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sabato 6 ottobre 2012

Tradizione e progresso - Pio XII al patriziato ed alla nobiltà romana

Cari amici ed amiche.

Attraverso Facebook, l'amico Andrea Casiere mi ha fatto questo testo intitolato "Tradizione e progresso - Pio XII al patriziato ed alla nobiltà romana":


" (...)

Le cose terrene scorrono come un fiume nell'alveo del tempo : necessariamente il passato cede il posto e la via all'avvenire, e il presente non è che un istante fugace che congiunge l'uno con l'altro. È un fatto, è un moto, è una legge; non è in sé un male. Il male sarebbe, se questo presente, che dovrebbe essere un flutto tranquillo nella continuità della corrente, divenisse una tromba marina, sconvolgendo ogni cosa come tifone o uragano al suo avanzarsi, e scavando con furioso distruggimento e rapimento un abisso tra ciò che fu e ciò che deve seguire. Tali sbalzi disordinati, che fa la storia nel suo corso, costituiscono allora e segnano ciò che si chiama una crisi, vale a dire un passaggio pericoloso, che può far capo a salvezza o a rovina irreparabile, ma la cui soluzione è tuttora avvolta di mistero entro la caligine delle forze contrastanti.  
(...)
Questa parola (la tradizione), ben si sa, suona sgradita a molti orecchi; essa spiace a buon diritto, quando è pronunciata da certe labbra. Alcuni la comprendono male; altri ne fanno il cartellino menzognero del loro egoismo inattivo. In tale drammatico dissenso ed equivoco, non poche voci invidiose, spesso ostili e di cattiva fede, più spesso ancora ignoranti o ingannate, vi interrogano e vi domandano senza riguardo: A che cosa servite voi? Per rispondere loro, conviene prima intendersi sul vero senso e valore di questa tradizione, di cui voi volete essere principalmente i rappresentanti.
Molti animi, anche sinceri, s'immaginano e credono che la tradizione non sia altro che il ricordo, il pallido vestigio di un passato che non è più, che non può più tornare, che tutt'al più viene con venerazione, con riconoscenza se vi piace, relegato e conservato in un museo che pochi amatori o amici visitano. Se in ciò consistesse e a ciò si riducesse la tradizione, e se importasse il rifiuto o il disprezzo del cammino verso l'avvenire, si avrebbe ragione di negarle rispetto e onore, e sarebbero da riguardare con compassione i sognatori del passato, ritardatari in faccia al presente e al futuro, e con maggior severità coloro, che, mossi da intenzione meno rispettabile e pura, altro non sono che i disertori dei doveri dell'ora che volge così luttuosa.
Ma la tradizione è cosa molto diversa dal semplice attaccamento ad un passato scomparso; è tutto l'opposto di una reazione che diffida di ogni sano progresso. Il suo stesso vocabolo etimologicamente è sinonimo di cammino e di avanzamento. Sinonimia, non identità. Mentre infatti il progresso indica soltanto il fatto del cammino in avanti, passo innanzi passo, cercando con lo sguardo un incerto avvenire; la tradizione dice pure un cammino in avanti, ma un cammino continuo, che si svolge in pari tempo tranquillo e vivace, secondo le leggi della vita, sfuggendo all'angosciosa alternativa : « Si jeunesse savait, si vieillesse pouvait! »; simile a quel Signore di Turenne, di cui fu detto: « Il a eu dans sa jeunesse toute la prudence d'un âge avancé, et dans un âge avancé toute la vigueur de la jeunesse » (Fléchier, Oraison funèbre, 1676). In forza della tradizione, la gioventù, illuminata e guidata dall'esperienza degli anziani, si avanza di un passo più sicuro, e la vecchiaia trasmette e consegna fiduciosa l'aratro a mani più vigorose che proseguono il solco cominciato. Come indica col suo nome, la tradizione è il dono che passa di generazione in generazione, la fiaccola che il corridore ad ogni cambio pone in mano e affida all'altro corridore, senza che la corsa si arresti o si rallenti. Tradizione e progresso s'integrano a vicenda con tanta armonia, che, come la tradizione senza il progresso contraddirebbe a se stessa, così il progresso senza la tradizione sarebbe una impresa temeraria, un salto nel buio.
No, non si tratta di risalire la corrente, di indietreggiare verso forme di vita e di azione di età tramontate, bensì, prendendo e seguendo il meglio del passato, di avanzare incontro all'avvenire con vigore di immutata giovinezza.
Ma così procedendo, la vostra vocazione splende già delineata, grande e laboriosa, che dovrebbe meritarvi la riconoscenza di tutti e rendervi superiori alle accuse che vi fossero rivolte dall'una o dall'altra parte.

Mentre voi mirate provvidamente ad aiutare il vero progresso verso un avvenire più sano e felice, sarebbe ingiustizia ed ingratitudine il farvi rimprovero e segnarvi a disonore il culto del passato, lo studio della sua storia, l'amore delle sante costumanze, la fedeltà irremovibile ai principi eterni. Gli esempi gloriosi o infausti di coloro, che precedettero l'età presente, sono una lezione e un lume dinanzi ai vostri passi; e già fu detto a ragione che gli insegnamenti della storia fanno dell'umanità un uomo sempre in cammino e che mai non invecchia. Voi vivete nella società moderna non quasi come emigranti in paese straniero, ma come benemeriti e insigni cittadini, che intendono e vogliono lavorare e collaborare coi loro contemporanei, affine di preparare il risanamento, la restaurazione e il progresso del mondo.

(...)

( tratto dal DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII AL PATRIZIATO E ALLA NOBILTÀ ROMANA, Sabato, 26 giugno 1944)".

Ringrazio Andrea dell'ottimo spunto.
Io penso che il vero progresso parta sempre dal tenere conto della tradizione non dalla rottura con essa.
Quando si rompe con la tradizione non viene generato progresso ma si distrugge completamente una società.
La tradizione è come una radice.
Senza la radice la pianta muore. 
Per farvi capire meglio vi racconto un fatto.
Mio fratello aveva presenziato ad una Messa per un suo amico morto tragicamente in un incidente stradale.
Ora, secondo quanto riportatomi da mio fratello, il prete che celebrava la liturgia diceva che non bisognava seguire i dogmi ma essere a posto con la propria coscienza.
Ora, di fronte ad una simile cosa, se fossi stato presente, io sarei rimasto inorridito e, dopo la funzione, avrei chiesto spiegazioni a quel presule.
Va bene non fare del male, essere buoni a nessuno ed essere a posto con la coscienza.
Anzi, ciò è fondamentale, per non ridurre i riti semplici formalità. 
Però, essere cristiani (e cattolici) significa anche dovere adempiere a certi  precetti.
Ad esempio, bisogna andare a Messa almeno nei giorni comandati (le domeniche, il Natale, le feste mariane ed il Triduo Pasquale), confessarsi, comunicarsi e digiunare quando c'è da digiunare.
Di certo, tutto ciò dovrà essere accompagnato da opere degne ma essere cristiani vuole dire avere qualcosa in più.
Del resto, anche l'antica tradizione ebraica ebbe dei dogmi.
Basti pensare al quarto comandamento della Legge che recita:

"Ricordati del giorno del sabato per santificarlo. Per sei giorni lavorerai e compirai ogni tua opera ma il settimo è giorno di totale cessazione del lavoro e dedicato al Signore Dio tuo. Non farai alcun lavoro né tu né tuo figlio né tua figlia né il tuo schiavo né la tua schiava né il tuo animale né il forestiero che si trova nelle porte [della tua città] poiché in sei giorni il Signore creò il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che contengono e nel settimo giorno si riposò e per questo il Signore ha benedetto il settimo giorno santificandolo.".

Quindi, per certi versi, la tradizione è anche più antica della Chiesa stessa e la Chiesa la porta dentro di sé tutt'ora.
Di certo anche il non fare male ad alcuno e quant'altro, fanno parte della tradizione.
Basti pensare al comandamento di Gesù Cristo che recita: "Ama il tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua mente e con tutte le tue forze ed ama il prossimo tuo come te stesso".
Quindi, per il cristiano l'essere una brava persona deve essere coniugato al credere in Dio e nei riti della sua Chiesa e viceversa.
Cordiali saluti. 







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