Sul sito dell'Osservatorio Balcani e Caucaso, ho trovato questo articolo intitolato "Erdoğan, attento alle percezioni":
"La Turchia non è l'Egitto, piazza Taksim non è piazza Tahrir. Questo tipo di parallelismo è una falsa percezione. Tuttavia le percezioni sono importanti, Erdoğan inizia ad essere visto come un sultano dei tempi moderni e farebbe meglio ad affrettarsi a cambiarle piuttosto che ignorarle. Un commento sull'attuale crisi turca
(Articolo pubblicato originariamente sul quotidiano Today's Zaman il 4 giugno 2013)
E' stata la prima domanda che mi hanno fatto i giornalisti di una radio olandese sabato mattina, dopo il primo giorno di schermaglie in Piazza Taksim: “Queste proteste sono da interpretare come l'inizio di una primavera turca, come quelle già viste nel mondo arabo in passato?”. La domanda chiaramente rifletteva le caratteristiche della lente con cui il giornalista guardava alla Turchia, e non era l'unico a guardarla in quel modo.
Su tutti i media internazionali si poteva individuare quest'inclinazione, questa prima reazione istintiva: comparare la Turchia del 2013 all'Egitto del 2011 e Taksim con Tahrir. I principali elementi su cui si basa quest'approccio sono le similitudini – a parte quelle ovvie come i manifestanti che si ritrovano in una piazza centrale e la brutalità della polizia nell'affrontarli – e vi è la percezione che:
1. La legittimità dell'attuale governo si è, agli occhi di una larga parte della popolazione, significativamente erosa;
2. La leadership politica si è trasformata in una sorta di dittatura scollegata dalle preoccupazioni della maggior parte dei cittadini.
Ciò che a me interessa non è però se queste affermazioni hanno senso o meno. A mio avviso, non lo hanno. La Turchia non deve essere comparata all'Egitto. Diversamente dal presidente egiziano Hosni Mubarak, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan è stato eletto, ben tre volte, in elezioni aperte e libere ed è ancora il politico più popolare nel paese. Il sostegno a suo favore è legato ad un economia in pieno boom e dalla sensazione che la Turchia è attualmente molto più in forma, in tutti i campi, che dieci anni fa. Quindi dimenticatevi questi pigri parallelismi, cosa tra l'altro che hanno fatto anche tutti i media fuori dalla Turchia una volta che si sono resi conto che le cose erano più complicate di quanto apparissero originariamente.Il dossier
Approfondimenti, commenti e multimedia nel dossier curato da OBC su quanto sta accadendo in Turchia
Quello che è a mio avviso importante è però che, in un primo momento, questi parallelismi siano stati tracciati.
Sembrerebbe infatti che molti analisti internazionali abbiano iniziato a guardare ad Erdoğan come un sultano dei tempi moderni, che non accetta alcuna critica, che ha perso sostegno nella società e che, come Mubarak, è quindi divenuto vulnerabile alle proteste di massa per strada.
Ancora una volta ciò che è interessante qui è la percezione, non la realtà. Rispetto a due anni fa vi è un chiaro cambiamento in come Erdoğan viene visto al di fuori della Turchia: è passato dall'essere un leader forte e di successo, che ha portato alla Turchia più prosperità e più democrazia all'essere un politico autoritario che tenta di imporre i suoi valori e stile di vita conservatori al resto della società turca.
Si potrebbe argomentare che questa percezione è solo parzialmente vera, o che è un'esagerazione e una distorsione che si basa su osservazioni selettive nelle quali il punto di vista degli oppositori del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP) vengono sovrastimate e quelle della “maggioranza conservatrice silente” non sufficientemente prese in considerazione. Queste obiezioni possono essere vere ma, in fin dei conti, le percezioni son importanti tanto quanto i fatti per chi è all'estero o per quel 50% dei turchi che non voterà mai per il partito al governo.
Il principale errore fatto da Erdoğan sino dalla sua ri-elezione nel 2011 prescinde da singole misure adottate o specifici abbagli: non si è preoccupato dell'effetto crescente della sua tendenza a predicare e promuovere le sue opinioni personali presso quel 50% di non-elettori dell'AKP e all'estero. Siamo testimoni dei risultati di quell'attitudine ormai da più di una settimana: incomprensione all'estero e, più rilevante ancora, l'alienazione di quasi metà della popolazione in patria.
Certo non aiuta affermare che la gente è stata male informata della attuali politiche in atto a causa di Twitter, o sottolineare che ci sia ancora grande sostegno da parte dell'altra metà della popolazione. Questo dimostra solo che Erdoğan non ha capito il messaggio. Continua a ritenere di poter farsi strada a spallate nelle situazioni che non gli piacciono o che può semplicemente rimuovere i punti di vista che non apprezza.
Per fortuna il presidente Abdullah Gül ha compreso meglio la situazione. Nonostante probabilmente non condivida tutte le accuse che stanno volando in giro, ha richiamato alla moderazione e ad un approccio consultivo. Ci si può solo augurare che nei prossimi giorni anche altri leader dell'AKP riescano a convincere Erdoğan che un eventuale altro round di dure accuse e brutalità della polizia, a Taksim o da qualsiasi altra parte, peggiorerebbero solo i sentimenti già negativi in casa e all'estero. Nuovi scontri violenti potrebbero anche distruggere rapidamente la stabilità guadagnata a fatica negli ultimi tempi e che molti turchi apprezzano. Questo avrebbe conseguenze nefaste per l'economia turca e per lo status che la Turchia ha nel mondo. Soprattutto, cementerebbe la divisione che esiste nella società turca e che è alla radice degli attuali avvenimenti.
Le percezioni sono importanti. Erdoğan è meglio s'affretti ad iniziare a cambiarle piuttosto che ignorarle.
*Joost Lagendijk è editorialista per i quotidiani turchi Zaman e Today's Zaman".
Ringrazio l'amico Angelo Fazio, che mi ha segnalato l'articolo.
Effettivamente, la Turchia non è l'Egitto.
Prima di tutto, i Turchi non sono Arabi (a differenza degli Egiziani o dei Libici) ma sono una popolazione originaria dell'Asia centrale e di stirpe uralo-altaica.
Certamente, la Turchia ebbe un processo di occidentalizzazione, un'occidentalizzazione che però fu spesso imposta.
Ora, si stanno vedendo tutte le contraddizioni.
Per sua natura, l'Islam non ammette una sfera secolare, come l'ammettono l'Ebraismo o il Cristianesimo.
Il sistema all'occidentale che vige in Turchia cozza con vari precetti dell'Islam, come la Sunna o la Sharia.
Ora, questa situazione si sta manifestando.
Secondo la ricerca di Maria Giovanna Stasolla, una ricercatrice dell'Università di Bologna, "per “stato islamico” si intende uno stato, anzi più esattamente, considerata la vocazione universalistica dell’islam, “lo stato” in cui vige la legge islamica; e la legge islamica (la sharica) è, come la jurisprudentia dei Romani, “rerum divinarum atque humanarum notitia”, voluta da Dio per gli uomini e trasmessa in modo diretto nel Corano e in modo indiretto nella Sunna (Tradizione) del Profeta Muhammad. La sharica regola tutti gli aspetti, pubblici e privati, della vita religiosa, sociale, politica ed economica del musulmano e, salvaguardando con perfezione inimitabile quelli che sono definiti i “diritti di Dio” e i “diritti degli uomini”, consente all’umanità di seguire la “retta via” nella vita terrena e di poter sperare nel premio eterno.
Considerando i principi profondi che lo costituiscono, lo stato islamico è definibile come una teocrazia laica (perché nell’islam non vi è sacerdozio) ed ugualitaria in cui “il magistero legislativo” (amr) appartiene unicamente al Corano; il magistero giudiziario (fiqh) appartiene ad ogni credente che, attraverso la lettura assidua e fervente del Corano, acquisisce, con la memoria delle definizioni e l’intelligenza delle sanzioni che esso emana, il diritto di applicarle. Resta il potere esecutivo (hukm) insieme civile e canonico, esso non appartiene che a Dio solo... ed esso non può essere esercitato se non attraverso un intermediario, un capo unico. La comunità dei credenti (la ummah) presta giuramento (bayca) di obbedire a Dio nelle mani di questo delegato (tutore della volontà di Dio), sprovvisto di iniziativa legislativa e di “autorità giudiziaria”, il Califfo, cioè il Khalifa rasul-i’llahi “vicario dell’inviato di Dio”, detto anche imam “guida”".
E' chiaro che, come organizzazione statuale, la Turchia non rappresenti l'ideale islamico.Considerando i principi profondi che lo costituiscono, lo stato islamico è definibile come una teocrazia laica (perché nell’islam non vi è sacerdozio) ed ugualitaria in cui “il magistero legislativo” (amr) appartiene unicamente al Corano; il magistero giudiziario (fiqh) appartiene ad ogni credente che, attraverso la lettura assidua e fervente del Corano, acquisisce, con la memoria delle definizioni e l’intelligenza delle sanzioni che esso emana, il diritto di applicarle. Resta il potere esecutivo (hukm) insieme civile e canonico, esso non appartiene che a Dio solo... ed esso non può essere esercitato se non attraverso un intermediario, un capo unico. La comunità dei credenti (la ummah) presta giuramento (bayca) di obbedire a Dio nelle mani di questo delegato (tutore della volontà di Dio), sprovvisto di iniziativa legislativa e di “autorità giudiziaria”, il Califfo, cioè il Khalifa rasul-i’llahi “vicario dell’inviato di Dio”, detto anche imam “guida”".
La Turchia è oggi in bilico tra una laicità di tipo occidentale ed uno Stato islamico, proprio perché il "magistero legislativo" appartiene al Corano e cozza non poco con il principio di uno Stato laico e che vive in rapporto pur armonioso ma di autonomia rispetto all'istituzione religiosa.
Queste contraddizioni, oggi, stanno venendo fuori.
A rischiare in questa situazione i cristiani e gli ebrei, che sono minoranza ma che gli islamisti più esagitati vedono come i corruttori della loro gente.
Tra l'altro, che la Turchia sia in bilico tra l'essere uno Stato laico ed uno Stato islamico sta proprio nel modo in cui sono trattate le minoranze, come ebrei e cristiani.
Per esempio, gli ebrei e ed i cristiani possono celebrare le loro funzioni in Turchia ma, per esempio, non possono costruire le sinagoghe e le chiese affacciate sulle pubbliche vie.
Questa è una grossa contraddizione.
Un'altra contraddizione riguarda il Patriarca di Costantinopoli.
Com'è noto, Costantinopoli è la sede di un importante Patriarcato ortodosso.
Ora, il Patriarca deve essere per forza un cittadino turco.
Questa è una limitazione, poiché i cristiani in Turchia sono pochi.
Anche la fatica a riconoscere il Genocidio degli Armeni dimostra questa situazione.
Anche la fatica a riconoscere il Genocidio degli Armeni dimostra questa situazione.
Queste contraddizioni stanno emergendo ora.
Speriamo che non degenerino.
Cordiali saluti.
Nessun commento:
Posta un commento