Attraverso Facebook, l'amico Filippo Giorgianni mi ha inoltrato questo testo "F.G., "La vita è un condominio. Breve allegoria teatrale-letteraria sub specie aeternitatis":
"Teresa: Io non comprendo... Prima sembra amarmi così tanto e poi finisce coll’allontanarsi. Non c’è un ordine! Non ha un senso!Il Custode (con volto triste pieno di misericordia): Signorina mia... mi ascolti: il signor Christian è uno scostante! Non le vuol male. È solo che si comporta come se volesse male a se stesso. È schiavo e si illude di esser libero; è incatenato e ha bisogno di liberazione. Lei deve sapergli donare questa liberazione, restandogli fedele. Vedo molte cose e, anche se non sono un filosofo, anche se ho la quinta elementare e tra i miei omonimi sparsi per la terra sono quello che fa uno dei mestieri meno elevati, posso dire di conoscere bene gli uomini e l’amore. Perché molti ne sono passati di qui... e molti ho visto amare. Molti ho visto fedeli e molti che, in vari modi, ho visto essere infedeli; e posso dirle che ho ben capito chi ha amato davvero tra tutti loro, perché l’amore è fedeltà.
Teresa: Ma non era ispirazione?
Il Custode: Certo! Ma cosa ti viene ispirata se non la fedeltà? Anche attendere ciò che non vorresti mai attendere. L’amore è come Penelope. Ha presente? La donna mitologica, di cui mi raccontava un amico.
Sa, una volta un sant’uomo mi disse che l’amore non reclama diritti e vuole solo dare, solo servire. È vero! E, se non fosse così, non sarebbe amore perché sarebbe coercizione! Non puoi obbligare qualcuno a darti, ad amarti, anche se la sua posizione gli imporrebbe di farlo, anche se quella cosa ti è dovuta. Sarebbe egoismo! Se obblighi qualcuno al tuo diritto, non è amore, perché non è libertà. È catena. Ed è per questo che invito sempre ad entrare nel giardino: solo lì si contempla la libertà dell’amore, lo star con se stessi e il perdersi in qualcosa di grande. Solo lì si ottiene il distacco dalle persone, quel distacco di chi le ama così tanto da saperle lasciare andare, perché possano poi liberamente tornare, perché, peregrinando qualche tempo, possano liberarsi dalle catene con l’aiuto silenzioso ma pressante della nostra attesa.
Teresa: Ma quanto tempo dovrò attendere per vederlo tornare?
Il Custode: Quanto? E chi può dirlo, signorina mia!? Vorrei poterglielo dire e rassicurarla, ma la realtà è che è tutto scritto in qualche costellazione, non in qualche animo o intelligenza. Dovrà attendere tutto il tempo necessario. Poco fa mi diceva che “non c’è ordine”. Ma nella vita ogni disordine è un ordine che viene predisposto e proposto per noi uomini. Si tratta solo di saper rispondere alla proposta pazientemente. Io so di un uomo che ha aspettato una donna per tutta la vita. La vedeva bisognosa di liberazione, anche se lei nemmeno si accorgeva della propria schiavitù, come molti schiavi, del resto. E, vede, lui si è sposato, ha avuto figli, ha amato ed è vissuto felicemente con altri, ma l’ha sempre aspettata. Con pazienza, senza mai disperare o rassegnarsi. Ha aspettato il momento giusto per dirle ciò che avrebbe voluto, ciò che poteva liberarla. Ha aspettato il luogo giusto: il letto della propria morte. Quanto tempo? Forse un giorno, un mese, più di un anno...
Temo non vi sia uomo vivente su questa terra che possa dirlo.
Teresa: Ma cosa le disse?
Il Custode: Chi?
Teresa: Quell’uomo: cosa disse alla donna che amava e che aspettava?
Il Custode: Oh! Beh semplicemente questo: “nelle nostre vite ti ho vista tante volte sbagliare e avrei tanto voluto vederti non farlo. Vederti non fare gli stessi errori che ho fatto io prima di te. Avrei potuto anche aiutarti, se ne avessi avuto la possibilità. Ti avrei voluta tanto vedere libera da quegli errori, da tutte le tue catene. Finalmente tu, bella come eri e come sei chiamata ad essere! Ma non è stato così. Però... anche se ti resterà il rammarico di quanto potevi evitare, da oggi non sbagliare più. Ti prego, non farlo!”.
Teresa: Solo queste parole? Senza alcuna dichiarazione d’amore?
Il Custode: Signorina, è bastata una carezza in viso, lo sguardo, le parole. Non c’era bisogno d’altro. E lei capì. Era il momento giusto, era l’unico modo giusto.
Teresa: Ma aspettare così tanto tempo per cosa? Per morire e non poterla nemmeno vedere cambiata e felice?
Il Custode (in modo appassionato): Signorina, ma non lo capisce? È questo l’amore: non ha chiesto nulla per sé, neanche la soddisfazione, neanche quel minimo di gioia nel vedere la “sua” donna come avrebbe dovuto essere. Lui l’ha solo liberata dalle catene al momento giusto. Le ha detto: “sii ciò che devi”. Non ha voluto nulla per sé, perché era scritto che nulla dovesse avere per sé. Se avesse detto qualcosa di diverso, o in un momento diverso, non avrebbe ottenuto l’unica cosa che contava realmente: che quella donna fosse finalmente libera. Se avesse fatto altrimenti avrebbe solo fatto ciò che lo avrebbe soddisfatto, sarebbe stato egoista, avrebbe tentato di afferrarla per sé ma non l’avrebbe amata, non sarebbe servito semplicemente a niente. Ma ciò che per lui contava non era se stesso. Era quella donna. Signorina, lo so che è difficoltoso pensare agli altri quando ci fanno difficoltà ma lei a cosa pensa? A se stessa o al signor Christian? Chi vuole liberare? Lei dalle proprie difficoltà o lui dalle sue catene? Ci pensi, ci mediti su.
Teresa: Ci penserò, ma come si fa a sperare nel momento della disperazione? E se lui rimanesse sempre in catene e non avessi nemmeno un’unica occasione di amarlo, come invece quell’uomo di cui mi ha raccontato? Ci sono casi in cui sembra impossibile.
Il Custode: Gliel’ho già detto: ne ho visti tanti passare di qui e lo so: nulla è impossibile! E tutto è miracolo! Per tutti c’è sempre speranza. Per tutti, fino all’ultimo. Anche per il signor Christian. Perfino per i signori Ciprioti del terzo piano, nonostante la moglie me ne dica di cotte e di crude! Al mondo non esiste l’impossibile, non per noi che viviamo con un piede nel giardino. E comunque lei non può fare molto altro. Sono due soltanto le sue possibilità: o si fida di quel che le sto dicendo, o corre via pensando a se stessa. Se lei vuol bene al signor Christian, mi ascolti: resti qui. Lo aspetti. Mi aiuti ad aiutarlo.
Teresa: Ma è difficile.
Il Custode (ancora più appassionato): Ma è la vita! È la vita ad essere difficile! Ad essere puro dono. È difficile? Sì, lo è, ma questo forse la rende più bella. Non si faccia spaventare dalla difficoltà! Mi creda, ha solo da guadagnarci. Aspetti.
Teresa: Ci proverò... D’altronde, cos’è più forte: un fuoco di paglia che si risolve in un potente bagliore o piuttosto un piccolo tizzone che per lunghi anni arde sotto la cenere?
Il Custode: Bravissima! È già un ottimo inizio, suppongo. Venga le offro un bel tè. Il tè fa sempre bene all’amore.
Teresa: La ringrazio...
Il Custode: Per un tè? Ma si figuri...!
Teresa, sentendosi amata, sorrise timidamente e quasi sottovoce disse: Fosse solo il tè...
Il Custode incurante si diresse alla porta della garitta e, rivolto alla porta di casa lì accanto, la aprì e gettò un grido: Angela! Abbiamo ospiti. Prepara una teiera, per favore!".
Nei confronti di Filippo nutro grande stima.
E' un ragazzo molto intelligente e colto e interloquire con lui è un vero piacere.
Spero di poterlo aiutare a valorizzarsi (e ad essere valorizzato) pubblicando questo suo testo.
Merita di essere valorizzato. Le mie non sono parole di circostanza.
Questo breve dramma è intitolato " La vita è un condominio. Breve allegoria teatrale-letteraria sub specie aeternitatis".
Il titolo contiene una verità.
La vita in sé è un condominio.
Ogni uomo vive la propria vita ma non vive solo per sé.
Ogni azione che egli fa ed ogni cosa che egli dice si ripercuote su chi gli sta vicino.
Un'azione fatta o non fatta da un uomo può cambiare la vita di altre persone nel bene o nel male.
Questo è il nocciolo della questione.
Noi siamo responsabili verso Dio e verso i nostri simili.
In un certo senso, questo concetto era già presente anche prima di Cristo.
Il filosofo greco Tucidide (460 BC-397 BC) diceva: "Noi siamo tutti re sulla Terra o siamo pedine nelle mani di un re?".
Io penso che ogni uomo abbia responsabilità sul suo prossimo.
Se ha responsabilità sul suo prossimo significa che è "re".
Quindi, ogni uomo è re sulla Terra, per il concetto di libero arbitrio.
L'uomo che si riduce ad essere la pedina di un altro lo può fare solo per due motivi: la coercizione da parte di chi lo vuole comandare (unita alla sua debolezza) o il volersi togliere ogni responsabilità di azioni indegne da parte di chi lo domina.
In realtà, spesso e volentieri, valgono entrambe le motivazioni.
L'uomo debole si fa dominare e (proprio perché è debole) è pronto a salire sul "carro di chi vince", quando ci sono situazioni positive per lui, o a negare ogni responsabilità, in caso contrario.
L'uomo debole è un uomo già morto di suo e che vive solo in funzione di scelte altrui o dell'istinto di conservazione, istinto che può portarlo a fare scelte irresponsabili e dannose per gli altri e per sé stesso.
L'uomo debole, infatti, pensa a sopravvivere e non a vivere.
Gesù Cristo, però, non ci insegnò questo.
Gesù Cristo ci insegnò a vivere la vita, amando Dio ed il prossimo.
Amare Dio ed il prossimo può comportare (anzi comporta) scelte che possono essere impopolari agli occhi di questo mondo pieno di uomini deboli.
Gesù Cristo stesso fece una scelta impopolare agli occhi degli uomini deboli, morendo sulla croce.
Però, poi, egli vinse la morte e salvò il genere umano, riscattandolo dalla sua colpa.
Questo ci deve fare riflettere.
Termino, segnalandovi la "Nuova edizione del libro di Fatima" scritto da Antonio Borelli.
Esso è pubblicato dall'Associazione Luci sull'Est.
La Madonna di Fatima ci ricorda spesso che ognuno di noi è responsabile verso il suo prossimo.
Forse, noi dovremmo riflettere su questo e non lasciarci irretire da chi gonfia i messaggi che parlano di fine del mondo e piaghe.
Cordiali saluti.
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