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mercoledì 28 dicembre 2011

Jean Laponce, "Left and Right. The Topography of Political Perceptions"

Cari amici ed amiche.

Leggete questa nota che mi è stata inoltrata dall'amico Filippo Giorgianni e che recita:

"«Sinistra e destra entrarono nel vocabolario politico alcune settimane dopo la convocazione degli Stati Generali Francesi del 1789, più probabilmente a giugno, o al più tardi il 28 agosto di quell’anno quando l’Assemblea Nazionale Francese, nel mezzo di un dibattito sulla bozza di costituzione per il regno, si divise chiaramente sul dare al re il diritto di veto legislativo. Per tracciare l’evoluzione che ha condotto così rapidamente dalla nozione dei tre Stati ordinati verticalmente alla nozione di due campi che si confrontano l’uno contro l’altro in uno spazio orizzontale, iniziamo il resoconto storico dal 5 maggio 1789, giorno di apertura della sessione degli Stati. Il re e la sua famiglia, collocati sul palco centrale, sotto un baldacchino monumentale, di fronte ai deputati[1]. Il re era seduto su di un trono posto sulla piattaforma più alta. Ai piedi del trono stava la famiglia del re: la regina e le principesse alla sinistra del re – il lato femminile della casa reale, che non avrebbe ereditato il regno; i principi alla sua destra – il gruppo dei potenziali successori. Ai piedi del palco centrale, più in basso dei principi e delle principesse, che erano essi stessi più in basso del re, presso una lunga panca e un tavolo erano sistemati i segretari di stato. Il re, la sua famiglia, e i suoi ministri erano dunque nettamente separati dai membri dei tre Stati che erano seduti in successione da destra a sinistra. Il clero era al lato destro, la nobiltà alla sinistra. Più indietro, il Terzo Stato, lontano dal trono del re rispetto ai nobili e al clero, era congiunto ai due ordini privilegiati. Uno spazio polarizzato tra su/giù, vicino/lontano e destra/sinistra determinava l’ordine della preferenza: il più elevato, il più vicino al re e il più chiaramente alla sua destra, il più grande, l’onorificenza. Nei giorni seguenti la cerimonia d’apertura, i tre ordini avrebbero dovuto incontrarsi separatamente per discutere le questioni del regno. Ma il Terzo Stato, violando l’usanza e disobbedendo le istruzioni del re, si proclamò Assemblea Nazionale, promettendo di rimanere in seduta fin quando non avesse dotato il reame di una costituzione. Invitò poi gli altri due ordini a unirsi ad esso. Il 22 giugno, una larga parte del clero accettò l’invito. Riunitisi dunque nella chiesa di San Luigi a Versailles, i deputati fecero spazio per i chierici. La Gazette Nationale descrisse la scena: “Attorno alle 12:30, Monsieur Bailly annunciava di esser stato appena informato che la maggioranza del clero intendeva unirsi all’assemblea per le 13:00 – immediatamente quei membri dell’Assemblea Nazionale che erano seduti nella parte superiore della navata della chiesa, alla fine del santuario, svuotarono i loro seggi in quanto essi erano quelli più onorifici”[2]. La parte più sacra e superiore della chiesa divenne più tardi la destra dell’Assemblea. Al 25 giugno, una minoranza della nobiltà si unì al Terzo Stato e, al 27, il re, piegandosi a ciò che considerava essere inevitabile, ordinò ai rimanenti tra gli ordini privilegiati di unirsi al Terzo Stato. I posti a sedere in questa assemblea integrata avrebbero dovuto essere occupati secondo la tradizione, ma la separazione tra i tre stati era ormai abbattuta: alcuni aristocratici e molti del basso clero si unirono al Terzo Stato alla sinistra, mentre il rimanente del clero e gran parte dell’alto clero sedette con gli aristocratici sulla destra. Secondo Buchez e Roux nella loro Histoire parlementaire de la révolution française pubblicata nel 1834, la polarizzazione tra sinistra e destra era cominciata prima del 27 giugno: “Prima del riunirsi dei tre ordini, gli estremi sinistra e destra erano diventati un luogo d’incontro per i rappresentanti che appoggiavano con più vigore le opinioni poi in conflitto. Ogni gruppo era cresciuto in numero, così come le discussioni erano divenute più accese”[3]. A giudicare dai sommari dei dibattiti parlamentari pubblicati nel quotidiano Le Moniteur e nelle Memoirs di Bailly, i dibattiti della neonata Assemblea erano molto disordinati, anche quando non venivano interrotti dalla popolazione. I presidenti di un’Assemblea, che non aveva agende specifiche e non possedeva nemmeno verbali scritti, provavano gravi difficoltà a farsi ascoltare. I deputati discutevano tra di loro e parlavano fuori turno; di frequente erano interrotti dal pubblico nelle tribune o ne cercavano il sostegno. Tutta questa confusione favorì l’istituzione e il mantenimento di raggruppamenti ideologici spaziali. In un’assemblea grande e turbolenta, una voce solitaria era improbabile fosse efficace; era necessario il supporto psicologico e morale di delegati affini per mentalità. Il fatto che la votazione fosse non per chiamata, ma per alzata o seduta, contribuì anche alla polarizzazione spaziale per preferenze ideologiche e politiche. L’incrementata coesione sia dell’estrema sinistra che dell’estrema destra permise ai presidenti di risparmiare tempo nel conteggio dei voti. Essi, con uno sguardo, potevano decidere se e quale fosse la maggioranza per una mozione e l’Assemblea poteva pure capire, con uno sguardo, se il presidente si stesse sbagliando. Una volta che l’ordine spaziale venne occupato secondo significati ideologici, divenne naturale riferirsi ai lati in competizione come alla sinistra e alla destra. Naturalmente c’erano delle alternative; vi erano altri modi per identificare le fazioni, ma i nomi dei club, come quelli dei Bretoni o dei Giacobini, non potevano essere usati nell’Assemblea per riferirsi a ogni gruppo di rappresentanti senza violare la convenzione secondo cui un deputato non rappresentava uno specifico ordine, fazione o regione, bensì avrebbe dovuto rappresentare la nazione nel suo complesso. Sinistra e destra potevano più facilmente essere utilizzati per descrivere le fazioni perché i termini non si riferivano a istituzioni (non esistevano comitati elettorali di sinistra né di destra). Tuttavia, persino i più neutri sinistra/destra acquisirono presto connotazioni di fazione, come si può osservare nella seguente parte del dibattito che prese vita nell’Assemblea il 2 ottobre 1791[4]:

(Un membro, il signor Lacroix, si alza su un punto dell’ordine)

Lacroix: “[…] È estremamente chiaro; ma giacché una parte dei membri del lato destro sembra opporsi…

(Tutti i deputati seduti alla destra del presidente e molti di quelli posizionati in varie altre sezioni dell’Assemblea si alzano e rispondono, urlando fortemente, che il signor Lacroix sia richiamato all’ordine)

Presidente: “Signor Lacroix, su richiesta dell’Assemblea, la richiamo all’ordine per aver dimenticato il riguardo che deve avere verso una parte dei suoi membri.

Lacroix: “Dicendo il lato destro, non intendo in alcun modo comparare i membri attualmente qui seduti a coloro che usano occupare i medesimi seggi nell’Assemblea Costituente…

Il lato destro aveva già preso un significato derogatorio per il suo esser connesso ai deputati che si opponevano alla nuova costituzione o che, in ultima analisi, cercavano di fornire al re il potere di veto legislativo. I termini sinistra e destra divennero presto parole comuni nella cronaca politica, dentro e fuori il parlamento. Consideriamo, per esempio, questo estratto dal quotidiano L’Ami des patriotes datato 27 agosto 1791: “[…] gli scrittori di pamphlet non possono sostenere questa volta che c’è accordo tra la destra dell’Assemblea e una sezione della sinistra ”. O, ancora meglio, consideriamo un lungo articolo del Mercure de France datato 1 ottobre 1791 da cui ho estratto un brano. Esso analizza le varie fazioni che dividono la Francia di quel tempo da un punto di vista che potremmo definire di centro-destra.

Nella sezione destra […], il partito solitamente individuato dal nome degli aristocratici […] ha tanti membri quanti sostenitori. […] Esso include un piccolo numero di uomini che odiano la Rivoluzione a causa del loro amore per il vecchio regime e i suoi eccessi; essi odiano la libertà perché amano la pace. Essi rimpiangono il tempo in cui la nazione non aveva alcuna influenza sul governo attraverso l’effetto oscillante dell’opinione pubblica; rimpiangono il tempo in cui la Corona, ben più forte di fronte all’individuo, era debole nel resistere alle iniziative delle potenti corporazioni; rimpiangono il tempo in cui gli onori, le posizioni e le ricompense erano diventate, contro lo spirito della monarchia, il privilegio di poche famiglie […]. Un secondo gruppo […], anch’esso sul lato destro dell’Assemblea, […] richiede una vera monarchia, una monarchia con gli Stati Generali, con tre ordini; una monarchia i cui parlamenti supportino il trono e controllino le finanze […]. Essi desiderano un sistema politico che dia alle due classi più eminenti della società metà della sovranità, mentre darebbero il rimanente ai quindici decimi della nazione e al monarca. Se osserviamo che questa fazione include, tra gli altri, la maggioranza del clero tanto quanto la maggioranza della nobiltà, sia essa nobiltà militare, professionale o agricola, e che include anche i grandi proprietari terrieri di tutti e tre gli ordini, si avrà tanto la misura dell’entusiasmo generato da questo gruppo quanto la comprensione della sua flessibilità. Un terzo partito d’opposizione, altrettanto sfavorevole a una democrazia regale quanto i precedenti, […] tiene un’altra linea politica […]. Essi cercano di ridare ai comuni [il Terzo Stato] qualche grado di autorità, forza e indipendenza che dovrebbe collocare questo stato in equilibrio con i poteri del monarca e i due restanti stati nella gerarchia, ma essi non vogliono che i comuni assorbano il complesso della sovranità pubblica né che riducano le distinzioni preesistenti nel loro cammino verso la democrazia. Essi intendono riformare il clero senza screditarlo […]. [Questo terzo partito] che Parigi ha provato a lapidare e che la storia un giorno vendicherà […] si è fuso alla destra dell’Assemblea. Consideriamo ora il lato sinistro […]. La prima fazione che incontriamo è un aggregato di gruppi eterogenei uniti insieme più dall’interesse che da qualche somiglianza di principi; esso include i moderati che, tra tutte le dottrine repubblicane, hanno sostenuto quella che sembra loro meno incompatibile con la preservazione di un governo monarchico. È composto da uomini deboli ma onesti che non hanno avuto il coraggio di unirsi a un gruppo della destra e hanno trovato rifugio nella sinistra; esso include inoltre i pedanti (beaux esprits), persone fornite di un sistema – la cui vanità e la cui abilità nel riempire un ruolo con alcune pagine di Rousseau, male interpretate o male applicate, hanno causato il loro innamoramento per l’ideale della democrazia regale […]. Come per i settari che formano un ramo di un medesimo albero, essi sono tutti super-economisti o menti oscure che, applicando gli eccessi della geometria metafisica alle scienze morali, scambiano gli uomini per blocchi di marmo, prendono le passioni per materiale da costruzione e considerano l’arte della legislazione come fosse un mero lavoro di scalpello […]. Un terzo gruppo dentro la maggioranza comprende tutti coloro per i quali sono necessari gli sconvolgimenti universali e le rivoluzioni giornaliere […]. Ma include anche uomini di principi, persone sincere nel loro entusiasmo […], che hanno preso l’abitudine di trasgredire le norme a causa della violenza dei tempi. Senza alcun dubbio, di tutti i gruppi della sinistra, questo è il più consistente […]. Esso vuol fare della Francia una democrazia; ha applicato con rigore il dogma dell’effettiva sovranità popolare […]; ha colto ciò che è palpabilmente evidente: essendo una costituzione cosa sostanzialmente repubblicana, la monarchia è divenuta un hors’d’oeuvre [“fuorilegge”] pericoloso […]. Questa fazione si è sviluppata a partire da profonde radici: è sostenuta, da un lato, dagli elementi di una costituzione simile a quella dei Grigioni […], e, dall’altro, dalla depravazione dei comportamenti, dall’abbattimento dei vecchi freni che provenivano dalla morale, dall’onore e dalla religione; trova incoraggiamento nell’indipendenza dei coniugi, dei figli, dei servi e dei giovani […]. Gli uomini che vengono emancipati dai loro doveri, dai loro affetti e dal loro sentire, sono veloci nel liberarsi da tutte le autorità […]. Verrà il momento in cui la Francia sarà divisa tra costoro e i monarchici intransigenti”.Una volta cancellati termini desueti come “Stati” mentre si mantiene la terminologia spaziale, si può facilmente applicare l’analisi della sinistra e della destra degli anni 1790 al tipo di partiti politici della Francia degli anni 1830 o 1880; rimossi i riferimenti alla monarchia, si può applicarla agli anni 1970. L’attaccamento alle doti di qualcuno e all’ordine gerarchico sono a destra; il desiderio di abbattere quell’ordine sta a sinistra. Le strutture gerarchiche esistenti, siano esse quelle politiche o quelle della Chiesa, trovano difesa a destra, ma sono vessate dalla sinistra.»

[1] Per una rappresentazione brillante cfr. François Furet e Denis Richet, La révolution: des états généraux au 9 thermidor, Hachette, Parigi 1965, pp. 96-97; sull’ordine spaziale all’apertura della sessione si veda anche una lettera del Lord di Dorset [sir Henry Digby (1731-1793)] del 7 maggio 1789, in James Matthew Thompson (a cura di), English Witnesses of the French Revolution, Blackwell, Oxford 1938, p. 30.

[2] Gazette Nationale ou Le Moniteur universel del 22 giugno; la Gazette fu ristampata negli anni 1850 dall’editrice Plon di Parigi sotto il titolo Réimpression de l’Ancien Moniteur. Per la parte qui riportata, cfr. vol. I, p. 91 di questa riedizione. Questa traduzione dal francese e le seguenti che appaiono in questo capitolo sono fatte dall’autore.

[3] Philippe-Joseph-Benjamin Buchez e Pierre-Célestin Roux, Histoire parlementaire de la révolution française, Journal des assemblées nationales depuis 1789 jusqu’en 1815, Paulin, Parigi 1834, p. 349.

[4] Réimpression de L’Ancien Moniteur, depuis la réunion des Etats-généraux jusqu’au Consulat (mai 1789-novembre 1799), con note esplicative, Plon, Parigi 1862, volume X, p. 40.".

Come sempre, Giorgianni dà degli ottimi spunti.
Di questa nota, che riprende un brano di Jean Laponce, sottolineo un punto, quello che recita:

"Ma il Terzo Stato, violando l’usanza e disobbedendo le istruzioni del re, si proclamò Assemblea Nazionale, promettendo di rimanere in seduta fin quando non avesse dotato il reame di una costituzione. Invitò poi gli altri due ordini a unirsi ad esso. Il 22 giugno, una larga parte del clero accettò l’invito. Riunitisi dunque nella chiesa di San Luigi a Versailles, i deputati fecero spazio per i chierici. La Gazette Nationale descrisse la scena: “Attorno alle 12:30, Monsieur Bailly annunciava di esser stato appena informato che la maggioranza del clero intendeva unirsi all’assemblea per le 13:00 – immediatamente quei membri dell’Assemblea Nazionale che erano seduti nella parte superiore della navata della chiesa, alla fine del santuario, svuotarono i loro seggi in quanto essi erano quelli più onorifici”[2]. La parte più sacra e superiore della chiesa divenne più tardi la destra dell’Assemblea. Al 25 giugno, una minoranza della nobiltà si unì al Terzo Stato e, al 27, il re, piegandosi a ciò che considerava essere inevitabile, ordinò ai rimanenti tra gli ordini privilegiati di unirsi al Terzo Stato. I posti a sedere in questa assemblea integrata avrebbero dovuto essere occupati secondo la tradizione, ma la separazione tra i tre stati era ormai abbattuta: alcuni aristocratici e molti del basso clero si unirono al Terzo Stato alla sinistra,mentre il rimanente del clero e gran parte dell’alto clero sedette con gli aristocratici sulla destra.".

Questo passaggio spiega il corso che prese la storia al momento della Rivoluzione francese del 1789.
Questo passaggio spiega, di fatto, quella che fu la nascita dello Stato relativista.
Il Terzo Stato, di fatto, iniziò a ricattare il re e disgregò la Chiesa gallicana.
Infatti, il basso clero si schierò con il Terzo Stato, dietro cui si mossero anche alcuni massoni, come Robespierre e Marat.
Fu qui che, di fatto, si formò la spaccatura tra clero giurato, quel clero che giurò fedeltà alla Costituzione civile del clero, ed il clero refrattario, il clero che rimase fedele al Papato.
A ciò, si unì quel relativismo che fu presente, per esempio, nella massoneria e che caratterizzò la vita di quei partiti che si formarono.
Questa tendenza caratterizzò, soprattutto, il partito del Terzo Stato, a cui si unirono pezzi di aristocrazia e di clero.
Questo partito fu l'antesignano dei partiti che attualmente ci sono in Europa.
Ciò distingue la scuola politica europea da quella anglosassone.
Quest'ultima (che è quella che preferisco) si sviluppò con un processo graduale, un processo che iniziò a Runnymae, nel 1215, quando re Giovanni Senza Terra dovette firmare la Magna Charta Libertatum.
Fatto salvo quello che successe tra il 1642 ed il 1649 (con la Guerra Civile, il martirio di re Carlo I Stuart e la dittatura di Oliver Cromwell) in Inghilterra non ci furono grandi scossoni.
Nacquero due partiti, i Wighs ed i Tories.
I primi erano il partito della borghesia, del popolo e del presbiterianesimo mentre il secondo era il partito del re, degli aristocratici e della Chiesa anglicana. Era anche il partito più incline a simpatizzare con i cattolici.
Oggi questo sistema è rimasto.
Nel sistema europeo, invece, si formarono dei "partiti di popolo" e spesso trasversali, partiti i cui membri non concepivano la politica come un'aristocrazia democratica (come nel modello inglese) ma semplicemente come un mezzo per avere il potere.
Il linguaggio politico decadde e ben presto i partiti si frammentarono in correnti e particolarismi.
Infatti, il popolo è fatto da varie realtà e queste tendono ad agire secondo il proprio interesse.
Quello che, ad esempio, vediamo nell'Italia di oggi è esattamente questo.
Cordiali saluti.




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Ringrazio l'amico Morris Sonnino di questo screemshot de "Il Corriere della Sera".