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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

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mercoledì 28 dicembre 2011

CAMMINO DI PERFEZIONE


Cari amici ed amiche.

L'amico Filippo Giorgianni mi ha fatto pervenire questa sua nota:

"L’obbedienza è la virtù che ti santifica; è cosa grande l’obbedienza. (San Pio da Pietrelcina)

San François di Sales, Filotea, parte III, cap. 11:

L’obbedienza

Soltanto la carità ci eleva alla perfezione; ma l’obbedienza, la povertà e la castità sono i tre grandi mezzi per acquistarla. L’obbedienza consacra il nostro cuore, la castità il nostro corpo, e la povertà i nostri beni all’amore e al servizio di Dio: sono i tre bracci della croce spirituale, che poggiano sul quarto che è l’umiltà. Non intendo parlare di queste virtù in quanto oggetto di voto pubblico; riguarda soltanto i religiosi; e nemmeno in quanto oggetto di voto privato, perché il voto aggiunge sempre grazie e meriti a tutte le virtù. Tuttavia per portarci a perfezione non è necessario che siano oggetto di voto; l’importante è che siano vissute. Quando sono legate al voto, soprattutto se pubblico, mettono l’uomo nello stato di perfezione; per metterlo invece semplicemente nella perfezione è sufficiente viverle. C’è molta differenza tra lo stato di perfezione e la perfezione: tutti i vescovi e i religiosi sono nello stato di perfezione, ma non per questo sono nella perfezione, il che si vede anche troppo! Sforziamoci, Filotea, di mettere bene in pratica queste tre virtù, ciascuno secondo la propria vocazione; è vero che non ci mettono nello stato di perfezione, ma ci daranno l’autentica perfezione; tutti siamo obbligati a praticare queste tre virtù, anche se non tutti allo stesso modo. Due sono i generi d’obbedienza: l’obbligatoria e la volontaria. In forza dell’obbligatoria devi obbedire umilmente ai tuoi superiori ecclesiastici, come il papa, il vescovo, il parroco e i loro rappresentanti; devi poi obbedire ai tuoi superiori civili, ossia il principe e i magistrati da lui preposti al governo del tuo paese; poi devi ubbidire anche ai tuoi superiori familiari, ossia tuo padre, tua madre, il padrone e la padrona. Questa obbedienza si chiama obbligatoria perché nessuno può dispensarsi dall’obbligo di ubbidire ai superiori sunnominati, perché è Dio che ha dato loro l’autorità di comandare e di governare, ognuno nei suoi limiti. Fa dunque quello che ti è comandato. È necessario. Ma per essere perfetto devi seguire i loro consigli e anche i loro desideri e le preferenze nella misura in cui te lo permettono la prudenza e la carità. Obbedisci quando ti ordinano una cosa gradevole, come mangiare, prendere un po’ di ricreazione; può anche sembrare che non ci sia grande virtù ad obbedire in queste cose. È certo che sarebbe un difetto grave disobbedire. Obbedisci alle cose indifferenti, quali indossare un abito anziché un altro, passare per una strada anziché per un’altra, cantare o tacere; sarà un’obbedienza molto preziosa. Obbedisci nelle cose difficili, aspre e dure; quella sarà un’obbedienza perfetta. Obbedisci poi con dolcezza, senza repliche; con prontezza, senza ritardi; con gioia, senza tristezza; soprattutto obbedisci con amore, per amore di colui che, per amor nostro, si è fatto obbediente fino alla morte in Croce, e che, come dice S. Bernardo, preferì rinunciare alla vita piuttosto che all’obbedienza. Per imparare ad obbedire con facilità ai tuoi superiori, accondiscendi senza difficoltà alla volontà dei tuoi pari, cedendo al loro parere in ciò che non ha nulla di male, lasciando da parte un comportamento litigioso ed aspro; adattati volentieri ai desideri dei tuoi inferiori nei limiti del ragionevole, senza prendere atteggiamenti intransigenti d’autorità, almeno finché si comportano bene. È falso credere che da religioso o da religiosa ci sarebbe più facile obbedire; sarebbe la stessa cosa. Se ora troviamo difficile ed arduo obbedire a coloro che Dio ci ha preposto, nulla cambierebbe mutando stato!

San Josemaria Escrivà de Balaguer, È Gesù che passa, n. 19:

Il Signore non ci nasconde che l’obbediente sottomissione alla volontà di Dio richiede spirito di rinuncia e di dedizione, perché l’amore non reclama diritti: vuole soltanto servire. E a Lui, che per primo ha percorso questo cammino, noi domandiamo: Gesù, come hai vissuto l’obbedienza? Usque ad mortem, mortem autem crucis, fino alla morte, e morte di croce. Bisogna uscire dal proprio guscio, complicarsi la vita, perderla per amore di Dio e delle anime. Ecco, tu volevi vivere, non volevi che ti accadesse alcunché: ma Dio ha voluto diversamente. Vi sono due volontà: ma la tua volontà si pieghi alla volontà di Dio, e non la volontà di Dio si torca alla tua. Ho visto con gioia molte anime mettere in gioco la propria vita — come hai fatto tu, Signore, usque ad mortem — per compiere tutto quello che la volontà di Dio chiedeva; hanno impegnato tutte le loro aspirazioni e il loro lavoro professionale al servizio della Chiesa, per il bene di tutti gli uomini. Dobbiamo imparare a obbedire, dobbiamo imparare a servire. Non c’è nobiltà più grande che decidere di darsi volontariamente in aiuto agli altri. Quando sentiamo che l’orgoglio ribolle dentro di noi, la superbia ci fa credere di essere dei superuomini, allora è il momento di dire di no, di dire che il nostro unico trionfo deve essere quello dell’umiltà. In tal modo ci identificheremo con Cristo crocifisso; e non nostro malgrado, insicuri e a malincuore, ma lietamente, perché la gioia nel momento dell’abnegazione è la dimostrazione più bella dell’amore.

Francesco Bersini, La sapienza del Vangelo, n. 36-38 e 82:

La virtù dell’obbedienza

Se vuoi far piacere a Dio sappi che lo farai maggiormente con l’obbedienza che col sacrificio (cfr. 1 Sam XV, 22). La penitenza immola il corpo ma l’obbedienza immola la volontà. Questo secondo olocausto è più gradito a Dio. Dopo aver rinunciato a tutti i beni che possiedi preparati a rinunciare completamente anche alla tua volontà. Liberati dal suo peso. Godrai tanta pace di spirito se non vorrai altro che quello che vuole l’obbedienza. Nell’obbedienza trovi l’annientamento dell’amor proprio e la libertà dei figli di Dio. Se praticherai in tutto l’obbedienza, anche nelle cose che ti paiono più assurde, vedrai col tempo come Dio si è servito degli uomini per attuare nella tua vita un disegno più grande delle tue stesse aspirazioni. Se praticherai in tutto l’obbedienza e andrai avanti con coscienza pura, il Signore non permetterà mai che tu esca dalla via diritta e che il demonio ti inganni e ti sia di danno. Tutte le azioni che si oppongono alle tue regole sono inciampo per lo spirito. Davanti al giudizio di Dio non dovrai rendere conto alcuno delle cose fatte per obbedienza cfr. (Eb XIII, 17). Obbedendo sei sicuro di fare la volontà di Dio. L’obbedienza è frutto della fede. Il lavoro che lasci per obbedienza lo può fare un altro, ma i meriti che guadagni, obbedendo, li puoi acquistare solo tu personalmente. Dalla castità, povertà e obbedienza provengono tutte le virtù come dal contrario provengono tutti i vizi. La persona consacrata a Dio tanto dimostra di apprezzare il suo stato quanto è obbediente. Non temere di perdere l’unione con Dio, praticando l’obbedienza. Il Signore ti può aiutare interiormente anche nelle azioni più umili. L’obbedienza è la via più rapida per arrivare al sommo della perfezione. Se sarai fondato nell’umiltà obbedirai con grande semplicità. Il superbo non è mai obbediente. Se vuoi obbedire con perfezione e di buona voglia, sottometti all’obbedienza il tuo giudizio senza voler indagare le ragioni del tuo obbedire. L’obbedienza non sia per te una costrizione o una sottomissione passiva, ma un atto di amore, una libera adesione al disegno di Dio che pone la tua vita al suo servizio. I venti e il mare obbediscono al loro Creatore (cfr. Mt VIII, 27; Mc I, 27) e tu, a cui egli ha dato il potere di conoscerlo e amarlo, non vorrai sottometterti alla sua volontà? Colui che fu obbediente fino alla morte (cfr. Fil II, 8), non vuole certamente che tu vada per strada diversa. Confonditi della tua disobbedienza, considerando l’obbedienza del Figlio di Dio. Tu che a volte disdegni di sottometterti all’obbedienza, considera come colui che ha creato il cielo e la terra si sottometta a due creature (cfr. Lc II, 51). Vai a Nazareth e impara a obbedire. Gesù nella sua morte fece il sacrificio più prezioso a Dio, quello dell’obbedienza (cfr. Eb X, 5-10; 1 Sam XV, 22). Nel sangue di Cristo crocifisso troverai l’ardore dell’obbedienza. Annega in questo sangue la tua volontà. L’obbedienza è un giogo; portalo assieme a Gesù. Ti sarà reso soave (cfr. Mt XI, 30). Bisogna che ci sia qualcosa di grande e di divino nella virtù dell’obbedienza, se Gesù l’ha tanto amata dalla nascita alla morte (cfr. Gv VIII, 29). Oh, possa tu trovare la tua gloria e la tua pace nel fare ciò che t’impone l’obbedienza!

L’obbedienza ai superiori

Accogli con fede le decisioni di coloro che ti governano. Dio dirige con sapienza anche l’insipienza degli uomini. Quanto più cercherai di non avere altra volontà che quella dei tuoi superiori, tanto più ti renderai padrone della tua per conformarla a quella di Dio. Lo spirito di fede ti dice che gli ordini dei superiori sono l’espressione della volontà di Dio, mentre delle tue rivelazioni non sei sicuro. Lasciati quindi guidare dalla volontà del tuo superiore, che non è sua, ma di Dio. Al di là dell’apparenza dell’uomo vedi Dio. L’obbedienza è l’Eucaristia della vita. Accontentando i tuoi superiori ti deve sembrare di accontentare lo stesso Dio. Ha molto valore ciò che fai per obbedire alla volontà dei superiori. Eseguisci con la stessa diligenza sia che l’ordine venga da Dio, sia che venga dall’uomo che sta in luogo di Dio. Dio non ti comanda direttamente ma per mezzo dei tuoi superiori perché vuole che tu agisca con fede. Guadagnerai di più obbedendo agli uomini per amore di Dio che non obbedendo a Dio medesimo. L’obbedienza consacra il cuore all’amore e al servizio di Dio. È più profittevole rinnegare la volontà, assoggettandola al superiore, che cercare consolazioni spirituali. Eseguisci con umiltà e fedeltà ciò che il superiore ti comanda. Vedi che la tua troppa sapienza non ti conduca all’insipienza. Sii saggio, ma con sobrietà. La tua obbedienza sarà perfetta se saprai obbedire nelle cose difficili, disgustose e ripugnanti. Dio a volte permette l’elezione di superiori imperfetti per perfezionare la virtù dell’obbedienza di coloro che ama. Quanto meno il superiore è dotato di qualità, tanto più meritevole sarà la tua obbedienza. Chi è innalzato al governo degli altri, dovrebbe dimostrare in se stesso in che modo gli altri si debbono comportare nella casa del signore. Se tuttavia avrai un superiore dall’agire reprensibile, accusa te stesso e non colui che ti governa, poiché sovente il cuore di chi governa si dispone secondo i meriti dei sudditi. Ti siano di ammonimento le parole della Sapienza increata: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere…» (Mt XXIII, 2-3). Obbedendo ai tuoi superiori non sbaglierai mai. Potranno sbagliare essi comandando, ma non tu obbedendo. Apprezzi molto gi ordini dei superiori conformi alle tue vedute, ma forse non altrettanto se sono difformi. Comportati in modo che non debbano essere i tuoi superiori a obbedire a te, ma tu a loro. Ricordati che ciò che viene comandato è la cosa più perfetta che tu possa fare. Hai naturale inclinazione a comandare e molta avversione nell’obbedire; eppure quanto ti torna più utile l’obbedire che il comandare! Reputa la volontà del superiore come fosse la tua. La tua obbedienza sarà veramente perfetta se per essa saprai sacrificare i più cari affetti del cuore e le convinzioni più salde del tuo spirito, per aderire unicamente alla santa e benedetta volontà di Dio. La vera obbedienza non guarda a chi si fa, ma per chi si fa.

La virtù della pazienza

Se vuoi diventare persona spirituale, una delle principali virtù che devi esercitare è la pazienza (cfr. 1 Tim VI, 11). La pazienza è dolce, la collera amara; la pazienza è forte, la collera debole; la pazienza seda l’ira, la collera eccita le passioni; la pazienza genera pace, la collera suscita guerra; la pazienza è sapiente, la collera oscura la lucidità della mente e l’acutezza del pensiero; la pazienza ti rende padrone di te stesso, la collera sconvolge le facoltà dell’anima. L’uomo iracondo fa nascere le risse; il paziente spegne quelle che sono nate (cfr. Prv XV, 18). Chi è paziente vale più del forte e chi domina se stesso vale più di un espugnatore di città (cfr. Prv XVI, 32). Chi è paziente è ponderato, agisce con rettitudine e sopporta il male senza lamentarsi. Nelle giornate nere della tua vita usa pazienza: darai un valore alle tue prove, un senso alle tue sofferenze; le sopporterai con frutto (cfr. Gv XV, 2) e le supererai con dolcezza. La pazienza addolcisce i dolori, l’impazienza li esaspera. La pazienza fa più leggero quello che non puoi rimediare. La sopportazione paziente delle prove può essere una grazia più grande della loro liberazione. Solo nella prova sperimenti il grado della tua umiltà e della tua pazienza. […] Il Signore tarda a esaudire le tue preghiere perché crescano i tuoi meriti. Il patire con pazienza è segno di predestinazione. La pazienza rende l’opera perfetta (cfr. Gc I, 4), perché non ci metti nulla del tuo ma accetti dalle mani di Dio la croce che egli ti manda. La pazienza fa i santi (cfr. Gc I, 4). In tempo di pace potrai manifestare tante virtù, ma non quella della pazienza. La pazienza è la più eroica delle virtù proprio perché non ha nessuna apparenza di eroico. Sarai martire nel tuo animo se sopporterai le ingiurie e amerai i tuoi nemici. Soffrirai nell’animo la passione senza subirla nel corpo. Rispondi con modestia, riflessione e benignità a chi ti provoca con domande arroganti. Con la pazienza conquisterai chi da un atteggiamento impulsivo sarebbe provocato al peggio. Non puoi mostrare il bene insegnando, se non sopporti pazientemente il male vivendo (cfr. Prv XIX, 11). Nella misura in cui sarai indulgente con te stesso sarai intransigente con gli altri. Se ti impazientirai per i difetti del tuo prossimo dimostrerai di essere imperfetto. È da stolto affannarsi per i fatti altrui e trascurare i propri. Rifletti quanto è grande il cuore di Dio nel tollerare i nostri peccati! Dio è tardo all’ira e pieno di amore, non ci tratta secondo le nostre colpe (cfr. Sal CIII, 8); usa pazienza verso di noi; volendo che nessuno perisca, ma che tutti giungano a pentimento (cfr. 2 Pt III, 9 e 15). Di fronte all’agire degli iniqui frena l’ardore e costringiti alla calma se non vuoi meritare il rimprovero rivolto da Gesù ai suoi discepoli (cfr. Lc IX, 55). La vera pazienza consiste nel tollerare serenamente i mali che ti fanno gli altri, senza mostrare verso di essi movimenti di sdegno. Considera la pazienza e il silenzio del Figlio di Dio nel sostenere umiliazioni e oltraggi nella sua passione. Come agnello condotto al macello non aprì la bocca (cfr. Is LIII, 7; Ger XI, 19). Gesù soffre con pazienza e tu forse ti ribelli alla croce. Lui innocente, per i peccati degli altri; tu peccatore, per i tuoi peccati. Egli, agnello senza macchia; tu, pecorella smarrita. Impara dall’umilissimo Gesù la mansuetudine e la pazienza nelle avversità. Finché non avrai nel tuo cuore i dolori, la povertà e i disprezzi di Gesù e non li soffrirai con pazienza amorosa, non credere di aver fatto molto progresso nella vita spirituale.

Ciascuno ha la propria croce da portare

Convinciti, mio caro, che se vuoi seguire Gesù non puoi vivere senza croce. Sopporterai con più calma ciò che hai preveduto. Non lamentarti della tua croce, né credere che quella degli altri sia più leggera della tua. Pensa invece quanto più pesanti siano le croci degli altri e troverai sollievo alle tue. Dio è padre sapiente, adatta ad ogni spalla la sua croce e ti affligge con misura. Non illuderti che questa vita debba trascorrere senza dolori. Nessun inferno è più concreto dei paradisi in terra che gli utopisti vorrebbero costruire. Ciascuno ha la sua croce da portare. Se non avrai grandi croci te ne creerai delle piccole; spesso, poi, la tua croce sarà fatta dal grigiore della vita quotidiana. Nella tua vita avrai delle giornate tristi. Accetta con pazienza la tua tristezza. Prendi la croce che Dio ti manda; assieme a essa ti darà anche la forza di portarla. Unisci le tue tribolazioni a quelle di Gesù; saranno utili per la tua salvezza e per quella degli altri. Vivi una volta sola; rendi preziosa la tua vita. Anche se col tuo desiderio sei pronto a soffrire per Gesù grandi prove, non rifuggire dal soffrire in pace le piccole. Ti inganni se per dimostrare a Gesù il tuo amore ti figuri di abbracciare grandi croce lontane, e intanto fuggi il peso delle piccole croci presenti; divenendo così valoroso nell’immaginazione e vile nell’esecuzione. Conforma anche nelle piccole croci il tuo volere a quello di Dio, e disporrai l’animo ad affrontare croci più grandi. Se persevererai per amore di Gesù nel sopportare le tue avversità, riporterai la stessa vittoria e conseguirai il premio promesso. Lo Spirito Santo non ti può assimilare a Gesù né condurti alla santità se non per la via della croce. La croce, portata con pazienza, è la chiave che ti servirà ad aprire la porta del cielo. Chiedi l’amore alla croce e troverai in essa la felicità. Se ne berrai tutta la feccia, troverai nascosta in fondo al calice una grande dolcezza. Non soffrire nella tristezza ma nella pace. Dimentica te stesso; scegli la croce come tua eredità; poni la tua gioia nella sofferenza e troverai una pace deliziosa. L’amore alla croce fa i santi. Non dico per questo che tu vada in cerca di croci, ma quando vengono sappi accettarle con rassegnazione. Se sarai animato dal timore di Dio, porterai con pazienza la tua croce; se sarai proiettato nella speranza, la porterai con gioia; se consumato dalla carità l’abbraccerai con ardore (cfr. At V, 41). In cielo benedirai Dio per le tribolazioni sofferte su questa terra, perché ti avranno fatto acquistare una felicità che nessuno ti potrà togliere. Abbraccia dunque con affetto la croce per mezzo della quale è stato salvato il mondo. Attraverso la fatica passi al riposo, e attraverso la morte giungi alla vita. Quanto più il tuo soffrire sarà intimo tanto più rallegrerà il cuore di Dio. Dammi, o Signore, la grazia di abbracciare con pazienza le croci che mi mandi e mandami le croci che vuoi.

Imitazione di Cristo, Libro II, cap. XII, n. 3 e Libro I, cap. IX:

La via maestra della santa croce

[…] Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio e tu cerchi per te riposo e gioia? Sbagli, sbagli se cerchi qualcosa d’altro, che non sia il patire tribolazioni; perché tutta questa vita mortale è piena di miseria e segnata tutt'intorno da croci.

Obbedienza e sottomissione

Stare sottomessi, vivere soggetti a un superiore e non disporre di sé è cosa grande e valida. È molto più sicura la condizione di sudditanza, che quella di comando. Ci sono molti che stanno sottomessi per forza, più che per amore: da ciò traggono sofferenza, e facilmente se ne lamentano; essi non giungono a libertà di spirito, se la loro sottomissione non viene dal profondo del cuore e non ha radice in Dio. Corri pure di qua e di là; non troverai pace che nell’umile sottomissione sotto la guida di un superiore. Andar sognando luoghi diversi, e passare dall’uno all’altro, è stato per molti un inganno. Certamente ciascuno preferisce agire a suo talento, ed è maggiormente portato verso chi gli dà ragione. Ma, se Dio è dentro di noi, dobbiamo pur talvolta lasciar perdere i nostri desideri, per amore della pace. C’è persona così sapiente che possa conoscere pienamente ogni cosa? Perciò non devi avere troppa fiducia nelle tue impressioni; devi ascoltare volentieri anche il parere degli altri. Anche se la tua idea era giusta, ma la abbandoni per amore di Dio seguendo quella di altri, da ciò trarrai molto profitto. Stare ad ascoltare ed accettare un consiglio – come spesso ho sentito dire – è cosa più sicura che dare consigli. Può anche accadere che l’idea di uno sia buona; ma è sempre segno di superbia e di pertinacia non volersi arrendere agli altri, quando la ragionevolezza o l’evidenza lo esigano.

François Pollien, Cristianesimo vissuto, parte II, cap. VIII e parte III, cap. XVII-XIX:

Il vero amore

[…] Dimmi dunque, che cosa intendi per amore? E amare cosa significa secondo te? Ti dirò io quello che l’amore è per te: è la ricerca del tuo piacere. Nei tuoi parenti, nei tuoi amici, in tutto ciò che ti sta a cuore, esamina attentamente: quello che tu ami è il solletico, il piacere che te ne proviene. La prova si è che, per una contrarietà, per un dispiacere, il tuo amore con una facilità sconcertante cede il posto al cattivo umore, al rancore, all’ira, all’odio. Detesti con la medesima facilità con cui ami. Basta che una semplice apparenza, un leggero sospetto ti faccia credere che il tuo piacere è contrariato, e l’ago della tua bussola ha già fatto un giro di quadrante. Non sei fedele che ad una cosa, ed è la tua soddisfazione. Ed ecco ciò che nel mondo si chiama amore. Il cristiano ha un modo affatto diverso di comprendere l’amore. Se ama i suoi parenti ed amici, è per loro e non per lui. Li ama nella felicità e nella sventura, nelle contrarietà come nella gioia, li ama costantemente e fortemente. Ciò che cerca il suo amore è il loro bene e non il proprio piacere. Amare, per lui, non significa godere, ma far del bene. Il cristiano ama in tal modo ogni cosa con un amore forte e vero; il suo affetto non dipende dai capricci del suo piacere. Il suo amore affronta i sacrifici e le privazioni, le contrarietà e le inimicizie, è forte come la morte e tenace come l'inferno[1]. Non mi parlare di quelle banderuole che si vo1tano ad ogni vento, di quei cuori che sono delicatissimi per se stessi e durissimi per gli altri. Il cuore cristiano diventa d’una inflessibile durezza per se stesso, e di una squisita delicatezza per gli altri. Quando vorrai saperlo, studia le tenerezze del cuore di S. Francesco d’Assisi. Ma non c’è dunque più piacere pel cuore cristiano? Di’ piuttosto: non c’è più piacere che inganni, snervi e faccia sviare; nulla di ciò che può inaridire le midolla, atrofizzare il cuore, far sviare lo spirito. Ma tutto ciò che può vigore e forza, agilità e facilità, tutto ciò che può ingrandire ed elevare, purificare e dilatare, tutto questo entra nell'anima ed essa se ne serve per sviluppare incessantemente la sua vita. E gode, non delle sensazioni e dei solletichi esterni e sensibili, ma dell’ingrandimento del suo essere. E siccome la sofferenza serve quanto, e spesso più ancora, della gioia alla dilatazione delle sue facoltà, essa sa godere anche della sofferenza. La menzogna delle tue vane gioie sta nel fuggirsene di fronte al dolore, come uno stormo di passeri ad un colpo di fucile; e di fronte alla sofferenza, non ti resta se non un cuore vuoto, dei sensi effeminati, uno spirito debole. Desolazione!... Il cristiano, invece, non perde nessuna delle sue gioie nel dolore, anzi spesso è proprio allora che le gusta di più. Ah! finché il tuo cuore non avrà prestato una goccia di quella gioia, che non si dilegua davanti alla sofferenza, tu non saprai che cosa sia la gioia. Credi a me, vale la pena d’essere integralmente cristiano non foss’altro che per gustare questa bevanda. Beati quelli che piangono, disse il Maestro delle beatitudini[2]. Leggile tutte queste beatitudini; e quando comincerai a gustarle, comprenderai che le false gioie che ti affascinano non sono che orribili imposture. O cuore, che sei fatto per sì grandi cose, cessa dal lasciarti soffocare da sì puerili inezie. Le beatitudini cristiane sono il secondo frutto della vita cristiana. Le beatitudini! Le gioie della vita cristiana! Che nulla turba, nulla altera, nulla distrugge, neppure la sofferenza! La quale anzi le alimenta e le aumenta, oh Dio! in quale misura! Quando gusterai le beatitudini cristiane? Suvvia! credi in Nostro Signore, credi al Vangelo. Credi che quelli, che nel suo Vangelo Nostro Signore chiama beati, debbono essere tali in realtà. Credilo e provalo. Senti: Nostro Signore e il Vangelo promettono già per questo mondo la beatitudine; e questa, più che la gioia, è il sommo della gioia. Se tu avessi la fede!...

I legami eterni

Nel capitolo IX della 1ª parte hai veduto che tutte le creature sono per te degli strumenti. Per conseguenza i tuoi parenti, i tuoi amici, i tuoi padroni e generalmente tutti gli uomini, con cui sei in contatto, sono per te strumenti. E la gioia che regola tutti i tuoi rapporti coi tuo prossimo, è la stessa legge che regola l’uso delle creature, secondo la quale ogni cosa dev’essere usata come strumento. Non ti sembrò forse che tale concezione fosse troppo egoistica e utilitaria? Sarà bene manifestare qui un’altra profondità che ti recherà stupore e meraviglia. Devi capire anzitutto che se gli altri sono per te degli strumenti, anche la reciprocanza è assoluta. Se essi, debbono servirti, tu pure devi servir loro. Tu non ricevi soltanto, ma devi anche dare: è un mutuo scambio. Scambio di che? Scambio di vita; perché gli uni non debbono essere riguardo agli altri che strumenti di vita. Non so se riesci a intravedere la bellezza di quest’idea. Non è perché ci divertiamo tutti insieme che Dio ci mette in rapporto gli uni cogli altri. Le nostre relazioni non debbono e non possono legittimamente aver che uno scopo, quello di svolgere la nostra vita. E le gioie delle nostre relazioni non debbono e non possono legittimamente aver altra funzione fuori di quella di facilitare questo sviluppo di vita. […]

La volontà di Dio

Accettare e fare, ecco la tua vita: accettare per fare il tuo dovere, è il cammino della vita cristiana. Questi due elementi devono sempre stare uniti, completarsi l’uno con l’altro, e intrecciarsi in modo da formarne uno solo. Del resto essi sono veramente uno. Difatti sia in quello che accetti come in quello che fai, non c’è che una cosa che abbia pregio, e che dia vita alla tua accettazione come alla tua azione, ed è la volontà di Dio. Che cosa accetti? quello che vuole Dio. Che cosa fai? quello che lui vuole. Accetti e fai, perché lui lo vuole. Nell’uno e nell’altro caso è la sua volontà che ti spinge; quella tu vedi, ami e segui. […] Quando ti comunichi è l’ostia in sé che ti preme di ricevere, oppure Nostro Signore nell’ostia? Non è forse vero che questa per te non ha valore, se non perché contiene il tuo Dio? Un’ostia non consacrata non è che un pezzo di pane, e tu non te ne curi. Un’ostia consacrata invece contiene il tuo Dio, ed è ciò che adori con maggiore amore. Tu sei felice di comunicarti!... Ora le cose da accettare e il dovere da compiere sono veri sacramenti ed ostie, che contengono la volontà di Dio, cioè, Dio: poiché la sua volontà è lui; e per te egli non è così presente in nessun altro luogo come là dov’è la sua volontà, come presto ti farò vedere. Se tu non cerchi questa volontà nel dovere e nell'accettazione, queste cose sono per te assolutamente vuote, vuote come un’ostia non consacrata: e dovere ed accettazione non hanno maggior valore d’una comunione con un’ostia non consacrata. Ma se vai al tuo dovere per trovarvi la volontà di Dio, e se nelle disposizioni della Provvidenza accetti la volontà di Dio, allora è la vera comunione, l’unione piena, l’amplesso della tua volontà con quella di Dio. Ed è in ciò la vera comunione, di cui la stessa comunione sacramentale è un mezzo. Infatti comunione significa unione comune, comune unione dell’uomo e di Dio. Ora l’unione con Dio si opera soprattutto sotto forma di un’unione morale, vale a dire, di volontà. L’unione tra Dio e l’uomo si compie quando la volontà dell’uomo s’unisce a quella di Dio. Per conseguenza, allorché la tua volontà incontra quella di Dio e vi aderisce, si fa una comunione. E l’unione fra te e Dio non può compiersi in altro modo; perciò vedi che Dio per te non è presente in nessun altro luogo come là dov’è la sua volontà: non puoi incontrarlo che là. Il luogo del tuo incontro con lui è dunque il dovere e l’accettazione, perché li vi è la sua volontà. È lì che la sua volontà attende la tua, per unirsi ad essa. E se tu la vedi e l’abbracci, ti comunichi realmente, poiché entri in unione con Dio. Ma se non la vedi, sei come un infedele in presenza del SS. Sacramento. Questi non sa affatto quello che c’è nella santa ostia, la quale per lui non è che una cosa senza significato. E lo stesso succede del dovere e degli avvenimenti della vita pel cristiano cieco, che non sa adorare in essi la volontà di Dio. Va’ dunque alla scuola di Dio per cercare la volontà di Dio, e sarai in comunione con Dio.

La vera comunione

Se, per un privilegio impossibile, il Papa ti accordasse la facoltà di portar sempre con te un ciborio pieno di ostie e di comunicarti quante volte vuoi, la tua vita sarebbe un continuo rapimento. Ora quello che il Papa non ti accorderà mai, te lo accorda Iddio. Tu hai sempre con te la volontà di Dio, in tutto quello che hai da accettare e da fare. Accetta e fa’; accetta e fa’ la volontà di Dio ed è ogni volta una nuova comunione. E in certo modo è meglio d’una comunione sacramentale, poiché è una comunione effettiva, una comunione essenziale della tua volontà con quella di Dio. Ti ho detto che fai la comunione sacramentale unicamente co­me mezzo per attuare questa unione effettiva della tua volontà con quella di Dio. Infatti perché ti comunichi e ricevi Gesù? Per accrescere in te il suo amore. E il suo amore che cosa è, se non l’unione della tua volontà con la sua? La tua comunione sarebbe sterile, se non producesse l'amore. La comunione piena, efficace e vera è dunque l’unione della tua volontà con quella di Dio. Oh! quante belle cose svela la fede!... quando la si ha!... Bisogna però convenire che la fede illuminata e viva non è cosa comune, oggi soprattutto! Ma osserva anche le conseguenze. Se la tua fede non è ancora così viva da farti vedere la volontà di Dio nel sacramento delle cose da accettarsi e da farsi, essa tuttavia è abbastanza illuminata da farti sapere che Nostro Signore è tutt’intero in ciascuna ostia e in ogni parte d’ostia, tutt’intero in una piccola come in una grande, in un frammento come in un’ostia intera. La differenza di dimensioni e di accidenti dell’ostia non modifica in nulla la presenza reale di Gesù Cristo. Ti comunichi tanto con una piccola ostia, quanto con una grande, con una metà come con una intera, e vedi che il sacerdote raccoglie con lo stesso rispetto e uguale venerazione anche le minime particelle consacrate. Ebbene lo stesso è della volontà di Dio. Essa è sempre intera, sempre la medesima, in tutte le cose da farsi e da accettarsi, piccole e grandi. Perché dunque disprezzi le piccole cose? La volontà di Dio è forse meno pregevole, perché ti dà una piccola cosa da fare o da sopportare? Dio non è forse Dio egualmente dappertutto? Se tu lo disprezzi nelle piccole cose, è questo un modo di attestargli la tua fede? Perché fai tanta differenza, se non perché in fondo non è la sua volontà che tu cerchi, ma il tuo capriccio? Se vuoi essere cristiano, non far tante distinzioni. Se vuoi comunicare con la volontà di Dio, essa è lì tutt’intera nelle piccole cose come in quelle grandi, nelle circostanze spiacevoli come in quelle che ti possono dare consolazioni. Se tu la disprezzi, è perché non hai fede; se la disconosci, è perché sei un cieco; se la trascuri, è perché sei un codardo; se te la metti sotto i piedi, è perché sei uno scellerato. Se sapessi comunicarti, vale a dire, unir la tua volontà a quella di Dio, non ti occorrerebbe molto tempo per essere un cristiano; poiché questa comu­nione può essere di tutti gli istanti, e in tutte le cose… Ah! se tu sapessi!... Suvvia, dunque! Di’ risolutamen­te col Salvatore, che d’ora innanzi il tuo grande e sostanzioso cibo sarà il fare la volontà di colui che t’ha inviato in questo mondo, fino al per­fetto compimento dell’opera, per cui t’ha creato[3].

L’imperturbabilità

Se tu hai l’intelligenza di quest’adorabile mistero della tua volontà divina nascosta dappertutto, se sai fare questa comunione, di cui cerco d’insegnarti il segreto, non ci può essere per te nessuna sventura. Infatti tutto quello che il mondo chiama avversità e disgrazie, come quello ch’esso chiama fortuna e felicità che cosa è in realtà? Non è che una scorza, una superficie, un’apparenza; è l’esteriore della vita. Lì sotto sta nascosta una sostanza, che è l’interno, il midollo della vita: cioè la volontà di Dio. Fare il volere di Dio è tutto il cibo dell’anima; nessuna cosa la nutre tranne questo. Ma quanto le è anche vantaggioso questo cibo! Unendosi alla volontà di Dio, l’anima s’ingrandisce, la sua vita si sviluppa, tutte le sue facoltà s’innalzano fino a poter glori­ficare Dio. Tu ora sei serio e vuoi vivere ad ogni costo: vivere, cioè, crescere, dilatarti, per raggiungere la meta per cui fosti creato. Il solo bene che ti attrae, perché infatti è il solo tuo bene, è l’ingrandimento del tuo essere per la gloria di Dio. Ora questa grandezza cristiana, che t’incanta, tutto te la conferisce: il dolore quanto, e spesso più ancora della gioia. La volontà di Dio è dappertutto. Ecco perché sei sempre felice. Dovunque trovi Dio che lavora al tuo ingrandimento servendosi delle sue creature. Che importa a te un po’ di piacere o un po’ di sofferenza? Queste son sciocchezze da nulla per un cuore che vuol vivere!... E guarda che pace in questo cuore! Una pace che nulla turba, nulla altera e nulla interrompe. Una pace che è sempre la medesima, calma nella gioia, più calma ancora nel dolore. Una pace che accoglie tutti gli avvenimenti e tutti i doveri con la stessa serenità perché tutti le recano il medesimo nutrimento e il medesimo profitto. La pace cristiana! Un’assoluta imperturbabilità! Ecco il vero stato del vero cristiano. Dopo la gloria di Dio non c’è cosa tanto grande quanto la pace dell’uomo, come cantarono gli Angeli sulla culla di Betlemme[4]. Oh! Quanto fa bene l’essere cristiano! Nulla vale questa pace, e questa uguaglianza d’anima io t’auguro di gustarla. L’uomo che pone lo scopo della sua vita nel suo piacere, che vede la ragione della sua esistenza nella felicità di cui può godere, e che è incessantemente occupato nel conseguimento di questa felicità attraverso le creature, quest’uomo, dico, è continuamente infelice; perché ciò che pensa essere la parte principale della sua vita, gli sfugge sempre.

[1] Quia fortis est ut mors dilectio, dura sicut infernus aemulatio. Cantic. VIII, 6.

[2] Beati qui lugent, quoniam ipsi consolabuntur. Matth. V, 5.

[3] Meus cibus est, ut faciam voluntatem eius qui misit me ut perficiam opus eius. Ioan. IV, 34.­

[4] Gloria in altissimis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis. Luc. II, 14.".


Prima di commentare la nota, voglio dire una cosa.
Filippo Giorgianni dice sempre che io sono troppo buono, quando gli faccio i complimenti per le sue note.
Io gli rispondo dicendo che i complimenti sono meritati.
E' raro trovare un giovane che si impegna e che studia così tanto.
Filippo ha una vasta cultura (e credo che l'abbia dimostrato abbondantemente) e, a mio modesto avviso, deve essere valorizzato.
Spero di contribuire a ciò, pubblicando le sue note.
Proprio perché è un ragazzo che vale, pubblicando le sue note su questo blog, desidero fare in modo che sia valorizzato.
Si merita ogni bene e chi ce l'ha come amico è fortunato.
Lo steso discorso vale anche per altri ragazzi, come (ad esempio) Riccardo Di Giuseppe, Morris Sonnino, Stefania Ragaglia, Angelo Fazio, Irene Bertoglio e Vittorio Leo, per citarne solo alcuni.
Ora, commento la nota.
Filippo ha preso delle citazioni di Santi, per parlare di quello che è il cammino di perfezione, perfezione a cui aspira ogni cristiano.
La commento, sintetizzando un brano della una lettera di San Paolo Apostolo ai Galati (capitolo 5, versetti 13-15) che è intitolato "La libertà del cristiano lo spinge alla carità" e che recita:

"2. La libertà del cristiano lo spinge alla carità (Galati 5, 13-15)

[13]Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. [14]Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. [15]Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!".


Ogni uomo è responsabile verso gli altri.
Il vero uomo libero è quello che tiene conto di ciò.
L'uomo che pensa solo a sé stesso, invece, è un uomo schiavo dei suoi peggiori istinti e delle sue peggiori passioni e può anche rovinare la vita degli altri.
L'uomo che pensa a sé stesso non è fedele a Dio ma a sé stesso.
L'uomo che, invece, pensa al suo prossimo è realmente libero.
Egli, infatti, non si lascia influenzare dai peggiori istinti ed aiutando il prossimo, si avvicina a Dio.
Ciò fu capito anche dagli Apostoli e dai Santi.
Fondamentalmente, il Santo non è una persona che fa miracoli.
Il Santo è una persona che ha scelto di vivere per Dio ed in funzione di Dio e per gli altri ed in funzione degli altri.
L'ha fatto seguendo la via religiosa (quindi, facendosi prete, monaco o suora, come San Luigi Gonzaga, San Gabriele dell'Addolorata o San Pio da Pietrelcina) o conducendo una vita degna di essere vissuta e senza piegarsi a certi dettami (e, a volte, pagando ciò con il martirio, come Santa Caterina d'Alessandria, San Tommaso Moro o San Carlo I Stuart).
Questa è la via che porta alla perfezione.
In fondo, questa è anche la via che fu percorsa da Gesù.
Se la percorse lui, che è Figlio di Dio, perché non possiamo farlo anche noi?
Cordiali saluti.

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Il peggio della politica continua ad essere presente

Ringrazio un caro amico di questa foto.