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martedì 16 ottobre 2012

Teologia e magistero nel Concilio Vaticano II

Cari amici ed amiche.

Su Facebook, l'amico Giovanni Covino (SEFT) mi ha inoltrato questo suo testo intitolato "Teologia e magistero":




"Mercoledì 10 ottobre, il Santo Padre teneva la sua consueta udienza, ribadendo ancora una volta che «i documenti del Concilio Vaticano II» devono essere letti «liberandoli da una massa di pubblicazioni che spesso invece di farli conoscere li hanno nascosti»; in tal modo, apprezzandone il valore in continuità con la Tradizione, essi «sono, anche per il nostro tempo, una bussola che permette alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta.»

Dopo aver letto il testo di questa udienza m’imbatto in un “curioso” articolo dal titolo Ma i papisti si salveranno?, pubblicato sul blog Nipoti di Maritain, il quale blog è composto da “Fedeli e obbedienti al Magistero ma mai statici, servili o clericali bensì creativi e critici per amore della Chiesa e dell'uomo. Da credenti non possiamo più tacere, ma proporre e farci sentire!! Per un cattolicesimo mai banale, ovvio o scontato ma sempre e comunque segno di contraddizione e scandalo.”

Ci sarebbe molto da dire sulla presentazione, sul non essere statici, servili e periferici…pardon clericali, ma torniamo all’articolo che comincia “bene” (davvero il buongiorno si vede dal mattino!) con un richiamo ai «molti cattolici» che «aderiscono con fede non solo ai dogmi ma a qualunque parola che fuoriesca dalla bocca del papa. Il loro è un totale affidamento alla gerarchia senza dubbi o perplessità. Sono totalmente eteronomi. Il catechismo della Chiesa cattolica - continua il testo - viene elevato a definitiva verità cattolica e ogni minima deviazione dal suo dettato viene ritenuta eresia. È un cattolicesimo che idolatra i testi magisteriali, che nelle temperie contemporanee si affida completamente all'autorità della Chiesa perché solo in essa vede una possibile salvezza dai mali del nostro tempo.»



Gli idolatri dei testi magisteriali sarebbero ovviamente i detti papisti, i quali sarebbero anche fragili psicologicamente e sessualmente repressi. Su questo articolo si è già espresso con molta cura Marco Mancini (http://www.campariedemaistre.com/2012/10/manuale-di-autodifesa-per-papisti.html), ma vorrei soffermarmi su un punto che mi ha particolarmente colpito e che conferma quando detto all’inizio dall’autore.

A metà del testo in questione leggiamo: «non si può pretendere che la Chiesa ci guidi infallibilmente negli oscuri meandri della storia: anche la Chiesa ha sbagliato, sbaglia e sbaglierà […] la Chiesa e il suo Magistero sono validi aiuti ma non possono essere assunti in maniera acritica né possono sostituire il nostro rapporto abissale e terribile con Dio.» Lasciando da parte “l’abissale rapporto con Dio”, che sembra l’eco di non so quale film horror, ciò che m’interessa è la sottolineatura che mostra una confusione tra gli sbagli individuali di uomini di Chiesa e la dottrina della Chiesa stessa, legittimando in tal modo accanto alla voce del Magistero un’altra voce che parla - leggo ancora nell’articolo - «in nome della fedeltà creativa alla tradizione» e che mira a contestare tutte le posizione dello stesso Magistero «che non sono fedeli al Vangelo (!?) ma che esprimono incrostazioni storiche e teologiche della tradizione e che soffocano il soffio dello Spirito e il cammino della Chiesa.»

Certo sentire da cattolici simili affermazioni è davvero imbarazzante, ed è imbarazzante leggerlo in un blog che si richiama alla figura del noto pensatore francese Jacques Maritain che, pur sbagliando in ambito filosofico (in particolare su alcune questioni di filosofia politica), tanto bene ha fatto e testimoniato proprio in obbedienza alla Santa Chiesa.

Obbedienza questa è la parola chiave, obbedienza che non è servilismo ma è legata alla consapevolezza (consapevolezza di cui parla anche Mancini nel già citato articolo) che la Chiesa «con l’ufficio di insegnare, ha ricevuto il mandato di custodire il deposito della fede, [e] ha, anche, da Dio, il diritto e il dovere di proscrivere la falsa scienza [1 Tm 6,20], perché nessuno venga ingannato dalla filosofia e da vuoti raggiri [Col 2,8]» (Concilio Vaticano I: Cost. dogm. «Dei Filius» in H. Denzinger, Enchiridion symbolorum, n. 3018). Questo diritto e dovere della Madre Chiesa salvaguarda da una creatività (a dir poco bizzarra) di voler insegnare ciò che non è conforme al depositum fidei, quindi ciò che non è conforme all’insegnamento che Cristo ha affidato agli Apostoli quando ci ha fatto la grazia di vivere in mezzo a noi (Verbum caro factum est).

Alla luce di quanto detto risulta pienamente comprensibile il motivo per cui il Magistero rifiuti metodologie di ricerca come quelle per esempio del razionalismo moderno, o che condanni falsi concetti di libertà che servono solo a coprire la propria malizia (per ricordare un passo dell’epistola di Pietro); inoltre si comprende facilmente che in questo senso gli stessi solenni pronunciamenti sono un materno richiamo per evitare di lasciarsi condizionare dalle mode culturali del momento che, per quanto siano apprezzate e celebrate, risultano infondate ad un attenta analisi razionale. L’intervento, quindi, ha l’obiettivo di custodire il deposito della fede, come già detto (“Ma sì, fai vedere che abbondiamo, adbondandis adbondandum” come diceva Totò in un celebre film), la sua retta interpretazione e richiamare il teologo (e tutti i fedeli), nonostante le buone intenzioni di servire la verità rivelata, alla prudenza di fronte ad una metodologia di ricerca, che solo in apparenza risulta compatibile con la teologia cattolica.

Proprio per questo la Chiesa propone alcune figure come guida, e su tutti Tommaso d’Aquino, esempio per la ricerca sia in campo filosofico che in quello teologico: la sapienza dell’Aquinate sta nell’aver ben compreso sia il valore della filosofia sia lo statuto proprio della teologia; infatti quando il Dottore Angelico si chiede con quale metodo proceda la teologia dichiara: «sicut aliae scientiae non argumentantur ad sua principia probanda, sed ex principiis argumentantur ad ostendendum alia in ipsis scientiis; ita haec doctrina non argumentatur ad sua principia probanda, quae sunt articuli fidei; sed ex eis procedit ad aliquid aliud ostendendum (= come le scienze profane non devono dimostrare i propri principi, ma dai loro principi argomentano per dimostrare altre tesi, così la sacra dottrina non dimostrerà i propri principi, che sono gli articoli di fede, ma da essi procede per la dimostrazione di qualche altra cosa», Summa Theologiae I, q.1, a. 8). Come si evince dal testo appena citato, Tommaso mette ben evidenza il punto da cui deve partire il teologo e coglie, anche, una interessante analogia tra il procedere della scienza filosofica e quello della scienza teologica: come le tesi filosofiche scadono in vuota retorica, quando si distaccano «dai loro principi», dalle prime certezze empiriche, assolutamente indubitabili e presenti nella coscienza di tutti, così le tesi dei teologi non possono definirsi tali se risultano non conformi alle “prime verità” costituite dal dogma, ossia dalla Parola di Dio così come essa viene proposta infallibilmente dalla Chiesa e che ogni cristiano è tenuto a credere come l’unica verità che salva (chiarissimo è questo passaggio di Tommaso: «Sed omnibus articulis fidei inhaeret fides propter unum medium, scilicet propter veritatem primam propositam nobis in Scripturis secundum doctrinam Ecclesiae intellectis sane. Et ideo qui ab hoc medio decidit totaliter fide caret.[=La fede invece aderisce a tutti gli articoli del simbolo per un unico "medium", cioè in forza della prima verità, presentata a noi dalla Sacra Scrittura bene interpretata secondo l'insegnamento della Chiesa. Perciò chi abbandona codesto "medium", è privo totalmente di fede.»] Summa Theologiae. II-II, q.5, a. 3, ad.2).



L’attuale Pontefice Benedetto XVI (che bisogna ascoltare, ma non tanto secondo l’autore dell’articolo), è tornato più volte su questo punto, ricordando che il teologo non deve venire meno alla sua vocazione e per far ciò non può dimenticare, quasi fosse un optional, che «il punto di partenza di ogni teologia cristiana è l’accoglienza della Rivelazione divina: l’accoglienza personale del Verbo fatto carne, l’ascolto della Parola di Dio nella Scrittura. Su tale base di partenza, la teologia aiuta l’intelligenza credente della fede e la sua trasmissione. Ogni lettura della Bibbia si colloca necessariamente in un dato contesto di lettura, e l’unico contesto nel quale il credente può essere in piena comunione con Cristo è la Chiesa e la sua Tradizione viva» (Udienza ai membri della Commissione Teologica Internazionale, 2 dicembre 2011). Come dimostra questo intervento e gli altri, sulla stessa linea, dei diversi Pontefici, la questione è di notevole importanza. Tali chiarificazioni, infatti, hanno l’obiettivo di evitare - come già dicevo poc’anzi - la spiacevole situazione che vede al Magistero affiancarsi una o più “voci” teologiche che invocano una libertà che per il teologo non può esistere dissociata dal “voce” del Magistero stesso. Le ipotesi di interpretazione del dogma devono andare nella medesima “direzione magisteriale”, pena è il venir meno della vocazione a cui è chiamato il teologo e la fine della scienza teologica stessa. Ciò che abbiamo appena detto, in scia alle dichiarazioni dell’attuale Pontefice, è espresso con chiarezza maggiore dall’ Istruzione Donum Veritatis, dove, al n.12, leggiamo: «La libertà di ricerca, che giustamente sta a cuore alla comunità degli uomini di scienza come uno dei suoi beni più preziosi, significa disponibilità ad accogliere la verità così come essa si presenta al termine di una ricerca, nella quale non sia intervenuto alcun elemento estraneo alle esigenze di un metodo che corrisponda all’oggetto studiato.

In teologia questa libertà di ricerca si iscrive all'interno di un sapere razionale il cui oggetto è dato dalla Rivelazione, trasmessa ed interpretata nella Chiesa sotto l’autorità del Magistero, ed accolta dalla fede. Trascurare questi dati, che hanno un valore di principio, equivarrebbe a smettere di fare teologia.»

In questo senso lo spirito di ricerca non deve trasformarsi in criticismo che, come nel campo filosofico, recherebbe danni alla scienza stessa: se gli interventi del Magistero hanno giudicato e giudicano come inconciliabili con la fede alcune dottrine filosofiche come il già citato razionalismo (ma si potrebbe far riferimento anche alle continue critiche di Benedetto XVI al relativismo) ogni cristiano, e ancor di più il teologo che, quando riceve il mandato di insegnare, partecipa, in un certo senso, all’opera del Magistero stesso (cfr. Donum Veritatis, n.22), deve rifiutarle per salvaguardare l’integrità della fede, custodita dalla Chiesa su comando di Cristo, Verbo di Dio.



Voglio, per concludere, richiamare un martire del II secolo, s. Ignazio d’Antiochia che, rivolgendosi ai cristiani di Tralle, nella sua esortazione mostra chiaramente che il cristiano, e nello specifico il dottore della verità cattolica, non si pone a difesa di una delle tante posizione ideologica, non a difesa della propria persona e della propria dottrina, ma a difesa della dottrina che nella pienezza dei tempi è stata rivelata da Nostro Signore: «Non io vi scongiuro ma la carità di Gesù Cristo. Prendete solo l'alimento cristiano e astenetevi dall'erba estranea che è l'eresia. Coloro che per farsi credere mescolano Gesù Cristo con se stessi, sono come quelli che offrono un veleno mortale nel vino melato».

Certo, si può scegliere di non seguire il Magistero e dar sfogo alla propria “libera creatività”, ma a questo punto mi sembra opportuno, come fa il Mancini a conclusione del suo articolo, chiedersi se taluni possano ancora dirsi pienamente cattolici e quindi domandarsi, aggiungo, quale Vangelo proclamino
.".

Ringrazio Giovanni dello spunto ed aggiungo qualche mia considerazione.
Io penso che i veri nemici del Concilio Vaticano II siano proprio i suoi fautori, coloro che si dicono favorevoli a tutte le innovazioni da esso portate e che, anzi, puntano ad amplificarle, arrivando a stravolgere la liturgia e la stessa tradizione dogmatica della Chiesa.
Certo, nello stesso Concilio ci furono anche delle storture.
La non condanna del comunismo fu senz'altro la più grave.
Questo diede un ulteriore spunto a coloro che vollero (e tutt'ora vogliono) stravolgere la tradizione dogmatica e liturgica della Chiesa.
I Padri Conciliari e lo stesso Beato XXIII Papa non vollero lo stravolgimento della Chiesa.
Essi vollero aprire la Chiesa al mondo e rendere la Parola di Dio, quella Parola che si fece carne in Gesù Cristo nostro Signore, fruibile a tutti.
Quindi, lo scopo del Concilio fu nobile.
Per esempio, il dialogo con gli ebrei fu una cosa buona.
Gli ebrei, infatti, professano la stessa religione che fu professata da Gesù Cristo.
Il dialogo con gli ebrei fu un atto di riconciliazione tra la Chiesa e la sua storia.
Anche il dialogo con gli altri cristiani (ortodossi, protestanti ed anglicani) fu molto importante.
La divisione e lo scontro tra cristiani è cosa che va contro le Scritture.
Tuttavia, per certi versi,  il Concilio sembrò sfuggire di mano a chi lo volle, tanto che Papa Giovanni XXIII, per esempio, ordinò il mantenimento della pratica della tonsura dei frati e dell'uso dei flabelli, tiara e sedia gestatoria.
La non condanna del comunismo fu il peccato più grave del Concilio.
Di sicuro, vi sarà stato il ricatto da parte dell'Unione Sovietica, che avrebbe impedito ai russi ortodossi di partecipare al Concilio, e vi sarà stata anche la visione di un "comunismo sorridente" proposta da Nikita Chruscev, che potrebbe avere ingannato i cattolici più aperti, ma fatta sta che non vi sia stata una condanna del comunismo.
Da qui, nacquero gli errori.
Questo silenzio sul comunismo legittimò lo stesso agli occhi di alcuni cristiani.
Così, il comunismo poté entrare nel mondo cattolico, sotto forma di "Chiesa di base", "Teologia della Liberazione" o "Cattolicesimo progressista".
Gesù venne identificato come il "primo socialista".
Questi gruppi sminuirono la liturgia e tutta la tradizione dogmatica, a vantaggio della politica e delle dottrine "sociali".
Essi fecero ciò sotto le insegne del Concilio Vaticano II.
Bisogna riportare il Concilio nei giusti binari.
Esso aprì la Chiesa al mondo ma non volle fare entrare il mondo nella Chiesa.
Cordiali saluti.







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