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giovedì 1 settembre 2011

DESTRA, SINISTRA E CRISTIANESIMO, COMMENTO ALLE NOTE DI FILIPPO GIORGIANNI



Cari amici ed amiche.

Oggi voglio parlarvi della destra e della sinistra, usando anche due bellissime note che l'amico Filippo Giorgianni ha scritto su Facebook.
Questo è il testo della prima nota:

"Si è sopra argomentato che la modernità coincide con la capacità di autodeterminazione dell’individuo – e più in generale dei soggetti sociali. Ebbene, per la sinistra tale autodeterminazione è possibile in forza di una critica che la fa emergere dal dato, sentito sempre come limitante. Per la destra, al contrario, coincide con un dato da portare alla luce. Per la sinistra perché l’individuo possa realizzarsi deve poter superare la propria datità. Per la destra, quella stessa datità viene normativizzata, assunta a criterio. [...] L’etica della sinistra muove da una negazione della dimensione fattuale, quella di destra dalla sua valorizzazione. La destra punta all’assolutizzazione normativa di un dato. La sinistra alla negazione normativa di qualunque dato. [...] Da una parte si cerca di dare concretezza a un’astrazione; dall’altra di generalizzare e di astrarre una dimensione che appare come concreta, fattuale. Da una parte, il criterio universale è pensato nella prospettiva del superamento dei limiti di fatto che costringono l’individuo; dall’altra, il criterio universale è pensato come una realtà di fatto, ineludibile e che deve essere riconosciuta. La vera soggettività del soggetto è per la sinistra qualcosa che continuamente sporge dal soggetto reale. Per la destra, invece, è qualcosa che coincide con il soggetto reale. Infatti, semplificando, cosa hanno in comune la sinistra liberale e il marxismo se non la negazione della dimensione fattuale, in nome di criteri normativi (anche se tra di loro inconciliabili) a essa esterni? E cosa accomuna la destra liberale e il fascismo se non l’evidenziazione di datità (anch’esse tra di loro inconciliabili) ritenute imprescindibili, che volta a volta vengono considerate criteri normativi? [...] cosa mi assicura, nel momento in cui traccio il segno che identifica la mia identità, che io non stia facendo un torto, volta a volta, alla mia datità, oppure alle possibilità che essa contiene, che da essa sporgono? Destra e sinistra si connotano come due diversi atteggiamenti, o propensioni, rispetto a tale problema: per la destra, l’individuo deve essere così perché è così; per la sinistra, anche se è così, deve essere diversamente. [...] In questo senso, destra e sinistra sono anche identità, sono tradizioni culturali. E, in questo senso, sembrano poter coincidere con contenuti specifici, la sinistra con l’emancipazione, con l’eguaglianza, con il progresso, ecc.; la destra con il radicamento, la libertà, la conservazione, ecc. [...] La sinistra, però, è doppiamente artificialista, dal momento che, nel decidere su cosa l’individuo sia, preme l’acceleratore sul superamento di ciò che appare un dato. In questo senso è più facile che sia progettuale, laddove la destra è maggiormente fattuale. [...] Se questo è vero, allora ne consegue che, in senso stretto, un olismo di sinistra è impossibile. Poiché la sinistra tende a non riconoscersi nel dato, a mostrare ciò che da esso continuamente sporge, è evidente che tendenzialmente il suo atteggiamento, se coerente, sarà sempre critico nei confronti di qualsiasi organizzazione sociale, la quale, per potersi dare in quanto tale, deve di necessità porsi come qualcosa di dato. Se pensiamo, ad esempio, al comunismo del Marx dei Manoscritti, balzerà immediatamente all’occhio che la società comunista non è descrivibile, proprio perché in essa l’individuo è pensato come pura autodeterminazione, come pura libertà. Nella famosa espressione marxiana, “da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”, le capacità non sono reali e i bisogni non sono reali. [...] Molto significativa è, a questo riguardo, la critica che Adorno muove all’autenticità, al suo uso assolutizzante: “autenticità non è il nome di una qualità reale specifica, ma resta formale e relativa al suo contenuto che in essa è tralasciato o addirittura respinto (...). Essa non dice nulla dell’essenza di una cosa, ma dice se, e in che misura, una data cosa corisponde a ciò che è già presupposto nel suo concetto, in implicita contrapposizione con ciò che la cosa è in apparenza”. [...] Perciò anche l’individuo, le sue capacità e i suoi bisogni, eccedono sempre le forme che concretamente si danno all’interno di una data struttura sociale [...]. Per Adorno, l’universale è sempre parziale, mai pienamente tale. Al contrario, il rischio della destra è quello di non riuscire a essere, in senso stretto, individualistica. Se la destra, infatti, propende per riconoscere il soggetto come qualcosa di dato, tendenzialmente a essa sfugge la natura dell’individuo, la sua tensione all’autodeterminazione. Come esempio paradigmatico, si rifletta sul seguente passo di Edmund Burke: “in questa età illuminata, io sono abbastanza audace da confessare che noi inglesi siamo generalmente uomini dotati di sentimenti ineffabili: invece di gettar via tutti i nostri vecchi pregiudizi, li coltiviamo affinché si sviluppino in un grado considerevole; e, cosa ancor più vergognosa, li coltiviamo proprio perché sono pregiudizi; e quanto più a lungo ci resistono e ci si impongono, tanto più li coltiviamo. Abbiamo paura di mettere al mondo degli uomini per poi lasciarli interagire ognuno con la propria riserva di ragione; perché sospettiamo che tale riserva sia piccola, e gli individui farebbero meglio ad avvalersi della banca e del capitale globale delle nazioni e dei propri padri”. [...] rispetto alla domanda “dove inizia l’individuo?”, abbiamo, da una parte, la tendenza assoluta a far coincidere individuo e dato (Burke), e, dall’altra, l’impossibilità di dire alcunchè di preciso e di concreto (Adorno). Nel primo caso, avremmo il ritorno alle società pre-moderne – gli individui sono ciò che sono, indipendentemente dalla loro capacità di autodeterminazione – (Burke), dall’altra lo sconfinamento in un ideale utopico e mai realizzabile – gli individui sono ciò che debbono e possono essere – (Adorno).»".

Questo è il testo della seconda:

"Di quando in quando, alcuni vogliono fare della destra un’altra sinistra; una sinistra contro la sinistra; combattere la sinistra nella stessa maniera che la sinistra combatte la destra. Senza vedere che questo combattimento e questa maniera sono l’essenza stessa della sinistra, sono il suo crimine ed il peggiore dei mali politici, il più mortale per le società civilizzate. Si è di sinistra per organizzare un’aggressione: contro la ingiustizia, dice la sinistra, e d’altra parte è spesso vero. Ma la mobilitazione ideale ed astratta contro l’ingiustizia s’incarna in una guerra ai responsabili, reali o supposti, dell’ingiustizia; in una strategia, simultaneamente, per impadronirsi del potere, di tutti i poteri, dato che il potere ed i poteri sono ritenuti necessari per vincere l’ingiustizia fino nelle cause. Così la sinistra è rivoluzionaria, si costituisce per rovesciare gli uomini e le istituzioni che sono nello Stato, nella professione, nella società. Di fronte a questo, si è di destra dapprima per legittima propria difesa, e per rendere colpo per colpo, è normale: la legittima difesa soprattutto di un corpo sociale dilaniato dall’aggressione della sinistra, ovvero minacciato da perirne, anche quando l’aggressione ha preso per tema o pretesto una reale ingiustizia. [...] La destra, una volta gettata suo malgrado nelle lotte civili, si distingue per un’assenza pressoché costante di senso politico, se con questo si intende l’attitudine a conciliarsi l’opinione pubblica. Istituita dalla sinistra come la categoria sociale degli sfruttatori, dei retrogradi e dei traditori, la destra reagisce allora come categoria morale, come partito morale che ha in orrore la rivalità dei partiti, il loro fracasso grossolano, la loro fabbrica di calunnie. La destra è sensibile innanzitutto ai sentimenti morali: la virtù del patriottismo, l’onestà (l’onestà di bilancio dell’ortodossia economica, niente deficit, niente svalutazioni), la vita familiare, l’ordine, la sicurezza; la legge morale naturale. La sinistra si distingue per il senso politico parlamentare, elettorale, agitatore. Senso politico contro senso morale, la partita non è politicamente uguale. [...] La sconfitta: la destra si trova ordinariamente vinta nel combattimento sinistra contro destra. Dal 1789, essa ha riportato delle vittorie tanto rare quanto provvisorie, ha subito delle sconfitte numerose e durature. Perché la regola di questo combattimento, perché la sua stessa esistenza costituisce già la sconfitta della destra e la sua sconfitta più grave. Da quando si battono una sinistra ed una destra, la destra ha perso l’essenziale, che è di non battersi tra membri di una stessa comunità politica. Ma questo la destra non lo sa abbastanza chiaramente. La destra vinta nelle elezioni o nelle rivoluzioni riflette sulla sua sconfitta e vuole trarne la lezione. Ne trae spesso la lezione che avrebbe dovuto battersi meglio, ma vi si prepara alla rovescia: imita la sinistra, la sua opposizione, le sue rivendicazioni, la sua propaganda, la sua organizzazione di lotta civile; ed è, in questo, infinitamente maldestra perché si è sempre battuti quando si agisce contrariamente alla propria vocazione. Ed è ugualmente battuta, salvo quando l’avvenimento, la guerra, la catastrofe (cioè Dio stesso) le restituiscono il potere o una piccola parte del potere; come nel 1815, nel 1871, nel 1940 in Francia. Allora la nazione è chiamata dall’avvenimento ad una espiazione; la sinistra la persuade che è inganno e tradimento. E tutto ricomincia, in una maniera o nell’altra, sorniona o brutale, ma è sempre il combattimento politico che si insinua o si impone, il combattimento sinistra contro destra e la contro-rivoluzione fallisce. La destra non capisce che se è stata battuta non è affatto perché si è battuta male: sì, si è battuta male, ma è anche vero che essa è condannata in una battaglia che non è la sua, ed è stata battuta perché questa battaglia ha avuto luogo. [...] In politica la sinistra non può che vincere e la destra che convincere. La destra lo sa male; la sinistra, che lo sa meglio, ha un bisogno vitale di dissimularlo, quindi di impedire il dialogo e la conversazione, di escludere e di ghigliottinare, di interdire e di imprigionare, ma sempre in nome del dialogo, della libertà, dell’umanità. Non è Luigi XVI che fa sparare sul popolo; non è Carlo X; quando in Portogallo il regime di Salazar è rovesciato, il numero dei prigionieri politici aumenta. Il 14 luglio 1789 vi erano in tutto sette prigionieri nella Bastiglia, noi ne festeggiamo ancora la presa poco gloriosa da parte di coloro che stanno sviluppando le carcerazioni e le esecuzioni. La Russia dello Zar, dell’ukase e dello knout non fa eccezione: la rivoluzione comunista vi ha moltiplicato il numero ed aggravato la sorte dei deportati politici. Quando possono parlare in modo calmo e distinto, senza l’ostruzionismo dei clamori organizzati, gli uomini politici non di sinistra guadagnano il consenso generale. Anche per Luigi XVI bisogna coprire la sua voce con il rullo dei tamburi, anche Maria Antonietta, così calunniata, così detestata, si attira al suo processo la simpatia e la comprensione di un pubblico ostile e bisogna sospendere l’udienza. [...] Quando la destra imita i metodi politici della sinistra, è una sconfitta supplementare della destra ed una supplementare vittoria della sinistra. La destra non sa più che cosa è: si crede un partito o una fazione, provvisto di un programma più ragionevole degli altri, studiato più prudentemente e seriamente, meno mentitore e meno demagogico, ultimo resto delle antiche virtù della sua vocazione e si impegna tutta intera in una strategia per il potere. [...] Ma ogni strategia per il potere, e l’idea stessa di una tale strategia, sono di sinistra e piegarsi a questa è l’essenziale dell’educazione politica dell’uomo di sinistra. Prendere il potere o cercare di impadronirsene è l’atto più fondamentalmente rivoluzionario. L’uomo di destra tradisce la sua vocazione da quando accetta, fosse pure per finta o per tattica, di considerare il potere come cosa che si prende. Ogni potere che è preso cambia per questo natura, diviene sovversivo. Per ogni uomo che è di sinistra, per ogni uomo secondo la natura e la vocazione umane, il potere è cosa che si subisce o alla quale si obbedisce, che si sfida qualche volta o che si ignora o infine che si riceve, se lo si riceve, ma mai, giammai, che si prende. Non si prende il potere, lo riceve da Dio. Quando lo si prende lo si disfa nelle proprie mani, lo si snatura e ci si meraviglia in seguito che le vecchie nazioni d’Europa siano divenute ingovernabili. Prendere il potere vuol dire rovesciare il potere esistente e più spesso lo si rovescia, meno autorità conserva. Senza autorità morale, i governi moderni non governano più che attraverso la menzogna ed il timore. E sarà così e sempre più così, finché non sarà stato soppresso il giuoco sinistra-destra.»".

Ora, faccio le mie considerazioni, da uomo di destra quale sono.
Per la prima nota, Giorgianni ha usato un testo di Ambrogio Santambrogio mentre per la seconda ha utilizzato un testo di Jean Madiran, un giornalista che scrive articoli per il giornale "Present", una testa vicina al partito "Front National". Ora, vorrei dire il mio parere. Il concetto di destra e sinistra si evolse nel tempo. La destra rappresenta la continuità o l'evoluzione lineare di una determinata situazione politica e culturale mentre la sinistra rappresenta la rivoluzione o lo stravolgimento della stessa. In realtà, i due concetti sono molto più sfumati e le differenza non sono così marcate.
Un esempio è rappresentato dalla Riforma protestante. Per tanti versi, essa fu di sinistra. Infatti, ove si affermò, il protestantesimo cambiò il culto e spezzò il governo del Papa e dei vescovi. Inoltre, esso assunse il carattere di una rivoluzione sociale, carattere che si manifestò nel 1524, con la rivolta dei contadini, e con la presa di Munster, nel 1535. In realtà essa si affermò spesso e volentieri con il consenso dei monarchi e dei governi, che aspiravano ad acquisire potere e ad appropriarsi dei beni della Chiesa cattolica. Quindi, ebbe anche una "chiave di lettura conservatrice" verso il potere di quei sovrani che scelsero il protestantesimo.
Inoltre, ciò dimostra un concetto che ho già espresso in passato, ossia che la rivoluzione altro non è che la distruzione di un potere a cui subentra un altro. Del resto, sia la Rivoluzione inglese del 1649 e sia la Rivoluzione francese del 1789 , furono proprio gli esempi di ciò. In Inghilterra, Oliver Cromwell fece morire re Carlo Stuart, ne distrusse il potere e ne creò uno suo.
Anche qui, il contesto di destra e di sinistra sfuma. La Rivoluzione era certo di sinistra perché puntò a stravolgere l'ordine precedente.
In Francia, chi salì al potere in quel triste evento puntò a mantenere il potere con la forza. Quindi, la Rivoluzione assunse un carattere conservatore.
E così, la distinzione tra destra e sinistra non divenne più solo una questione di conservazione o cambiamento ma un qualcosa di più profondo.
Per "destra" si intende indentificare quel movimento legato alle tradizioni e alla cultura di una determinata realtà e a mantenerle o a fare sì che si evolvano senza che si snaturino. Per "sinistra" si intende tutto ciò che punta a sradicarle o a cambiarle radicalmente.
Il comunismo è l'esempio classico di sinistra. Esso, infatti, punta a sradicare determinati valori, famiglia e religione in primis. Anche il nazismo ed il fascismo, pur avendo avuto una tendenza conservatrice, in realtà rappresentavano uno stravolgimento dell'ordine.
Infatti, essi risaltavano certi aspetti della cultura e della storia dei Paesi in cui si svilupparono ma ne trascurarono altri.
Fu già uno stravolgimento della realtà.
Oggi, cosa significa essere di destra o di sinistra?
Io penso che essere di destra significhi avere a cuore la storia ed i valori della tradizione nella loro pienezza e cercare di proiettarli nel futuro, senza stravolgimenti ma con attente riforme. La vocazione federalista del centrodestra italiano è un esempio. Inoltre, a destra, la storia viene vista con senso critico. Un esempio è la questione dei caduti nelle foibe.
Essere di sinistra, invece, significa solo tenere conto di parte della tradizione e dei valori di una realtà ma essere intrinsecamente favorevoli ad un loro stravolgimento.
Qui in Italia, forse, ciò può spiegare questo "attaccamento" al Tricolore e alla Costituzione repubblicana e a la "canonizzazione" di Giuseppe Garibaldi da parte del centrosinistra. In realtà, il centrosinistra erge tutte queste cose a simboli ma né dà sempre un interpretazione atta, da una parte, a screditare l'ordine preesistente e quindi proporli in chiave rivoluzionaria e, dall'altra, ad affossare, ogni tentativo di riforma di essi e di diversa interpretazione. Qui entra in gioco anche la questione del Cristianesimo. Nei suoi primi secoli, esso venne visto come "rivoluzionario", quindi di "sinistra" . In realtà non fu così. I primi cristiani pregavano per l'imperatore romano e vedevano nello Stato una forza di ordine. Inoltre, il Cristianesimo agì come forza di conservazione della civiltà greco-romana, sotto l'attacco dei barbari. Anche qui, l'interpretazione può variare in funzione dell'ideologia di destra e di sinistra. Chi al Cristianesimo dà un'interpretazione di sinistra parla solo di parte di esso e spesso le pone contro l'ordine costituito. Mi viene in mente don Vitaliano Della Sala, il prete noto No Global, che una volta definì il Cristianesimo "disobbedienza". Ora, un cristiano deve disobbedire ad una legge solo quando quest'ultima è gravemente ingiusta. Il cristiano, ad esempio, deve disobbedire ad una legge che impone di uccidere, di abiurare la propria religione, di creare il male al prossimo o di rubare. In altri casi, egli è tenuto ad obbedire perché il Cristianesimo è obbedienza a Dio e al governo perché quest'ultimo ha il potere perché Dio gliel'ha concesso. Leggete questo brano del Vangelo secondo Giovanni (capitolo 19, versetti 8-11) che narra del discorso tra Pilato e Gesù, prima della crocifissione e che recita:
" All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura 9 ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: «Di dove sei?». Ma Gesù non gli diede risposta. 10 Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?
Rispose Gesù: «Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande».".
Quindi, Gesù riconobbe il potere costituito. Già fece ciò, dicendo "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio". I primi cristiani pregavano per l'imperatore proprio perché vedevano nello Stato il mezzo per mantenere l'ordine. Certo, quando il "trono e l'altare" non sono più alleati e sono l'uno contro l'altro (cosa che piace alla sinistra), la situazione si fa difficile. Qui in cristiani devono impegnarsi perché ciò non accada.
Cordiali saluti.




2 commenti:

  1. http://affaritaliani.libero.it/politica/piepoli010911.html

    E ora come la mettiamo??? La manovra 1-2-3 e immagino quante ce ne saranno ancora... nn mi pare che convinca gli italiani! PD primo partito e csx +5% sul cdx! ZITTO E ROSICAAAAAAAAA.....

    RispondiElimina
  2. Ma stai zitto tu!
    Meno male che sei un "democratico"...dei miei stivali.
    Ricordati di quello che successe nel 2006.
    Tutti davano il centrosinistra per vincente di tre, quattro o cinque punti e finì in un pareggio.
    Ti stai gufando da solo.

    RispondiElimina

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