erano contrarie all'installazione degli ebrei in Palestina. Tuttavia, i documenti che Lewy non ha visto ci dicono che la Santa Sede accettò, magari a malincuore, l'opzione del trasferimento degli ebrei europei in Palestina, pur chiarendo che tale orientamento non significava per lei cedimento sulla questione dei Luoghi Santi. La dichiarazione di Lewy si fonda su un dispaccio inviato il 18 maggio 1943 dal Segretario di Stato, cardinale Maglione al Delegato Apostolico a Washington Amleto Cicognani.
Lewy scrive che la Santa Sede si opponeva alla costituzione di uno stato ebraico, nonostante fosse in corso la Shoah, facendo intendere come se l'antisionismo avesse impedito la lotta contro l'antisemitsmo e la vittoria finale sul nazismo. Nel suo libro, Lewy riporta una citazione errata. La Dichiarazione di Balfur parlava di “national home” da assicurare agli ebrei, che in italiano non significa “patria”, bensì “sede nazionale” e non parla di “homeland”. Queste incomprensioni sono dovute al fatto che la Gran Bretagna, con lo scambio di lettere fra l'emiro dell'Higiaz, Ibn’Alì Hussein e l’Alto Commissario britannico Arthur Henry McMahon, nel 1915-16, aveva dato agli arabi assicurazioni diametralmente opposte alla Dichiarazione di Balfur. Inoltre, sul problema dei Luoghi Santi, la Santa Sede, nel 1920 ebbe assicurazioni dalla Gran Bretagna che era mandataria della Società delle Nazioni sulla Palestina.
Inoltre era opinione diffusa che non si potesse creare uno stato d'Israele solo perché gli ebrei vi avevano risieduto diciannove secoli prima. Lo studio dell'alternativa di fondare eventualmente altrove uno stato d'Israele, non impedì alla Santa Sede di procurare i documenti a carovane di profughi che cercavano rifugio verso la Palestina, via Balcani.
All'inizio del 1944, il Gran Rabbino di Gerusalemme Isaac Herzog ringraziò la Santa Sede per quanto essa stava facendo in favore degli ebrei in fuga verso la Palestina e chiese ulteriori aiuti, che non gli furono negati. Dunque la Santa Sede si impegnò a trasferire gli ebrei in Palestina benché fosse antisionista, cioè contraria alla creazione di uno stato d'Israele nella Palestina medesima.
Nel giugno del 1943, si trattava di trasferire gli ebrei dell'Europa centrale, ma era necessario una serie di visti di transito. A ciò provvide mons. Roncalli che ci riuscì benissimo con le autorità turche e bulgare, ma non ci riuscì con la Romania e anche con l'Ungheria si ebbero problemi.
Nel settembre 1943, gli ebrei polacchi rivolsero un appello a Pio XII implorandone l'interessamento per numerose famiglie rimaste in Polonia, mentre capifamiglia avevano raggiunto la Palestina. La legazione inglese, in merito, propose di scambiare ebrei polacchi con residenti in Palestina, ma ciò era impossibile perché i tedeschi residenti in Palestina erano anch'essi di origine ebraica.
1.4 Pensiero degli storici ebrei in favore di Pio XII e altre testimonianze. Verso la riabilitazione
Come reagirono agli attacchi sferrati contro Pio XII gli eminenti storici ebrei?
Pinchas Lapide (primo console d’Israele a Milano) scrisse, in difesa del Papa, “Roma e gli ebrei” nel 1967. A questo volume dobbiamo aggiungere l’opuscolo scritto nel 1963 dal membro dell’Anti-Defamation League Joseph Lichten, nonché le taglienti recensioni di Friedländer redatte da Livia Rotkirchen, la storica dell’ebraismo slovacco allo Yad Vashem, il Memoriale israeliano dell’Olocausto. Jenö Levai, il grande storico ungherese, reagì con grande rabbia davanti alle accuse di silenzio rivolte a Pio XII, egli scrisse nel 1968 un trattato in lingua inglese “Hungarian Jewry and the papacy. Pope Pius XII did not remain silent. Reports, documents and records from church and state archives assembled by Jeno Levai” comprendente un'introduzione di Robert M. W. Kempner, sostituto procuratore capo statunitense a Norimberga.
Sir Martin Gilbert, in occasione della pubblicazione del suo libro “The Righteus”, ha dichiarato: “spero che il mio nuovo libro contribuisca a sdemonizzare Pio XII e la Chiesa”. Più recentemente (luglio 2012), Gilbert ha affermato “come storico ebreo ho a lungo sentito il bisogno di rivelare pienamente l’aiuto cristiano agli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale e la storia degli uomini che sono stati coinvolti nel salvataggio” .
Gilbert ha anche parlato del ruolo del Vaticano e dei suoi rappresentanti: “all’inizio erano soprattutto preoccupati per il destino degli ebrei che si erano convertiti al cristianesimo, ma quando il delitto divenne evidente, il Vaticano ha espresso preoccupazione non solo per la loro macellazione, ma ha incoraggiato i rappresentanti pontifici in Europa a compiere ogni sforzo a favore dei perseguitati. Pio XII ha ritenuto, a mio parere correttamente, che l’intervento diretto avrebbe avuto conseguenze disastrose nelle forme di rappresaglia e un’escalation di persecuzione. Scomunicando Hitler non avrebbe ottenuto altro che aumentare la persecuzione dei cattolici sotto la loro sfera di controllo”.
Gilbert ha poi raccontato che “sacerdoti e vescovi cattolici hanno lavorato per salvare gli ebrei in ogni paese in cui venivano minacciati, tra cui Francia, Italia e Polonia, paese in cui era in vigore la pena di morte per coloro che aiutavano gli ebrei. In Ungheria -ha proseguito lo storico ebreo- il Nunzio Apostolico Angelo Rotta ha condotto uno sforzo diplomatico tale da salvare oltre un centinaio di migliaia di ebrei. In Francia, la Chiesa cattolica è stata molto attiva nel salvare decine di migliaia di persone e in Italia, chiese e monasteri sono stati i primi a salvare vite umane. Quando le SS vennero a Roma, la Santa Sede prese sotto la sua protezione centinaia di migliaia di ebrei, accogliendoli in Vaticano e incoraggiando nel contempo tutte le istituzioni cattoliche a fare altrettanto”.
Circa gli ebrei interessati agli eventi della guerra, Michele Tagliacozzo dice che senza Pio XII molti ebrei non sarebbero vivi. Il rabbino capo di Roma, Israel Zolli, si convertì al cattolicesimo. Il rabbino capo di Danimarca, Marcus Melchior afferma: “se il Papa avesse parlato, Hitler avrebbe massacrato più di sei milioni di ebrei”.
Altre testimonianze sono state rese da Albert Einstein che scriveva sul Time Magazine nel 1940 che “solo la Chiesa sbarra pienamente il cammino alla campagna hitleriana per la soppressione della verità. Prima d’ora non ho avuto alcun interesse particolare per la Chiesa, ma ora sento un grande affetto e ammirazione per essa perché solo la Chiesa ha avuto il coraggio e la perseveranza di schierarsi dalla parte della verità intellettuale e della libertà morale. Sono pertanto costretto ad ammettere che quanto una volta disprezzavo, ora lo apprezzo senza riserve”; Chaim Weizman dichiara che “la Santa Sede sta prestando il suo potente aiuto dove può per attenuare la sorte dei miei correligionari perseguitati”; Moshe Sharrett (un futuro primo ministro israeliano) incontrò Pio XII, negli ultimi giorni di guerra e gli disse che il suo “primo dovere era di ringraziarlo e, attraverso lui, ringraziare la Chiesa cattolica da parte dell’opinione pubblica ebraica per tutto quanto avevano fatto nei vari paesi per salvare gli ebrei”; il rabbino capo di Terra Santa, Isaac Herzog, nel febbraio 1944, inviò un messaggio in cui dichiarava: “il popolo d’Israele non dimenticherà mai quello che Sua Santità e i suoi illustri delegati, ispirati dagli eterni princìpi della religione, che formano le vere basi di un’autentica civiltà, stanno facendo per i nostri sfortunati fratelli e sorelle nell’ora più tragica della nostra storia, prova vivente dell’esistenza della divina Provvidenza in questo mondo”; il segretario generale del “World Jewish Congress”, Leon Kubowitzky, nel settembre 1945, ringraziò personalmente il Papa per i suoi interventi e il Congresso Ebraico Mondiale donò 20.000 dollari alla opere caritative vaticane “in riconoscimento del lavoro svolto dalla Santa Sede nel salvare gli ebrei dalle persecuzioni fascista e nazista”.
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane proclamò altresì il 17 aprile come “il Giorno di Gratitudine”, per l'assistenza di Pio XII alle vittime di guerra e, in occasione della prima giornata, l'Orchestra Filarmonica d'Israele si recò in Vaticano, avendo chiesto alla Santa Sede di tenere un concerto in onore di Pio XII.
Tra altri difensori, occorre citare la rivista “Yad Vashem Studies”, sulle cui pagine, lo storico John Conway scrisse nel 1983 “un rigoroso studio delle molte migliaia di documenti pubblicati in questi volumi offre scarso sostegno alle tesi che l’autoperpetuazione ecclesiastica sia stata il motivo principale della condotta dei diplomatici vaticani. Piuttosto, l’immagine che ne emerge è quella di un gruppo di uomini intelligenti e coscienziosi, che cercarono di perseguire le vie della pace e della giustizia in un tempo in cui questi ideali erano inesorabilmente ridotti all’irrilevanza in un mondo di “guerra totale”; un altro rabbino di Roma, Elio Toaff, afferma che “più di chiunque altro noi abbiamo avuto modo di beneficare della grande e caritatevole bontà e della magnanimità del rimpianto Pontefice, durante gli anni della persecuzione e del terrore, quando ogni speranza sembrava essere morta per noi”.
In un'intervista all'agenzia di stampa Zenit, il rabbino e storico americano David G. Dalin ha dichiarato “durante il ventesimo secolo il popolo ebraico ha avuto un grande amico. Pio XII ha salvato più vite di ebrei di chiunque altro.
Oggi c’è una generazione di giornalisti impegnati a screditare gli sforzi documentati di Pio XII per salvare gli ebrei durante l’Olocausto. Questa generazione si è ispirata all’opera teatrale “Il Vicario” di Rolf Hochhuth, che però non ha alcun valore storico. Questi critici ignorano anche lo studio illuminante di Pinchas Lapide, che è stato console generale di Israele a Milano, il quale ha scoperto molti ebrei italiani sopravvissuti all’Olocausto. Nei documenti di Lapide si dice che Pio XII ha incoraggiato la salvezza di almeno 700.000 ebrei dai nazisti. Ma secondo un’altra stima, questa cifra sale a 860.000. Abbiamo un sacco di documentazione che dimostra che non stette proprio in silenzio, parlò infatti ad alta voce contro Hitler e quasi tutti lo vedevano allora come un oppositore del regime nazista. Durante l’occupazione tedesca di Roma, Pio XII ha segretamente incaricato il clero cattolico di salvare tutte le vite umane possibile con tutti i mezzi possibili. In questo modo vennero salvati migliaia di ebrei italiani dalla deportazione. Mentre l’80% degli ebrei europei morirono in quegli anni, l’80% degli ebrei italiani furono salvati. Solo a Roma, 155 conventi e monasteri diedero rifugio a 5000 ebrei. Almeno 3.000 vennero nascosti nella residenza pontificia di Castel Gandolfo. Seguendo le istruzioni dirette di Pio XII, molti preti e monaci resero possibile la salvezza di centinaia di vite di ebrei, rischiando la propria stessa vita. Il suo silenzio era una strategia efficace per proteggere il maggior numero di ebrei dalla deportazione. Un’esplicita e dura denuncia contro i nazisti sarebbe servita come invito alla ritorsione, e avrebbe peggiorato le disposizioni sugli ebrei in tutta Europa. Certamente ci si potrebbe chiedere: cosa c’è di peggio che lo sterminio di sei milioni di ebrei? La risposta è semplice e terribilmente onesta: l’assassinio di centinaia di migliaia di altri ebrei. I Vescovi cattolici provenienti dai Paesi occupati hanno consigliato a Pacelli di non protestare pubblicamente contro le atrocità commesse dai nazisti. Abbiamo le prove che, quando il vescovo di Münster avrebbe voluto parlare contro la persecuzione degli ebrei in Germania, il responsabile della comunità ebraiche della sua diocesi lo pregò di non farlo, avrebbe infatti provocato una repressione più dura contro di loro»
Molto significativa ed esaustiva è la ricerca condotta dalla “Pave the Way Foundation” (un'organizzazione con sede a New York che si pone l'obiettivo di promuovere il dialogo fra le religioni), fondata dallo storico ebreo Gary Krupp (uno dei difensori più convinti di Pio XII). Uno sforzo durato ben sei anni e che ha portato Krupp e il suo staff a scoprire circa 76mila pagine di materiale originale, oltre alle testimonianze oculari e ai contribuiti di studiosi internazionali di rilievo. Krupp si è dichiarato recentemente fiducioso che l’opera di diffamazione della memoria di Pio XII stia avviandosi alla sua conclusione. In un'intervista all'agenzia Zenit, Krupp ha dichiarato “stiamo decisamente vincendo, assolutamente non c’è dubbio su questo, ogni volta che approfondiamo la ricerca, troviamo un diamante, E’ incredibile, ma non c’è nulla dall’altra parte, perché non c’è una base documentata per nessuna delle accuse”.
Krupp e i membri della sua fondazione pensano che tutti i documenti che hanno portato alla luce dovrebbero agire per ogni studioso serio come una prova incontrovertibile del fatto che Pio XII, durante e dopo la seconda guerra mondiale, fece tutto quello che era in suo potere per proteggere e difendere gli ebrei.
In una delle sue scoperte, la Fondazione ha portato alla luce una lettera scritta nel 1939 dal cardinale Pacelli in cui l'allora Segretario di Stato Vaticano tentava di ottenere i visti per 200.000 ebrei che restavano in Germania dopo la Notte dei Cristalli. Sostiene Krupp che Pacelli “non è riuscito a ottenere i visti, ma ci ha provato. E il punto è che non l’ha fatto dalla tranquillità di Washington, D.C. o di Londra. L’ha fatto mentre era circondato da forze ostili e infiltrato da spie. E tuttavia è riuscito a salvare più ebrei di tutti gli altri leader mondiali messi insieme” .
E' stato molto importante il lavoro di Krupp e della sua organizzazione anche in relazione alla situazione del gran numero di ebrei romani in monasteri, conventi e case di cattolici. In questo senso, la Fondazione ha scoperto che, nella Roma occupata dai nazisti, operava anche una rete clandestina, che faceva perno attorno a don Giancarlo Centioni, fortemente voluta da Pio XII (di cui si parlerà in seguito).
Secondo Krupp, la “leggenda nera” su Pio XII è frutto della propaganda sovietica e degli effetti dell’opera teatrale “Il vicario”, scritta da un autore tedesco, Rolf Hochhut, alla fine degli anni ’50. Una “leggenda nera” che ancora continua a essere diffusa a dispetto della forte documentazione storica contraria .
La studiosa dell'Olocausto Susan Zuccotti ha negato che l'aiuto prestato agli ebrei dal mondo cattolico, fosse stato dato sulla base di precise disposizioni di Pio XII. La Zuccotti è stata smentita dal cardinale Pietro Palazzini e da don Aldo Brunacci, stretto collaboratore del vescovo di Assisi Giuseppe Nicolini nell'aprire i conventi e gli altri istituti religiosi agli ebrei. Egli assicura di aver visto l'ordine scritto della Santa Sede al vescovo Nicolini che prescriveva di offrire ogni asilo possibile a perseguitati politici e a ebrei.
Seguendo le istruzioni di Pio XII, singoli sacerdoti italiani, monaci, monache, cardinali e vescovi si prodigarono (a Roma e altrove) per salvare la vita a migliaia di ebrei. Il cardinale Boetto di Genova ne salvò almeno ottocento. Il vescovo di Assisi nascose trecento ebrei per oltre due anni. Il vescovo di Campagna, mons. Giuseppe Maria Palatucci, e due suoi parenti (fra cui il questore Giovanni Palatucci, deportato e ucciso a Dachau) ne salvarono anche di più a Fiume.
A testimonianza di come le tematiche relative all'operato di Pio XII, durante il secondo conflitto mondiale, siano di straordinaria attualità, ma anche di come la storiografia si stia muovendo vero una riabilitazione di Papa Pacelli vi è un recentissimo avvenimento risalente al 2 luglio 2012.
Ovvero la rettifica che lo “Yad Vashem” ha voluto porre in essere nel testo della lapide del museo dell'Olocausto, in cui, precedentemente, si criticava il suo operato, additandolo di non aver protestato contro i nazisti per lo sterminio degli ebrei, di non aver denunciato il razzismo e l'antisemitismo e di non essere intervenuto contro la razzia degli ebrei romani.
Nel nuovo testo, invece, si riconosce che già nel 1942, nel corso del radiomessaggio di Natale, Pio XII prese le difese di tante persone ad alto rischio di atrocità.
Il nuovo testo sottolinea un numero considerevole di attività di soccorso che la Chiesa cattolica ha operato per salvare gli ebrei. Si indicano i casi in cui lo stesso Pontefice è intervenuto per incoraggiare le attività di soccorso e salvaguardia verso numerosi individui. In ultima istanza, l'autorevole istituzione ebraica riconosce che Papa Pio XII salvò vite umane.
Una storica decisione che permette la definizione di nuove basi per il futuro di codesto importante dibattito sulla figura di tale Pontefice, da cui la storiografia e la coscienza collettiva potranno ripartire.
1.5 Il “silenzio” di Pio XII di fronte alla Shoah
In effetti, si è molto parlato del “silenzio” di Pio XII durante la seconda guerra mondiale, di fronte alla Shoah, senza spiegare perché tacque. Il 29 settembre 1939, il governo francese chiese tramite il proprio ministro degli esteri Deladier di parlare e di non sottrarsi all'onere di spendere una parola in favore della nazione e del popolo polacco; il ministro non chiedeva di denunciare la Germania, tuttavia riteneva che si dovesse denunciare l'aggressione sovietica in Polonia e chiedeva al Papa di parlare contro una tale aggressione e di sanzionarla. Ma il riferimento al giovamento che ne avrebbe tratto l'opinione pubblica e i cattolici, indurrebbe a ipotizzare che Deladier intendesse riferirsi, senza nominarla, anche alla Germania nazista. Perché Deladier chiedeva a Pacelli di sanzionare l'operato dell'Unione Sovietica, con cui la Francia non era in guerra, senza nominare il paese con cui la Francia era belligerante? Naturalmente c'era una pluralità di fattori per cui la Francia chiedeva al Vaticano un “silenzio selettivo”: tacere sull'aggressione tedesca e parlare di quella sovietica nei confronti della Polonia. Deladier non parlava dei tedeschi perché temeva che questi sferrassero una più repentina offensiva a occidente, ponendo fine alla “guerra per burla” (“la drole de guerre”) e perché pensava che il Vaticano aveva delle grosse difficoltà a condannare i nazisti.
A riguardo di ciò, nel 1964, Guenter Lewy scrisse “I nazisti e la Chiesa”, nel 1966 lo seguì “Pio XII e il Terzo Reich. Documenti” di Saul Friedländer. Entrambi gli autori nei loro trattati sostenevano che l’anticomunismo di Pio XII lo aveva portato ad appoggiare Hitler, da lui visto come baluardo contro i sovietici.
Queste accuse sono facilmente opponibili poiché, mentre dal 1989 sono aumentate le informazioni relative alle atrocità sovietiche e le paure nei confronti di Stalin apparivano più giustificate di quanto potessero sembrare a metà degli anni 1960, di fatto non mancano le prove che Pio XII avesse ponderato accuratamente le minacce dell'epoca. Si potrebbe citare, in tal senso, la frase che nel 1942 egli disse a un visitatore: “è ben vero che il pericolo comunista esiste, ma in questo momento la minaccia nazista è più seria”. Egli intervenne altresì presso i vescovi americani per sostenere la concessione di prestiti ai sovietici e si rifiutò esplicitamente di benedire l’invasione nazista della Russia. E quando, nel 1943, l'ambasciatore spagnolo Domingo de las Barcenas sarà ricevuto da Pio XII, per convincerlo a dare l'avallo ad una coalizione antisovietica in cambio della fine della guerra, si sentirà rispondere: “la persecuzione nazista è più pericolosa di qualsiasi persecuzione precedente”.
Di fronte al nuovo dramma mondiale, i problemi dell'atteggiamento da tenere non sono valutabili opponendo sempre la parola al silenzio. “Silenzio”, poi non significa “assenza di azione o protesta”. Tutto ciò richiedeva delle modalità: non essere plateali; conservare intatti i canali d'informazione, trovare il modo adeguato per manifestare la propria posizione.
Non si può dire che Pio XII scelse una via diplomatica; il suo modo di agire fu, invece, sperimentato giorno per giorno sulla base delle mutevoli circostanze belliche. Ad esempio, nel caso della Polonia, il riserbo apparve come la scelta per non peggiorare la condizione delle vittime; in non-pochi casi furono le popolazioni soggette ad Hitler a chiedere alla Santa Sede di “tacere”.
Nel resoconto che l'ambasciatore italiano in Vaticano Dino Alfieri fa della sua udienza di congedo da Pio XII, rileviamo che il Papa gli disse chiaramente che non temeva le conseguenze di parole o atti usciti dalla sua bocca o dalle sue mani: si trattasse perfino della sua stessa deportazione.
Lo stesso Pio XII, stando a quel documento, si rimproverò di non aver potuto parlare più chiaramente sul dramma polacco “ci trattiene dal farlo il sapere che renderemmo la condizione di quegli infelici, se parlassimo, ancor più dura”, sicché Pio XII aveva preferito parlare più apertamente in alcuni casi (es. con i sovrani di Belgio, Olanda e Lussemburgo), ma mantenere il riserbo di fronte al caso polacco.
Il gesuita Padre Dezza, personaggio autorevole della Roma dell'occupazione, tenne gli esercizi spirituali al Pontefice e alla curia nel dicembre 1943: in questa occasione, Pio XII disse chiaramente dell'invito dei vescovi polacchi a non parlare, poiché questo avrebbe causato sofferenze maggiori: Pacelli, proprio come Pio X ai suoi tempi, aveva dovuto mantenere il silenzio sulle feroci persecuzioni in Russia nei confronti dei cristiani. In quel colloquio, il Papa parlò anche del pericolo di un suo eventuale rapimento rimarcando che tale prospettiva non lo spaventava. La sostanza era “se parlo, faccio del male a loro”.
Lo storico Jedin (rifugiato in Vaticano) sostenne che l'idea di una pubblica condanna non fu presa in considerazione; non è d'accordo su questo mons. Carlo Respighi, maestro delle cerimonie pontificie, che chiedeva al card. Maglione una forte presa di posizione visto il disgusto che la mancanza di questa “aveva causato ad intere popolazioni”.
In una conversazione col delegato apostolico Roncalli (nel 1941), Pio XII parlò dei rischi di una condanna esplicita del nazismo per l'unità della Chiesa (visto che parte dei cattolici tedeschi si erano nazistificati) e, inoltre, si temeva un aumento dell'aggressività verso la Chiesa in Germania e gli altri perseguitati. Dunque prevale ancora una volta la tesi che una forte presa di posizione, avrebbe causato maggiori sofferenze a chi già soffriva. Andrea Riccardi aveva avanzato tale ipotesi già dal 1984.
Inoltre, da non dimenticare le responsabilità assunta dal Vaticano nell'avere preso l'impegno di custodire numerosi ospiti negli edifici dipendenti dall'Autorità ecclesiale, proprio a Roma. Dunque, la scelta del Papa fu quella di un rapporto con i tedeschi che preservasse la Chiesa da intromissioni nei suoi spazi.
Richard Breitman -l’unico storico autorizzato a studiare gli archivi della seconda guerra mondiale dello spionaggio statunitense- ha osservato che i documenti segreti provano fino a qual punto “Hitler diffidava della Santa Sede perché nascondeva gli ebrei”.
Il vescovo Jean Bernard del Lussemburgo, detenuto a Dachau dal 1941 al 1942, informò il Vaticano che “tutte le volte che venivano sollevate proteste, il trattamento dei prigionieri immediatamente peggiorava”. Verso la fine del 1942, l’arcivescovo Sapieha di Cracovia e due altri vescovi polacchi, avendo sperimentato le selvagge rappresaglie naziste, pregarono Pio XII di non pubblicare le sue lettere sulle condizioni della Polonia.
Venne letta nelle chiese cattoliche olandesi nel luglio del 1942 una lettera pastorale dei vescovi olandesi che condannava “lo spietato e ingiusto trattamento riservato agli ebrei”. La lettera, probabilmente ispirata da Pio XII, si rivelò essere controproducente. Nota Lapide nel libro “Roma e gli ebrei”: “la conclusione più triste e sulla quale ci sarebbe molto da riflettere è che, mentre il clero cattolico d’Olanda protestava più vibratamente, più formalmente e più spesso contro le persecuzioni ebraiche di qualsiasi altro, è stata proprio l’Olanda che ha visto il numero maggiore di ebrei - circa 110.000, cioè il 79 per cento di tutta la locale comunità ebraica- deportati verso i campi di sterminio, più di qualunque altro Stato dell’Europa occidentale”.
Le questioni sono alquanto più complesse perché non si tratta di un problema di denunce pubbliche contro un'ideologia e un regime. Se la struttura ideologica-politica del nazismo non fosse stata una realtà che pretendeva di soggiogare il mondo, una denuncia di quell'ideologia avrebbe potuto spingere Hitler a migliori consigli. Il Vaticano denunciò il regime bolscevico, mentre con il nazismo usò altri mezzi trattandosi di una questione di modalità e tempi.
Modalità: probabilmente si aveva in Vaticano un quadro di opzioni più variegato dell'alternativa denuncia/non denuncia. Di tempi: si dice che l'Enciclica “Mit Brennender Sorge” non sia stata una denuncia al nazismo, ma nel contempo si afferma che Pio XI fu più fermo di Pio XII di fronte al nazismo. Si tratta di un'incongruenza.
Si dice che la “Divini Redemptoris” sia stata una condanna del comunismo, provandosi così la politica di due pesi e due misure, tralasciando che la “Divini Redemptoris” non era una condanna dei popoli dell'Unione Sovietica, bensì una condanna all'ideologia. Si può così affermare che tra il pontificato di Ratti e quello di Pacelli si riscontra una linea di continuità.
Si trascura, infine, che tutte le grandi potenze europee riconoscevano la Germania e il regime nazista e che il trattamento riservato agli ebrei tedeschi era considerato affare interno alla Germania. Di fronte ad una situazione del genere c'è chi pensa che una denuncia vaticana avrebbe indotto Hitler alla resipiscenza e persino al crollo nazista. Nel valutare quali azioni Pio XII avrebbe potuto svolgere, alcuni ritengono che avrebbero sortito qualche effetto delle scomuniche comminate esplicitamente. Certo, i nazisti battezzati erano già incorsi automaticamente nella scomunica per varie ragioni: dalla mancata frequenza alla Messa, all’omicidio non confessato e al pubblico ripudio del cristianesimo. Come rivelano i suoi scritti e le conversazioni a tavola, era da molto tempo (prima di salire al potere) che Hitler aveva smesso di considerarsi cattolico, anzi, adesso si considerava un acerrimo nemico della Chiesa. Dunque, una dichiarazione pontificia di scomunica non si vede come avrebbe potuto, in qualche misura, giovare.
Robert M. W. Kempner (il sostituto procuratore a Norimberga) -in una lettera di risposta al direttore del periodico Commentary , che nel 1964 aveva pubblicato un brano di un libro di Guenter Lewy- rievocò la sua esperienza al processo di Norimberga per affermare che “ogni mossa propagandistica della Chiesa cattolica contro il Reich hitleriano sarebbe stato non solo “un procurato suicidio”, ma avrebbe affrettato l’esecuzione di ancor più numerosi ebrei e sacerdoti”.
Un altro elemento da considerare per comprendere la questione del “silenzio vaticano” è che la seconda guerra mondiale non riproduceva nessuna delle guerre dell'età contemporanea. Tutto questo segnò il mutare di una tradizione diplomatica, da parte della Germania, anche in termini di politica estera. La reazione dell'Europa, nell'interpretare il mutamento dei tempi, fu invece assai lenta. Se fosse stato diversamente l'Austria e la Cecoslovacchia sarebbero state indipendenti.
Pur non esistendo la tecnologia di oggi, che ci consente di venire a conoscenza dei fatti in tempo reale, tuttavia, si preferisce affermare che la Santa Sede disponeva di reti informative, per cui sapeva ciò che avveniva dietro i lager e, pur sapendo, tacque o rimase passivamente a guardare la Shoah. Ma l'analisi storica trascura elementi importanti, prima di giudicare Pio XII. Quando il 9 marzo 1942, mons. Burzio, diplomatico vaticano in Slovacchia, trasmise a Roma la notizia sull'imminente deportazione di tutti gli ebrei slovacchi in Galizia e nella regione di Lublino, i rapporti con la Santa Sede erano difficili perché molti ministri slovacchi erano favorevoli all'eliminazione degli ebrei e alla loro deportazione. Esistono diversi documenti, datati dal 12 marzo al 17 giugno 1942, che attestano l'intervento del Vaticano per evitare la deportazione degli ebrei slovacchi e che ragazze dai 16 ai 25 anni venissero inviate al fronte, come prostitute per i soldati tedeschi.
In Vaticano, in realtà, si sapeva dello sterminio degli ebrei, ma con percezione diversa, rispetto al dopoguerra. Vi era stato il precedente dello sterminio degli armeni nel 1917, quando Pacelli occupava il ruolo che adesso apparteneva a Tardini e al soglio Pontificio vi era Benedetto XV. Allora la diplomazia vaticana aveva svolto un'azione in grande stile, Papa Dalla Chiesa aveva scritto al sultano dell'Impero Ottomano e tentò, per vie diplomatiche, di far intervenire le potenze europee sue alleate. Adesso però, nel contesto del secondo conflitto mondiale, il Vaticano non poteva contare su un contatto rilevante come quello che aveva con l'Austria-Ungheria durante la prima guerra mondiale.
A Roma, ove operava il Papa, si toccava con mano l'opera di sterminio posta in essere dal nazismo. Pacelli sperava in una sconfitta del Terzo Reich, anche se l'atteggiamento degli Alleati verso la Santa Sede non lo esaltava e temeva molto l'enigma della Russia bolscevica. Egli si fidava poco del quadro internazionale che si era creato. Ernesto Bonaiuti scrisse in seguito che Pacelli, divenuto Papa, non si fidava più di tanto dello strumento diplomatico, ritenuto da lui poco funzionante. Per questo, Pio XII con il tempo maturò la prassi di rivolgersi ai popoli più che ai leaders, al fine di alleviare, nei limiti del possibile, la sofferenza di tante persone.
Parlando delle informazioni giunte in Vaticano, si cita una lettera del 12 maggio 1942 del cappellano dei treni-ospedale dell'Ordine di Malta don Pirro Scavizzi, il quale scriveva “la lotta antiebraica si va sempre più aggravando. La strage degli ebrei in Ucraina è ormai al completo. In Polonia e in Germania la si vuole portare al completo con le uccisioni di massa”. Chi intenda usare questo documento per dimostrare quante notizie sulla Shoah fosse in possesso il Vaticano, deve considerare alcuni elementi. Scavizzi, qualche tempo prima, aveva scritto che l'arcivescovo di Cracovia Adam Sapieha stava bene in salute, ma era profondamente afflitto perché non poteva, con completa sicurezza, comunicare con il Santo Padre, né con il Nunzio Apostolico. Questa lettera, prima di giungere in copia dattiloscritta, fece un percorso molto complicato. Ciò conferma il persistere di difficoltà nel far giungere in Vaticano notizie tempestive, esatte, accurate e non invece parafrasate, sulla sorte degli ebrei nella Polonia occupata.
Un'altra citazione riprodotta per dimostrare quante e quali notizie arrivassero alla Santa Sede sulla sorte degli ebrei e quella tratta da un dispaccio del Nunzio a Berlino, mons. Orsenigo, che il 28 luglio 1942 telegrafò al Vaticano: “corrono voci, difficili a controllarsi, di viaggi disastrosi e di eccidi di massa degli ebrei”.
Se consideriamo il documento nella sua interezza e collochiamo la citazione nel suo habitat naturale, esso indica che era molto difficile sapere esattamente che cosa succedeva agli ebrei e si poteva andare solo per supposizioni. Il 17 luglio 1942, l'abate Marcone scrisse da Zagabria, informando il Vaticano che, secondo il capo della polizia croata, “in Germania sono stati uccisi due milioni di ebrei. Pare che la stessa sorte attenderà gli ebrei croati, specialmente se vecchi e incapaci al lavoro”. Queste frasi, citate da sole e avulse dal contesto in cui sono inserite, potrebbero dare ragione alla tesi di una politica inerziale e passiva del Vaticano. Il dispaccio dell'abate Marcone non restò inascoltato; fu fatto il passo, da parte della Santa Sede, presso le autorità croate, per il tramite di Marcone e furono interessati i Nunzi di Budapest e Bucarest.
Su incarico della Santa Sede, l'abate Marcone si mosse per ovviare alla triste condizione degli ebrei croati, ma poi egli dovette prendere atto della sostanziale inefficacia delle sue azioni. A riguardo dell'opera di salvataggio di ebrei e zingari in Croazia, non si può sottostimare l'opera del vescovo di Zagabria, Alojzije Viktor Stepinac, poi imprigionato dal regime comunista nel 1946 e morto in carcere nel 1960. Nel frattempo Pio XII lo aveva fatto cardinale nel 1953
Fra il 29 e il 31 agosto 1942, mons. Andrea Szeptycky, metropolita di Leopoli dei Ruteni, inviava un messaggio da cui si evinceva che, per molto tempo, aveva ritenuto di non poter inviare al Papa le preziose informazioni di cui il Vaticano abbisognava per il timore che esse cadessero nelle mani sbagliate. La lettera descriveva gli orrori del giogo nazista peggiori di quelli inferti dal bolscevismo. Inoltre ricordava che, all'inizio dell'occupazione, i nazisti cercavano di addossare la colpa dei loro crimini ai ruteni e ciò creava confusione su “chi stesse facendo che cosa”, infine informava che oggetto degli assassinii era anche la popolazione locale.
Altre due citazioni sono chiamate in causa: un appunto di Montini sul resoconto di un colloquio con il conte Giovanni Malvezzi dell'IRI; un messaggio del rappresentante personale di Roosevelt presso il Papa, Myron Taylor.
Il primo ci informa che erano in corso dei bombardamenti e che vi sarebbero stati prevedibili massacri con rese di conti fra due atavici nemici (polacchi e russi), messi in atto dai sovietici sulle inermi città polacche e che c'era una collaborazione dei polacchi con i nazisti nello sventramento dei ghetti in Polonia. Il secondo parla della liquidazione del ghetto di Varsavia, esecuzione di massa di ebrei e non ebrei, di ebrei deportati e mandati al massacro. Questo documento non può essere utilizzato per dimostrare che la Santa Sede sapeva quanto stava accadendo in Polonia, perché Taylor chiedeva alla Santa Sede la verifica delle notizie in suo possesso. In questo senso fu inviata un’apposita nota al governo americano. Questo non fu un discarico di responsabilità da parte della Santa Sede, in quanto in ogni Stato investito dal dramma della Shoah, il grado di incertezza era lo stesso, come dimostra la vicenda di un noto personaggio, Gerard Riegner.
Egli, avvocato ebreo tedesco (membro del “World Jewish Congress” in Svizzera) divenne famoso per il suo dispaccio dell'8 agosto 1942, con cui volle trasmettere ad eminenti ebrei inglesi e americani, oltre che al Foreign Office di Londra e al Dipartimento di Stato di Washington, alcune allarmanti notizie in merito alla Shoah, a lui pervenute da un industriale tedesco, Edward Shulte.
In questo messaggio appare alta la percentuale di inesattezza delle informazioni: “è stato discusso ed allo studio un piano” per sterminare gli ebrei, ma il piano di sterminio era già in atto. C'è poi la fase conclusiva sull'incertezza delle fonti, cui Riegner attingeva. Questa chiusa era stata voluta dal diretto superiore di Riegner, il giurista Paul Guggenheim, il quale impose di eliminare un accenno sull'esistenza di un forno crematorio e di aggiungere la precisazione che l'accuratezza delle fonti non poteva essere controllata. Ma con quali mezzi e tempi lo sterminio era previsto? Questo aspetto non emergeva con la necessaria chiarezza. Per Richard Breitman, che ha collaborato alla declassificazione dei documenti dei Servizi Segreti del suo paese, il rapporto di Riegner derivava da informazioni di Shulte e che rappresentavano il primo tentativo di fare chiarezza sulla Shoah.
Il dispaccio di Riegner, per quanto impreciso, fu considerato una pietra angolare delle informazioni sulla Shoah, ma alquanto tardi. Il dispaccio subì diverse traversie, intercettato dagli alleati nell'agosto 1942, sarebbe restato nei loro archivi se Riegner non fosse riuscito a farlo giungere, per altre vie, ai suoi correligionari.
Si può dire che, fino a quando esso non fu pubblicato il 25 novembre 1942, sul dispaccio-Riegner nutrivano dubbi ebrei e alleati; sicché furono altre informazioni e le pressione ebraiche a spingere gli alleati all'azione. Essa rappresenta una ricostruzione ex-post non in grado di modificare la terribile verità sulla Shoah.
Altri elementi sulla vicenda dei problemi informativi: la autorità elvetiche non si comportarono diversamente sul documento che due scampati al lager diffusero al mondo. Il problema principale era di sapere che cosa stava accadendo in un mondo quasi impenetrabile come quello nazista. Si consideri poi che l'esattezza dell'informazione poteva implicare aspetti diversi fra loro. Ecco perché si continuò ad argomentare sui “si dice” e sui “sembra che”. Si doveva sapere ciò che stava accadendo con la maggiore esattezza possibile.".
Il problema dell'antisemitismo e del Cristianesimo è molto più complesso di quanto si possa immaginare.
Di sicuro, un cristiano non può essere antisemita.
L'antisemitismo è il rifiuto del Cristianesimo perché Gesù era un ebreo.
Cordiali saluti.
Nessun commento:
Posta un commento