Sul blog "Quaestiones quodlibetales", ho trovato questo articolo intitolato "Apologisti, occhio, o l'abate Stoppani vi bacchetta":
" Nel 1884 l'abate Antonio Stoppani, al tempo noto scienziato, divulgatore ed apologista, pubblicò l'opera Il Dogma e le Scienze Positive, ossia la missione apologetica del clero nel moderno conflitto tra la ragione e la fede.
All'epoca la situazione non era molto dissimile dai giorni nostri;
allora come oggi circolavano numerosi libelli anticristiani la cui ben
nota pretesa era quella di mostrare l'inconsistenza del pensiero
metafisico e religioso alla luce dei moderni progressi nelle scienze. Lo
Stoppani, uomo di fede e scienziato valente, non poteva allora non
prender parte alla polemica per difendere le buone ragioni della fede
cattolica, e scrisse l'opera succitata, che ancora oggi merita di esser
letta e studiata, al fine di raccomandare agli apologisti cattolici lo
studio delle scienze, e per insegnar loro la maniera più appropriata di
intervenire nel dibattito su scienza e fede.
Uno dei punti che più stavano a cuore all'abate era quello di conoscer
bene la materia: se i libelli antireligiosi erano tanto più apprezzati
ed osannati come somma espressione della razionalità e della libertà di
pensiero quanto più fossero stati pieni di strafalcioni, bugie e
volgarità, agli apologisti cattolici al contrario non si perdonava alcun
errore; la più piccola inesattezza nei loro argomenti era pretesto per
denigrare tutto il resto.
La lezione dello Stoppani, per il quale ho particolare ammirazione, mi è
tornata in mente oggi discutendo con alcuni amici riguardo al seguente
passo tratto dal libro Indagine su Gesù, del noto giornalista cattolico Antonio Socci:
Questo passo purtroppo contiene delle notevoli inesattezze e sarebbe
pertanto assai grave assumere queste argomentazioni all'interno
dell'apologetica; riporto allora qui in sintesi alcune delle riflessioni
che ho fatto sopra questo passo, cercando di correggerne gli errori e
di mostrare il giusto approccio al problema.
Per quanto riguarda la prima parte si nota subito come Socci dia
un'interpretazione un po' fantasiosa del secondo principio della
termodinamica. Questo principio dice che in un sistema isolato
l'entropia non decresce; questa è la definizione tecnica. In meccanica
statistica si dimostra che l'entropia
è legata all'ordine di un sistema, ovvero al numero di stati
microscopici diversi corrispondenti ad uno stesso stato macroscopico. Lo
stato macroscopico più probabile è quello con il maggior numero di
stati microscopici, ovvero quello più disordinato. Ma chiaramente
disordine non è sinonimo di caos.
Se l'unica regola nell'universo fosse il secondo principio della termodinamica, Socci avrebbe in un certo senso ragione, ma in realtà esistono un gran numero di leggi di conservazione che impediscono che avvenga quanto egli sostiene. Ad esempio un elettrone, dal punto di vista energetico, potrebbe decadere in un fotone, e di fatto si potrebbe ipotizzare che, dato un periodo di tempo abbastanza lungo, l'universo finirebbe per esser composto di soli fotoni derivanti dal decadimento di tutte le particelle. Ma questo non succede perché la carica elettrica si conserva, per questo l'elettrone non può decadere in un fotone. E questo è solo un esempio, ma esistono molte altre leggi di conservazione che conferiscono "stabilità" ai sistemi fisici. In poche parole non è detto che lo stato di massimo disordine corrisponda al caos totale.
Il secondo principio vale per i sistemi isolati, e l'universo nella sua globalità lo è, ma a livello locale ci possono benissimo essere sistemi aperti che, scambiando energia con il resto dell'universo, abbassano la loro entropia, mantenendo quindi il loro "ordine" interno. E tali sistemi effetivamente esistono, sono i sistemi viventi. Ed ipoteticamente, in un universo infinito nel tempo e nello spazio, tali sistemi avrebbero a disposizione energia infinita, e quindi generazioni infinite di esseri viventi sono perfettamente concepibili (non sto dicendo che è proprio così, ma solo che non c'è alcuna contraddizione a pensarlo).
L'argomentazione di Socci non regge, perché 1) basata su
un'interpretazione scorretta del secondo principio della termodinamica,
ed inoltre 2) è problematica anche dal punto di vista teologico perché
finisce inevitabilmente con il caratterizzare l'azione di Dio
nell'universo come l'azione di un orologiaio che mette insieme le parti
di un meccanismo.
Se l'unica regola nell'universo fosse il secondo principio della termodinamica, Socci avrebbe in un certo senso ragione, ma in realtà esistono un gran numero di leggi di conservazione che impediscono che avvenga quanto egli sostiene. Ad esempio un elettrone, dal punto di vista energetico, potrebbe decadere in un fotone, e di fatto si potrebbe ipotizzare che, dato un periodo di tempo abbastanza lungo, l'universo finirebbe per esser composto di soli fotoni derivanti dal decadimento di tutte le particelle. Ma questo non succede perché la carica elettrica si conserva, per questo l'elettrone non può decadere in un fotone. E questo è solo un esempio, ma esistono molte altre leggi di conservazione che conferiscono "stabilità" ai sistemi fisici. In poche parole non è detto che lo stato di massimo disordine corrisponda al caos totale.
Il secondo principio vale per i sistemi isolati, e l'universo nella sua globalità lo è, ma a livello locale ci possono benissimo essere sistemi aperti che, scambiando energia con il resto dell'universo, abbassano la loro entropia, mantenendo quindi il loro "ordine" interno. E tali sistemi effetivamente esistono, sono i sistemi viventi. Ed ipoteticamente, in un universo infinito nel tempo e nello spazio, tali sistemi avrebbero a disposizione energia infinita, e quindi generazioni infinite di esseri viventi sono perfettamente concepibili (non sto dicendo che è proprio così, ma solo che non c'è alcuna contraddizione a pensarlo).
Passando alla seconda parte dell'obiezione, la prendo un po' alla larga
cominciando col dire che la scienza, né fisica né metafisica, potrà mai
dirci se l'universo sia infinito o meno: è chiaro infatti che la
questione non possa essere risolta empiricamente, mentre dal punto di
vista logico entrambe le soluzioni sono accettabili (si ricordi qui la
prima antinomia di Kant il quale, bisogna dirlo, in questo caso aveva
ragione da vendere). Molto spesso una certa ingenua apologetica difende
strenuamente l'ipotesi finitista (magari aggrappandosi alla teoria del
Big Bang che però, attentamente considerata, nella sua logica interna
non implica niente del genere), nella convinzione, spesso taciuta e
condivisa con lo scientismo materialista, che un universo infinito
sarebbe effettivamente un adeguato sostituto di Dio.
Per il corretto approccio a questo problema ci viene in soccorso, come spesso accade, Tommaso d'Aquino, che ci insegna che quand'anche l'universo fosse infinito nello spazio e nel tempo, esso sarebbe comunque un universo creato. Per giustificare quest'affermazione è necessario comprendere cosa l'Aquinate intenda propriamente per creazione, e per questo è necessario delineare in poche parole la scoperta fondamentale della sua speculazione metafisica: la distinzione reale tra essere ed essenza. L'essenza è ciò che una cosa è, ciò che la costituisce come tale; quando diamo la definizione di una certa cosa, ovvero ne indichiamo i costitutivi fondamentali che la rendono proprio tale, stiamo parlando dell'essenza di quella cosa. Ma l'essenza indica solo la potenza ad essere, e non l'atto d'essere; ogni cosa può essere in atto (esistere, esser posta fuori dal nulla) o non essere affatto. L'atto d'essere è quindi un principio distinto dall'essenza, perché mentre l'essenza è ciò che una cosa è, l'essere è ciò per cui l'essenza esiste in atto. Ogni essenza è sempre limitata, perché essa è sempre un modo particolare di essere e non è tutto l'essere; l'atto d'essere trascende ogni essenza, perché è per l'atto d'essere che ogni essenza esiste in atto; nessuna essenza particolare esaurisce in sé l'atto d'essere, che è infinito, perché l'atto d'essere, ciò per cui ogni cosa è, ponendo in atto ogni essenza, ha in sé le perfezioni di ogni essenza; l'atto d'essere è sintesi, plesso di tutte le perfezioni. Se l'essere e l'essenza sono due principi distinti, allora l'essenza non può essere in atto in virtù dell'essenza stessa; l'essenza distinta dall'atto d'essere riceve quindi da altro l'essere che la pone in atto, che la fa esistere, che la pone fuori dal nulla. Tutto ciò che esiste, esiste quindi in dipendenza dall'atto d'essere ricevuto. Per questo Tommaso identifica il Primo Principio di tutte le cose, che tutti chiamano Dio, in quell'ente, che non può essere che unico, la cui essenza si identifica con il suo atto d'essere. La creazione non è quindi un inizio dell'universo, ma è la relazione di dipendenza di ogni ente dall'atto d'essere ricevuto da Dio; Dio non dà origine all'universo, ma lo fa essere. Si parla propriamente di creatio continua, perché la creazione non è un atto limitato nel tempo, ma è l'azione continua di Dio con la quale Egli sostiene nell'essere l'universo, lo conserva nell'esistenza. E poiché creazione non significa inizio nel tempo, ma relazione della creatura al Creatore, allora anche un universo infinito nel tempo sarebbe nondimeno creato.
Per il corretto approccio a questo problema ci viene in soccorso, come spesso accade, Tommaso d'Aquino, che ci insegna che quand'anche l'universo fosse infinito nello spazio e nel tempo, esso sarebbe comunque un universo creato. Per giustificare quest'affermazione è necessario comprendere cosa l'Aquinate intenda propriamente per creazione, e per questo è necessario delineare in poche parole la scoperta fondamentale della sua speculazione metafisica: la distinzione reale tra essere ed essenza. L'essenza è ciò che una cosa è, ciò che la costituisce come tale; quando diamo la definizione di una certa cosa, ovvero ne indichiamo i costitutivi fondamentali che la rendono proprio tale, stiamo parlando dell'essenza di quella cosa. Ma l'essenza indica solo la potenza ad essere, e non l'atto d'essere; ogni cosa può essere in atto (esistere, esser posta fuori dal nulla) o non essere affatto. L'atto d'essere è quindi un principio distinto dall'essenza, perché mentre l'essenza è ciò che una cosa è, l'essere è ciò per cui l'essenza esiste in atto. Ogni essenza è sempre limitata, perché essa è sempre un modo particolare di essere e non è tutto l'essere; l'atto d'essere trascende ogni essenza, perché è per l'atto d'essere che ogni essenza esiste in atto; nessuna essenza particolare esaurisce in sé l'atto d'essere, che è infinito, perché l'atto d'essere, ciò per cui ogni cosa è, ponendo in atto ogni essenza, ha in sé le perfezioni di ogni essenza; l'atto d'essere è sintesi, plesso di tutte le perfezioni. Se l'essere e l'essenza sono due principi distinti, allora l'essenza non può essere in atto in virtù dell'essenza stessa; l'essenza distinta dall'atto d'essere riceve quindi da altro l'essere che la pone in atto, che la fa esistere, che la pone fuori dal nulla. Tutto ciò che esiste, esiste quindi in dipendenza dall'atto d'essere ricevuto. Per questo Tommaso identifica il Primo Principio di tutte le cose, che tutti chiamano Dio, in quell'ente, che non può essere che unico, la cui essenza si identifica con il suo atto d'essere. La creazione non è quindi un inizio dell'universo, ma è la relazione di dipendenza di ogni ente dall'atto d'essere ricevuto da Dio; Dio non dà origine all'universo, ma lo fa essere. Si parla propriamente di creatio continua, perché la creazione non è un atto limitato nel tempo, ma è l'azione continua di Dio con la quale Egli sostiene nell'essere l'universo, lo conserva nell'esistenza. E poiché creazione non significa inizio nel tempo, ma relazione della creatura al Creatore, allora anche un universo infinito nel tempo sarebbe nondimeno creato.
Si capisce allora perché i tentativi,
come quello di Socci, di giustificare la dottrina della creazione su
basi scientifiche non abbiano senso, in quanto disconoscono, alla stessa
maniera dello scientismo materialista, il senso metafisico profondo
della creazione. Si lascia così credere che Dio sia al più una sorta di
primo ente che mette insieme le parti dell'universo, e poi le lascia
funzionare come il meccanismo di un orologio che va da sé una volta che
sia stato caricato; un Dio orologiaio che avvia la macchina e poi si
ritira, tranne intervenire ogni tanto per aggiustare qualcosa od
apportare qualche correzione. Di questo Dio il materialismo si sbarazza
facilmente. Secondo la comprensione che invece ne ha Tommaso, Dio è
sempre presente, e la sua azione è sempre visibile nell'esistenza di
tutte le cose; tutto ciò che esiste, esiste, agisce, vive, perché Dio lo
fa esistere, perché Dio lo vuole e gli concede l'esistenza. In Giovanni
19 si narra che Pilato chiese a Gesù prigioniero: "Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?" La risposta di Gesù è ben nota: "Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto."
Mi piace pensare che la metafisica di Tommaso ci faccia comprendere la
portata universale di quelle parole: tutto ciò che noi siamo, non
potremmo esserlo se non ci fosse concesso dall'alto. Noi, ed ogni altra
cosa, siamo in continua relazione con il Creatore, senza questa
relazione non potremmo fare nulla e non saremmo nulla (o forse sarebbe
meglio dire che "saremmo nulla").
PS. Se qualcuno fosse interessato alla figura dello Stoppani invito a leggere questo mio lavoro che scrissi tempo fa per il portale di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede, o almeno la sintesi che ne è stata tratta qui.".
Il rapporto tra fede e scienza è molto complesso.
Nel pensiero attuale, la scienza è contro la fede e viceversa.
La realtà è ben diversa.
E' vero che fede e scienza sono due cose distinte.
Non vanno mescolate.
Ad esempio, Isaac Newton (1642-172) fece ciò.
Egli usò la Bibbia per fare ricerca scientifica e tramite questa ricerca scientifica egli volle calcolare la data dell'Apocalisse.
Fede e scienza sono distinte.
Tuttavia, la fede ha bisogno della scienza come la scienza ha bisogno della fede. Ad esempio, per verificare i fatti soprannaturali, serve la scienza.
La fede, invece, può trasmettere valori etici e fare in modo che anche la scienza possa essere volta al bene.
Purtroppo, oggi, la scienza è stata privata dall'etica e l'uomo si sente come Dio sulla Terra.
Da qui nascono tutte le storture di una scienza usata per ingigantire sé stessi, senza tenere conto degli effetti che essa può provocare, anche facendo male agli altri uomini.
Come tutti i doni di Dio, la scienza è fatta per il bene.
Cordiali saluti.
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