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mercoledì 14 settembre 2011

LA DESTRA, LA SINISTRA E LA STORIA, COMMENTO ALLA NOTA DI FILIPPO GIORGIANNI

Cari amici ed amiche.

Come sempre, l'ottimo Filippo Giorgianni, ha messo questa nota sulla mia pagina di Facebook.
Essa parla di una citazione dell'"Ettore Fieramosca", opera del politico e scrittore Massimo Taparelli d'Azeglio (Torino 24 ottobre 1798-Torino 15 gennaio 1866).
Esso recita:

"«A questa lode espressa col fuoco d’un animo schietto ed amante del vero, gli Spagnuoli diedero coi cenni e colle parole un’approvazione che non potevano negare essendo giornalmente testimoni del valore degli uomini d’arme Italiani. Ma i tre prigionieri caldi dalle parole e dal vino, e La Motta più degli altri, avendola con Íñigo, che sempre durante la cena lo era andato pungendo, non potè mancare alla sua superba natura di stimar tutti nulla in paragone suo e dei suoi; onde alle parole dello Spagnuolo rispose con un riso studiato ed un guardo di compassione che fece montar la stizza fino ai capelli al giovane, e gli s’accrebbe la metà quando La Motta seguì dicendo: — Quanto a questo, messer cavaliere, nè io nè i miei compagni siamo del vostro avviso. Da molt’anni facciamo la guerra in Italia; e, come già v’ho detto, abbiamo molto più veduto adoprar pugnali e veleni che lance e spade, e vi prego di crederlo; un gendarme francese (e fece un viso grosso) si vergognerebbe d’aver per ragazzi di stalla uomini che non valessero meglio di questi poltroni d’Italiani: giudicate se si può immaginare di paragonarli con noi.
— Sentite, cavaliere, ed aprite bene gli orecchi — rispose Íñigo che non potè più reggere alla passione di sentir costui dir tanta villania de’ suoi amici, e non gli parve vero di sfogarsi contra chi gli avea storpiato il suo cavallo — se qualcuno de’ nostri Italiani fosse qui, e Fieramosca il primo, e voi foste libero, come siete prigione di Diego Garcia, potreste imparare, prima d’andar a letto, che un uomo d’arme francese può aver a fare a due mani per difender la sua pelle contra un Italiano; ma poichè voi siete prigione, e qui non sono che Spagnuoli, io, che sono amico di Fieramosca e degl’Italiani, dico in loro nome, che voi e chiunque dirà aver essi timore coll’armi in mano di chicchessia, ed esser, come dite, poltroni e traditori, mente per la gola, e son pronti a starne al paragone con tutto il mondo, a piedi, a cavallo, con tutte l’arme, o colla sola spada; dove, e quando, e sempre che vi piacerà.
La Motta ed i compagni, i quali al cominciar di quelle parole s’erano rivolti con atto superbo verso chi le diceva, mutandosi gradatamente in volto, fra l’adirato e l’attonito, ne stavano attendendo la fine. Come accade in una brigata, allorchè in mezzo allo schiamazzo e alle risa, si sente sorger una voce e dir parole di ferro e di sangue, che ognuno tace e si volge sospeso a chiarire il fatto, cessato il bisbiglio, ogni Spagnuolo stette ad orecchie tese, aspettando che cosa potesse nascere da questa prima rottura.
— Siamo prigioni, — rispose La Motta con orgogliosa modestia — e non potremmo accettare disfide; però, coll’approvazione degli uomini d’arme che hanno avute le nostre spade, e che, ben inteso, avranno da noi un giusto riscatto, a nome mio, de’ miei compagni e di tutta la gente d’arme francese, rispondo e ripeto quello che ho già detto una volta, e che dirò sempre, gl’Italiani valer solo ad ordir tradimenti e non alla guerra, ed esser la più trista gente d’arme che abbia mai tenuto piede in istaffa e vestita corazza. E chi dice che io abbia mentito, mente, e glielo manterrò coll’armi in mano. — Poi cercatosi in petto ne trasse una croce d’oro, e dopo averla baciata la depose sulla tavola. — E possa io non avere speranza in questo segno della nostra salute quando sarà la mia ultim’ora, esser tenuto cavalier disleale, ed indegno di calzar speroni d’oro, se non rispondo io ed i miei compagni alla disfida che gl’Italiani mi mandano per bocca vostra, e colla grazia di Dio, di Nostra Signora e di s. Dionigi, che ajuteranno la nostra ragione, mostreremo a tutto il mondo qual differenza vi sia fra la gente d’arme francese e questa canaglia italiana che voi proteggete.— E sia col nome di Dio, — rispose Íñigo: quindi esso pure apertosi davanti il giubbone si trasse dal collo una immagine della Madonna di Monserrato, colla quale si fece il segno di croce e la depose vicino alla croce d’oro di La Motta: e quantunque provasse un leggier senso di umiliazione di non potere per la sua povertà offrire un pegno di battaglia di valore eguale a quello di La Motta, pure scossa quella vergogna, disse francamente: — Ecco il mio pegno. Diego Garcia li prenda ambedue in nome di Consalvo, che non ricuserà campo franco ai nostri nobili amici, nè ai cavalieri francesi che verranno a combatterli.
— Non per certo, — rispose Garcia, prendendo i pegni della sfida: Consalvo non impedirà mai questa brava gente di misurarsi le spade e fare il dovere di buoni cavalieri. Ma voi, messer barone (parlando a La Motta) avrete sotto i denti un osso da rodere più duro che non pensate.
— C’est notre affaire , — rispose il Francese scuotendo il capo e sorridendo. — Nè io nè i miei compagni terremo per il più pericoloso e per il più splendido fatto della nostra vita, quello nel quale potremo mostrare a questo bravo Spagnuolo il suo errore, facendo votar la sella a quattro Italiani.»."

Ora, faccio qualche mia considerazione.
La storia è spesso usata come veicolo di propaganda politica. Questo è uno dei casi.
Qui, infatti, Massimo Taparelli d'Azeglio usò la "Disfida di Barletta", il noto duello tra tredici cavalieri italiani e tredici francesi che si tenne nella piana tra Corato ed Andria il 13 febbraio 1503 e che finì con la vittoria degli italiani, per fare la sua propaganda politica del Risorgimento.
Ora, guardandolo bene, l'episodio citato, c'entra come il cavolo a merenda con il Risorgimento.
La "Disfida di Barletta" fu un episodio tra cavalieri, tra persone di un mondo che ebbe a che fare con Dio e che fu ben lontano dal Risorgimento ed anche dalla cultura di D'Azeglio, che fu una cultura anticlericale. D'Azeglio, infatti, fu massone e favorì l'approvazione delle "Leggi Siccardi", le leggi contro la Chiesa nel Regno di Sardegna.
E' chiaro che la storia possa diventare un mezzo di propaganda politica.
Prendiamo, ad esempio, la storia della mafia.
Secondo alcuni, il termine "mafia" è l'acronimo e dell'espressione "Morte ai Francesi Italia Auspica".
Questa espressione fa riferimento alla vicenda dei "Vespri siciliani", evento storico che avvenne in Sicilia tra il 1282 ed al 1302 in cui i Siciliani si ribellarono ai Francesi che li dominavano.
Questo fatto storico, ad esempio, venne usato dalla mafia, che nel XIX secolo si definì quasi come un'"associazione patriottica siciliana" contro i Borboni ed il governo napoletano nel Regno delle Due Sicilie e che, proprio per questo, appoggiò Giuseppe Garibaldi, consegnando l'isola al regno sabaudo che ne distrusse ogni possibilità di sviluppo.
Un altro esempio è la vicenda di re Carlo I Stuart (Dunfermline 19 novembre 1600-Londra 30 gennaio 1649). La storiografia ufficiale dipinge Oliver Cromwell (Huntington 25 aprile 1599- Londra 03 settembre 1658) come un eroe e re Carlo I come un tiranno. Il discorso analogo vale per la Rivoluzione francese del 1789, che viene dipinta (sempre dalla storiografia ufficiale) come un fatto positivo mentre all'Ancien Régime viene data una connotazione negativa.
E' chiaro che la storiografia ufficiale non abbia un ruolo di terzietà rispetto alla lotta politica.
Qui in Italia, in particolare ha un certo orientamento politico.
Però, se noi guardiamo tra le pieghe della storia, notiamo che vi è una discrasia tra quest'ultima e la storiografia ufficiale.
Quest'ultima, ad esempio, non dice che re Carlo I protesse i cattolici o che la Rivoluzione francese del 1789 seminò morte e distruzione di tanti innocenti.
E' chiaro che certe tesi sono scomode a certi ceti politici e culturali che sono tra loro saldati.
Lo stesso discorso vale per Giuseppe Garibaldi. La storiografia ufficiale lo dipinge come un eroe.
Ora, io pongo queste domande.
Tutti i milanesi, i mantovani, i trentini, i veneti ed i triestini stavano male nell'Impero Austro-Ungarico?
Tutti i romagnoli, i marchigiani, gli umbri ed i laziali stavano male nello Stato Pontificio?
Tutti gli abruzzesi, i campani, i lucani, i pugliesi, i calabresi ed i siciliani stavano male nel Regno delle Due Sicilie?
Io penso che la realtà sia ben diversa da quella descritta dalla storiografia ufficiale.
Io penso che non tutti i mantovani fossero stati male nell'Impero Austro-Ungarico, non tutti i marchigiani fossero stati male nello Stato Pontificio e non tutti i siciliani fossero nel Regno delle Due Sicilie.
E' evidente che la storiografia ufficiale dovette servire a legittimare agli occhi dei cittadini un evento controverso, quale fu il processo di unificazione del nostro Paese.
Ora, la stessa cosa vale per la storia attuale, che viene vista con "l'occhio della politica" .
Prendiamo, ad esempio, la II Guerra Mondiale.
Tutti dipingono il nazismo come negativo e causa di morte.
Fino a qui è tutto perfetto.
Il nazismo fu negativo, per non dire satanico. Un regime che uccise più 6.000.000 di persone non può essere definito in altro modo.
Del nazismo si sa tutto ed anche ciò è giusto.
Purtroppo, non si può dire lo stesso del comunismo.
Anche questa ideologia uccise e torturò tanti innocenti ma la storiografia ufficiale ne parla poco.
Qualcuno, con poco sale in zucca, dirà che il nazismo uccise gli ebrei.
Evidentemente, questo qualcuno dovrebbe studiare la storia.
Infatti, le vittime del nazismo non furono tutti ebrei ma anche oppositori politici, preti ed altre persone che di ebraico non ebbero nulla.
Il comunismo, invece, uccise anche molti ebrei, oltre agli oppositori politici, ai preti e ad altri.
Purtroppo, la storiografia ufficiale parla poco dei crimini perpetrati dai comunisti. Evidentemente, a qualcuno questa cosa è scomoda.
E' evidente che vale il detto che recita: "La storia è l'ancella della politica".
Oggi, va detto che noi di destra abbiamo assunto una visione critica della storia, anche contro la storiografia ufficiale. Non voglio fare pubblicità alla mia parte politica ma voglio fare capire alcune cose.
Noi, ad esempio, sollevammo la questione degli italiani che vennero uccisi nelle foibe, ad opera dei partigiani jugoslavi di Tito e di quelli comunisti italiani, cosa che per la storiografia ufficiale fu un tabù.
La sinistra, invece, resta fedele alla storiografia ufficiale, ergendo, ad esempio, Garibaldi come suo simbolo (anche tenendo conto del fatto che questi si fosse interessato di socialismo) ed esalta la Rivoluzione francese ed altri eventi che dovrebbero essere rivisti.
Questo dice molte cose e...chi è in grado di comprendere...comprenda.
Forse, se noi guardassimo la storia per quello che è...ci accorgeremmo che d'Azeglio non raccontò la vicenda della "Disfida di Barletta" secondo il vero "canone" della storia ma secondo la sua visione e per propaganda. I cavalieri non ebbero nulla a che fare con i garibaldini. La verità sta nel mezzo.
Chi è capace di intendere...intenda!
Cordiali saluti.


















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Ringrazio l'amico Morris Sonnino di questa foto presa dalla pagina Facebook di Christian Ricchiuti, esponente di Fratelli d'Italia.