Su Facebook, l'amico Marco Stella mi ha inoltrato questa nota:
"Cari amici della stampa locale o referenti politici di qualunque partito, leggete questo punto di vista e datemi una mano a diffondere, penso che la maggior parte di voi possa apprezzare questo concetto.
DIETRO LA LIBERALIZZAZIONE DEGLI ORARI DEGLI ESERCIZI
COMMERCIALI QUALE RISCHIO SI NASCONDE?
Molti turisti che visitano l’Italia ritengono abbastanza strano il costume italiano della pausa pranzo prolungata per molti degli esercizi commerciali. Tra questi turisti anche gli amici brasiliani hanno commentato con me in più di un’occasione questa curiosa usanza. Ma l’immagine classica delle cittadine di provincia che tra mezzo giorno e le quattro si svuotano, potrebbe avere i giorni contati visto che già dal governo precendente, ma con maggior enfasi da questo nuovo governo, si vogliono intraprendere quelle liberalizzazioni atte a scompaginare la tradizione. Se per me la tradizione è figlia della Tradizione, intendendo la prima come costume e la seconda, quella con la maiuscola, come filosofia, per altri è solo una zavorra da gettare per volare verso un’Italia più dinamica e concorrenziale. Ma tra chi come me ha una visione della società corporativa, protezionista ed un po’ cristallizzata e chi al contrario è per la la liberalizzazione totale mi sa tanto che il classico in medio stat virtus è la più saggia presa di posizione. Il Paese ha bisogno di ravvivare la sua economia? Giusto. Ma è poi così scontato che la liberalizzazione in tutti i campi (nell’articolo mi riferisco a quella degli esercizi commerciali) faccia poi così bene all’economia? Snoccioliamo la questione partendo appunto da come funziona nei paesi americanizzati tipo Brasile, dove vivo da oltre un decennio. Ebbene qui ci sono orari d’apertura e di chiusura abbastanza regolari, ma manca la pausa pranzo e di fatto il funzionamento di un normale negozietto è di circa 10 ore, mentre da noi è di circa 8. Altra questione è l’orario dei centri commerciali ossia ad orario continuato dalle 10 di mattina alle 9 o 10 di sera e qui stiamo sfiorando le 12 ore (la questione dei centri commerciali è giá in atto pure da noi). Ebbene chi può permettersi di avere un numero di funzionari tale da poter restare aperto 12 ore, visto che le leggi stabiliscono che il lavoratore ne faccia 8? I grandi gruppi commerciali, le multinazionali e le transnazionali e di fatti in Brasile sono sorti come funghi i vari Zara, C&A e decine di negozi che vendono gli stessi prodotti a Barcellona e New York piuttosto che São Paulo, Rio o Kyoto. E quei paesi dove la “liberalizzazione” è ancora maggiore e dove gli esercizi commerciali possono realmente farsi gli orari a piacimento? La cosa è molto peggiore, non si ha solamente la concorrenza sleale tra grandi gruppi e negozzietti, ma la sicura scomparsa di questi ultimi incapaci di reggere la concorrenza per l’impossibilità di garantire orari di apertura così flessibili. È questo che si vuole per l’Italia? Distruggere completamente il commercio locale, colpire la piccola azienda a gestione familiare? Soluzioni ve ne sono. È possibile rinnovare conservando, ed anche se può sembrare un’affermazione che nega sé stessa sono certo del fatto che sia relmente possibile affrontare i cambiamenti globali, che ormai hanno raggiunto anche i nostri costumi più secolari, in modo da non danneggiare le categorie che per centinaia d’anni hanno fatto fiorire la nostra economia. Nel merito della liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali i regolatori di tale trasformazione dovrebbero essere i municipi e le associazioni commerciali. Nulla deve esser imposto dall’alto, ma dev’esser creato e seguito passo a passo dalle associazioni di categoria e dai municipi. Regolamenti municipali stesi di accordo con le esigenze dei commercianti devono regolare tale argomento, ma se il governo dovesse intraprendere realmente la strada delle liberalizzazioni è difficile che i piccoli comuni e le deboli associazioni locali riescano ad ostacolare il buldozzer della globalizzazione. L’ideale sarebbe che il Governo si limitasse ad emanare una legge quadro aprendo la possibilità di flessibilizzare gli orari degli esercizi, legge che trasferisse però il potere di dar l’ultima parola e definire le regole per il commercio ai municipi. Ed al turista che si voleva comprare la camicia alle 2 del pomeriggio ma ha trovato i negozi chiusi gli dico: “mangiati una pizza, beviti un litrozzo di vino, fatti una penichella e comprati una bella camicia made in Italy alle dopo le 4”
È così che ha sempre funzionato il mio Paese e non vedo perché dovrebbe esser diverso.
Marco Stella".
Io penso che qui in Italia non riesca a fare una seria politica di liberalizzazione.
Il motivo è molto semplice:
QUI IN ITALIA MANCA LA CULTURA DELLA LIBERALIZZAZIONE.
Ad esempio, durante il II Governo Prodi (2006-2008), l'allora Ministro delle Attività Produttive, Pierluigi Bersani, aveva promosso delle liberalizzazioni, tra cui quella della vendita dei farmaci da banco nei supermercati.
La misura fu molto popolare.
Peccato che essa abbia favorito le cooperative, che già hanno una situazione di vantaggio fiscale.
Inoltre, qui in Italia c'è tanta burocrazia.
Essa fa comodo a parecchie persone.
Pensiamo, ad esempio, alla gestione pubblica dell'acqua e ai "carrozzoni" che ci sono dietro di essa.
Se ci fosse una liberalizzazione vera, tanta parte dei burocrati andrebbe a casa e subito i sindacati e tutte le associazioni ad essi legati scenderebbero in piazza.
Questa è l'Italia!
Cordiali saluti.
Nessun commento:
Posta un commento