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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

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domenica 23 giugno 2013

Alcune domande sulle orme di... Ciccio

Cari amici ed amiche.

Attraverso Facebook, l'amico Filippo Giorgianni mi ha inoltrato questo testo intitolato "Alcune domande sulle orme di... Ciccio":


"Sapendo che molti hanno poco tempo, andrò al sodo, cari amici. Permettetemi dunque poche veloci domande sulla scorta della meditazione di alcuni passi di Papa Francesco (riportati in calce):



Domande:

Come leggerete (e mediterete), c’è un martirio, c’è una santificazione quotidiana. Ma noi siamo disposti a sacrificare i nostri interessi (attività che ci piacciono, svaghi, piacevolezze, etc.) per servire gli altri (gli altri concreti che vivono in povertà, la “carne di Cristo” di cui parla il Papa)? Siamo disposti ad amare la Chiesa con lo spirito di Paolo VI? Ma ce lo chiediamo ogni tanto: noi (io, tu!) cosa facciamo per la Chiesa di Cristo CONCRETAMENTE a parte usufruire dei suoi servizi sacramentali? Ho scritto concretamente. Non parlo delle mere parole via Facebook di tanto in tanto. Parlo dell’attività parrocchiale, associativa, caritativa, etc. Parlo di CONCRETA misericordia spirituale E ANCHE corporale! Noi che cosa facciamo? E soprattutto lo zelo per salvare (non per persuadere, non per battagliare sulle idee! Per SALVARE, per ENTUSIASMARE e coinvolgere!) l’anima di QUELLA persona che abbiamo di fronte in QUEL singolo momento, lo abbiamo? O siamo piuttosto scostanti, un po’ pigri, per la serie “va beh che ci fa?”, o per la serie “è inutile!” o “oggi mi riposo”? Insomma, noi lo vogliamo essere Santi? O vogliamo essere dei semicristiani? Oggi il Papa ha detto ai giovani di andare controcorrente, ma avete notato QUALI ESEMPI ha portato ai giovani? Dedicarsi ai bambini, ai disabili, agli anziani…! Cosa ha detto loro? SACRIFICARE I PROPRI INTERESSI QUOTIDIANI PER QUESTO! E noi? Siamo realmente controcorrente? O è, più che altro, un vezzo, un eroismo velleitario quello nostro? Un crociatismo delle parole? Senza cuore e senza mani nel fango? Senza andare incontro alla carne di Cristo…? E… quando ci chiediamo tutto questo, la nostra mente quante giustificazioni trova per salvare capre e cavoli?



Testi:

Ma che cosa significa “perdere la vita per causa di Gesù”? (…) I martiri sono l’esempio massimo del perdere la vita per Cristo. (…) Questa è la nostra Chiesa. Oggi abbiamo più martiri che nei primi secoli! Ma c’è anche il martirio quotidiano, che non comporta la morte ma anch’esso è un “perdere la vita” per Cristo, compiendo il proprio dovere con amore, secondo la logica di Gesù, la logica del dono, del sacrificio. Pensiamo: quanti papà e mamme ogni giorno mettono in pratica la loro fede offrendo concretamente la propria vita per il bene della famiglia! Pensiamo a questi! Quanti sacerdoti, frati, suore svolgono con generosità il loro servizio per il regno di Dio! Quanti giovani rinunciano ai propri interessi per dedicarsi ai bambini, ai disabili, agli anziani… Anche questi sono martiri! Martiri quotidiani, martiri della quotidianità! (23 giugno 2013)



Noi, che abbiamo la gioia di accorgerci che non siamo orfani, che abbiamo un Padre, possiamo essere indifferenti verso questa città che ci chiede, forse anche inconsapevolmente, senza saperlo, una speranza che l’aiuti a guardare il futuro con maggiore fiducia e serenità? Noi non possiamo essere indifferenti. Ma come possiamo fare questo? Come possiamo andare avanti e offrire la speranza? Andare per la strada dicendo: “Io ho la speranza”? No! Con la vostra testimonianza, con il vostro sorriso, dire: “Io credo che ho un Padre”. L’annunzio del Vangelo è questo: con la mia parola, con la mia testimonianza dire: “Io ho un Padre. Non siamo orfani. Abbiamo un Padre”, e condividere questa filiazione con il Padre e con tutti gli altri… “Padre, adesso capisco: si tratta di convincere gli altri, di fare proseliti!”. NO: niente di questo.Il Vangelo è come il seme: tu lo semini, lo semini con la tua parola e con la tua testimonianza. E poi, non fai la statistica di come è andato questo: la fa Dio. Lui fa crescere questo seme; ma dobbiamo seminare con quella certezza che l’acqua la dà Lui, la crescita la dà Lui. E noi non facciamo la raccolta: la farà un altro prete, un altro laico, un’altra laica, un altro la farà. Ma la gioia di seminare con la testimonianza, perché con la parola solo non basta, non basta. La parola senza la testimonianza è aria. Le parole non bastano. La vera testimonianza che dice Paolo. (…) Ma, cosa dobbiamo fare con il coraggio e con la pazienza? Uscire da noi stessi: uscire da noi stessi. Uscire dalle nostre comunità, per andare lì dove gli uomini e le donne vivono, lavorano e soffrono e annunciare loro la misericordia del Padre che si è fatta conoscere agli uomini in Gesù Cristo di Nazareth. Annunciare questa grazia che ci è stata regalata da Gesù. Se ai sacerdoti, Giovedì Santo, ho chiesto di essere pastori con l’odore delle pecore, a voi, cari fratelli e sorelle, dico: siate ovunque portatori della Parola di vita nei nostri quartieri, nei luoghi di lavoro e dovunque le persone si ritrovino e sviluppino relazioni. Voi dovete andare fuori. (…) Nel Vangelo è bello quel brano che ci parla del pastore che, quando torna all’ovile, si accorge che manca una pecora, lascia le 99 e va a cercarla, a cercarne una. Ma, fratelli e sorelle, noi ne abbiamo una; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro! In questa cultura - diciamoci la verità - ne abbiamo soltanto una, siamo minoranza! E noi sentiamo il fervore, lo zelo apostolico di andare e uscire e trovare le altre 99? Questa è una responsabilità grande, e dobbiamo chiedere al Signore la grazia della generosità e il coraggio e la pazienza per uscire, per uscire ad annunziare il Vangelo. Ah, questo è difficile.E’ più facile restare a CASA, con quell’unica pecorella! E’ più facile con quella pecorella, pettinarla, accarezzarla… ma noi preti, anche voi cristiani, tutti: il Signore ci vuole pastori, non pettinatori di pecorelle; pastori! (…) Viene un po’ lunga la cosa, vero? Ma non è facile! Dobbiamo dirci la verità: il lavoro di evangelizzare, di portare avanti la grazia gratuitamente non è facile, perché non siamo noi soli con Gesù Cristo; c’è anche un avversario, un nemico che vuole tenere gli uomini separati da Dio. E per questo instilla nei cuori la delusione, quando noi non vediamo ricompensato subito il nostro impegno apostolico. Il diavolo ogni giorno getta nei nostri cuori semi di pessimismo e di amarezza, e uno si scoraggia, noi ci scoraggiamo. “Non va! Abbiamo fatto questo, non va; abbiamo fatto quell’altro e non va! E guarda quella religione come attira tanta gente e noi no!”. E’ il diavolo che mette questo. Dobbiamo prepararci alla lotta spirituale. Questo è importante. Non si può predicare il Vangelo senza questa lotta spirituale: una lotta di tutti i giorni contro la tristezza, contro l’amarezza, contro il pessimismo; una lotta di tutti i giorni! Seminare non è facile. E’ più bello raccogliere, ma seminare non è facile, e questa è la lotta di tutti i giorni dei cristiani. (…) Prepararci alla lotta spirituale: l’evangelizzazione chiede da noi un vero coraggio anche per questa lotta interiore, nel nostro cuore, per dire con la preghiera, con la MORTIFICAZIONE, con la voglia di seguire Gesù, con i Sacramenti che sono un incontro con Gesù, dire a Gesù: grazie, grazie per la tua grazia. Voglio portarla agli altri. Ma questo è lavoro: questo è lavoro. Questo si chiama – non vi spaventate – si chiama martirio. Il martirio è questo: fare la lotta, tutti i giorni, per testimoniare. Questo è martirio. E ad alcuni il Signore chiede il martirio della vita, ma c’è il martirio di tutti i giorni, di tutte le ore: la testimonianza contro lo spirito del male che non vuole che noi siamo evangelizzatori. (17 giugno 2013)



(…) l’amore a Cristo, l’amore alla Chiesa e l’amore all’uomo. Queste tre parole sono atteggiamenti fondamentali, ma anche appassionati di Paolo VI. (…) Un profondo amore a Cristo non per possederlo, ma per annunciarlo. Ricordiamo le sue appassionate parole a Manila: «Cristo! Sì, io sento la necessità di annunciarlo, non posso tacerlo! … Egli è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito di ogni creatura, è il fondamento di ogni cosa; Egli è il Maestro dell’umanità, è il Redentore; … Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita; Egli è l’uomo del dolore e della speranza; è Colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità». (…) io torno a questo discorso, torno e ritorno, perché mi fa bene sentire questa parola di Paolo VI oggi. E noi: abbiamo lo stesso amore a Cristo? E’ il centro della nostra vita? Lo testimoniamo nelle azioni di ogni giorno? Il secondo punto: l’amore alla Chiesa, un amore appassionato, l’amore di tutta una vita, gioioso e sofferto, espresso fin dalla sua prima Enciclica, Ecclesiam suam. (…). (Paolo VI) Ha amato la Chiesa e si è speso per lei senza riserve. Nel Pensiero alla morte scriveva: «Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e Sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra». E nel Testamento si rivolgeva a lei con queste parole: «Ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto di amore!». Questo è il cuore di un vero Pastore, di un AUTENTICO cristiano, di un uomo capace di amare! (…) la Chiesa «è veramente radicata nel cuore del mondo, e tuttavia abbastanza libera e indipendente per interpellare il mondo? Rende testimonianza della propria solidarietà verso gli uomini, e nello stesso tempo verso l’Assoluto di Dio? È più ardente nella contemplazione e nell’adorazione, e in pari tempo più zelante nell’azione missionaria, caritativa, di liberazione? È sempre più impegnata nello sforzo di ricercare il ristabilimento della piena unità dei cristiani, che rende più efficace la testimonianza comune “affinché il mondo creda”?» (Evangelii nuntiandi). Sono interrogativi rivolti anche alla nostra Chiesa d’oggi, a tutti noi, siamo tutti responsabili delle risposte e dovremmo chiederci: siamo veramente Chiesa unita a Cristo, per uscire e annunciarlo a tutti, anche e soprattutto a quelle che io chiamo le “periferie esistenziali”, o siamo chiusi in noi stessi, nei nostri gruppi, nelle nostre piccole chiesuole? O amiamo la Chiesa grande, la Chiesa madre, la Chiesa che ci invia in missione e ci fa uscire da noi stessi? (22 giugno 2013)
".


Ringrazio Filippo dello spunto.
Voglio commentare il testo, facendo riferimento anche a quanto accaduto in Uruguay.
Purtroppo, la legge che legalizza l'aborto non sarà abrogata.
Questo è un vero e proprio schifo perché si stanno tutelando delle lobbies abortiste, a scapito della società.
Le persone che, come la mia amica Stephanie Caracciolo Arriera Tamagno, combattono per la difesa della vita devono sapere che io sono a loro fianco.
Leggete l'articolo del sito uruguaiano "El Observator" che è intitolato "Impulsores del referéndum admitieron derrota".
Oggi, purtroppo, essere cristiani significa essere contro certe "mode", come l'aborto, piuttosto che l'eutanasia o il matrimonio gay.
Bisogna andare controcorrente.
L'idea di massa dice di essere pro-aborto?
Noi (cristiani) dobbiamo essere contro!
L'idea di massa dice di essere pro-matrimonio gay?
Noi dobbiamo essere contro!
L'idea di massa dice di essere pro-eutanasia?
Noi dobbiamo essere contro!
E' inutile girarci intorno.
Non ci si può dire cristiani, andando in chiesa e prendendo i sacramenti, per poi comportarsi in ben altro modo  nella vita.
Sarebbe una presa in giro nei confronti di Cristo.
Il cristiano deve sempre fare qualcosa, attraverso il suo onesto lavoro, l'impegno nel volontariato, nel sacerdozio o nella politica.
Egli deve fare della sua vita una testimonianza vera!
Il cristiano non deve essere nemmeno ipocrita.
Giusto l'altro ieri, avevo avuto una discussione con mio cugino.
Lui aveva affermato che il cristiano doveva essere povero e che la ricchezza non è confacente con il Cristianesimo!
Io gli avevo risposto dicendo che ciò non era vero.
La carità di una persona non si misura dal portafogli ma dal cuore.
Ergo, ci possono essere persone ricche e buone e pronte a dare ogni cosa a chi ha bisogno e persone povere e meno buone.
Quindi, il pauperismo (che è ben diverso dal sano principio di sobrietà) è solo ipocrisia.
Allora, riflettiamo si ciò.
Cordiali saluti. 




    

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Ringrazio un caro amico di questa foto.