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giovedì 4 ottobre 2012

Pier Paolo Ottonello, "Aristocrazia e democrazia", in Idem, "La barbarie civilizzata"

Cari amici ed amiche.

L'amico Filippo Giorgianni mi ha inoltrato questo testo di Pier Paolo Ottonello che è intitolato "Aristocrazia e democrazia":


«Ora, io chiamo aristocrazia non una classe né un gruppo che comunque si ponga in funzione di qualsiasi forma del potere parziale: intendo per aristocrazia esclusivamente l’unità essenziale delle persone che attuano il potere spirituale come combattimento spirituale volto alla propria pienezza e perfezione. E affermo che la storia è possibilità di progresso soltanto in quanto ogni forma di potere riconosca teoricamente e praticamente l’imprescindibilità e dunque la primazia dell’aristocrazia intesa in questo senso. Ogni limitazione o negazione di tale necessaria primazia corrisponde ad altrettante possibilità autodistruttive che sostanziano la storia, in quanto dinamica della libertà. A tale aristocrazia tutti non solo possiamo appartenere di diritto, ma abbiamo il dovere di voler appartenervi, in quanto esercizio perfetto della libertà. In questo senso l’aristocrazia, e solo essa, è il fondamento necessario di una perfetta democrazia. L’aristocrazia è dunque tale a prescindere dal numero delle persone che la costituiscono. Soltanto laddove il numero coincidesse con la totalità delle persone costituenti l’intero genere umano vivente, l’aristocrazia non avrebbe più motivo di fondare e informare di sé ogni potere parziale: lo stesso si dovrebbe dire, dunque, della perfetta “democrazia”. Finché una sola persona non si dispone come amante l’ottimo, ogni potere parziale o si fonda su questa aristocrazia, dunque ne riconosce la primazia necessaria, e insieme riconosce il proprio carattere limitato e strumentale; oppure la disconosce e, per ciò stesso, apre le ostilità e, osteggiandola, genera le infinite forme di guerra fino all’autodistruzione. All’aristocrazia, per sé, non è necessario nessun altro potere […]; invece a ogni potere è necessaria l’aristocrazia del potere spirituale, l’unico che gli conferisce ogni significato e fondamento e positività […]. A sua volta, all’aristocrazia è intrinsecamente necessaria la tensione all’ottimo, tensione con la quale si identifica; e dunque le è necessario l’annichilimento di tutto ciò che di volta in volta non armonizza con l’ottimo. È appunto combattimento continuo con le sue costitutive possibilità di scegliere l’altro dall’ottimo, senza le quali non sarebbe l’attuarsi della libertà come pienezza delle scelte nell’elezione. Ciascuna persona costituente la società nell’unità dell’elezione dell’ottimo non può mai essere aristocrazia una volta per sempre, ma è tale solo in quanto perseveri nell’amore assoluto dell’ottimo, pur con la precarietà della debolezza umana: nell’atto e nell’attimo stesso in cui da sé ne decada, si riduce di volta in volta a una o a più delle sue possibilità negative, identificandosi con questa o quella forma di potere. Le possibilità negative dell’aristocrazia si sintetizzano nella forma dell’oligarchia: questa infatti è costituita dalla sostituzione di un singolo atto di perfetta elezione con la pretesa di esaurire una volta per tutte, qui e ora e con scopi immediati, la pienezza dell’elezione. L’elezione costitutiva dell’aristocrazia evidentemente non può in nessun modo esserle esterna: èautoelezione. Allorché l’elezione costitutiva dell’aristocrazia venga sostituita da un’elezione esterna, come determinante l’aristocrazia stessa, l’aristocrazia è già scomparsa. […] la pienezza del parlare tra noi in quanto aristocratici è tale all’assoluta condizione di obbedire alla sua dinamica di coinvolgimento in sé dell’intero genere umano: la società aristocratica, che a qualsiasi potere parziale non può non apparire come “società chiusa”, è in realtà il massimo della società aperta, la sola forma di società potenzialmente e teleologicamente cosmopolitica, ossia universale o katholiké. Socrate costituisce l’archetipo precristiano dell’aristocrazia, in quanto si fa mediatore della verità, identificandosi con il discorso che cerca la verità, entro il quale egli e i suoi interlocutori costituiscono una società aristocratica che, come tale, liberamente si autoelegge. La società socratica non cerca conflitti con il potere pubblico – se mai ne subisce –; anzi, ben di più, si offre, costitutivamente, come suo modello e come suo fine: perciò non solo per ironia il Socrate condannato dal potere pubblico dichiara che questo gli è debitore del riconoscimento di essere l’ottimo ispiratore, come tale massimamente meritevole di un posto sommo nel suo Pritaneo. L’aristocrazia della società degli apostoli ne differisce radicalmente, in quanto è eletta da Cristo stesso, la Verità, che esige, da chiunque accetti l’elezione, di autoeleggersi ossia di volersi, assolutamente, come portatore della Verità-Cristo: portatore al quale l’amore unitivo della Verità conferisce la pienezza del potere spirituale. Ma, identicamente alla società socratica, l’aristocrazia assoluta, che la società con Cristo è, non cerca nessuna forma di conflitto con nessuna forma di potere pubblico, ma se mai ne subisce, specialmente in quanto se ne pone come modello e fine perfetti. Diversamente dalla società socratica, il “parlare fra noi” dell’agape apostolica è perfetto solo in quanto è potenzialità e volontà amorosa di identificare il proprio “piccolo gregge” con l’umanità intera, fino a costruire la società paradisiaca; la quale non è realizzabile anche in terra esclusivamente a causa della mancata scelta dell’ottimo, anche se fosse scelta mancata una sola volta da parte di una sola persona. Il fondamento dell’aristocrazia è dunque la stessa società teocratica nel suo significato essenziale di società del singolo con Dio. Nella società con Dio, il singolo si riconosce costituito nella dipendenza metafisica di creatura dal Creatore e si dispone ad ascendere alla pienezza del proprio essere creato, alla perfezione della riconoscenza. Il dialogo diuturno di Socrate col divino demone è la figura perfetta della costituzione teocratica della coscienza oggettiva; il logos incarnato dona la perfezione del discorso vivente a ciascun apostolo e alla società degli apostoli; a ciascun chiamato e alla società degli eletti. Il logos si incarna in ciascuno come principio dell’oggettività della coscienza, facendo di ciascuno “persona”


Filippo è sempre molto attento alle tematiche ed un suo pregio è la capacità di coniugare la filosofia con la vita pratica.
Il ragazzo va valorizzato.
Ora, mi viene voglia di citare la scuola politica anglosassone.
Al di là di un falso conservatorismo, un conservatorismo legato alla Riforma protestante, vanno dette alcune cose.
La politica inglese nacque attraverso un lungo processo incominciato a Runnymeae nel 1215,  con la redazione della Magna Charta Libertatum.
Ci furono anche episodi traumatici, come lo scisma anglicano (1534), la Riforma protestante (1549), la Guerra Civile (1642-1651), la decapitazione di re Carlo I Stuart (1649) e la "Gloriosa Rivoluzione (1688) che modificarono l'assetto istituzionale ma la scuola politica anglosassone che propose la politica come un'"aristocrazia democratica".
Accanto a quel conservatorismo falso di cui ho parlato prima, nella politica anglosassone c'è anche quello vero che ha come riferimento la High Church, la Chiesa anglicana alta, e quindi tutti quei valori come la difesa della sacralità della famiglia e della vita.
Al contrario, la scuola politica europea è figlia della Rivoluzione francese, un processo violento che (di fatto) ha spazzato via tutto quel conservatorismo autentico.
Così, tra la scuola politica anglosassone e quella europea c'è una differenza fondamentale.
Proprio perché il conservatorismo vero è forte, nella concezione della politica anglosassone c'è un'idea aristocratica e c'è anche il rifiuto di idee totalizzanti e totalitarie, come nazismo e comunismo.
Ne consegue anche un linguaggio più nobile e mai fondato sullo scontro personale.
Nella politica europea, invece, vi è una situazione diversa.
Qui, la vera ideologia conservatrice fu eradicata completamente o fu ridotta all'irrilevanza.
Prevalsero, da una parte, il falso conservatorismo (che puntava a conservare quanto fatto dai rivoluzionari) e, dall'altra, il progressismo, che puntava a radicalizzare la rivoluzione.
Tuttavia, ogni traccia del passato venne spazzata via.
Il linguaggio politico si imbarbarì, proprio perché la plebaglia salì al potere non con un'idea costruttiva ma per il semplice odio verso la politica precedente al 1789, un odio scaturito da un'idea distorta dell'eguaglianza, un'idea che puntava a distruggere ogni distinzione, andando contro l'assetto naturale di una società.
Mancando un conservatorismo vero, l'idea rivoluzionaria si radicalizzò.
Il socialismo scientifico, il comunismo ed il nazismo furono prodotti più abominevoli di questa radicalizzazione.
In fondo, anche certe attuali tendenze, come quella innescata da Beppe Grillo, sono il prodotto della rivoluzione.
Bisogna rivalutare anche l'idea di ciò che ci fu prima del 1789.
Cordiali saluti.






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Il peggio della politica continua ad essere presente

Ringrazio un caro amico di questa foto.