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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

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sabato 12 gennaio 2013

Commento alle parole di monsignor Roberto Busti, vescovo di Mantova


Cari amici ed amiche.

Ieri c'è stato l'incontro tra i giovani dell'Unità Pastorale di San Leone Magno (che comprende tutte le parrocchie del Comune di Roncoferraro) ed il Vescovo di Mantova, Sua Eccellenza, Monsignor Roberto Busti.

Ho accennato ciò nell'articolo intitolato "Il Battesimo e la fede".
L'incontro si è tenuto presso l'oratorio della chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista in Roncoferraro.
Esso si è svolto iniziando con un piccolo rinfresco.
Poi, ha parlato il vescovo.
Il parroco, don Alberto Bertozzi, è stato il moderatore.
Il vescovo ha parlato del rapporto tra i giovani e la fede.
Oggi, noi abbiamo tanta tecnologia.
Abbiamo la televisione, il telefono ed internet.
Questo ha creato vantaggi, come la comunicazione più rapida, ma ha portato anche la perdita di quello che è un sano e vero rapporto umano, basato sul contraddittorio vero.
Inoltre, il giovane ha perso la fede anche perché vede nella Chiesa una contraddizione rispetto al messaggio del Vangelo, che parla di povertà mentre il Papa ed i vescovi indossano delle mitre ben decorate e vari paramenti finemente ornati.
Ora, il vescovo ha fatto notare che egli abita sì in una casa con tutti i confort ma che essa, comunque, non è sua ma è della Chiesa, la comunità cristiana.
Del resto, anche le chiese sono piene di opere d'arte. Hanno quadri, mosaici, candelabri e statue di valore.
Tuttavia, esse non appartengono al vescovo o al prete ma alla comunità, la Ecclesia, la Chiesa.
La chiesa (intesa come edificio) è la casa di tutti.
Il vescovo ha parlato anche dell'insicurezza dei giovani.
Questa insicurezza è data dalla precarietà della situazione lavorativa (o peggio ancora dalla disoccupazione) e dal dover procrastinare ogni progetto di famiglia e di realizzazione personale.
Questo non solo crea sfiducia verso le istituzioni ma fa perdere letteralmente la fede al giovane.
Anche lo stesso lavoro, oggi, crea problemi in un ambito familiare.
Basti pensare a due giovani coniugi che, per via degli orari lavorativi, non possono stare in casa insieme.
Da qui nasce un clima di sfiducia.
Lo stesso discorso può valere anche per la morte.
Don Alberto ha citato il caso di Francesco Savassi, il giovane di Roncoferraro che il 4 dicembre scorso è rimasto ucciso in un incidente stradale ed il vescovo ha parlato del dolore di sua madre, che egli ha incontrato.
Per dovere di cronaca, Francesco era amico di mio fratello.
Il vescovo ha detto che la morte fa parte della vita.
Egli ha detto che Gesù stesso morì.
Certo, quando andò sulla croce, egli non cantò.
Anzi, provò dolore e disse: "Elì Eli lemà sabachtani", ossia: "Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?".
Però, avere fede significa avere fiducia.
Avere fede in Dio significa fidarsi di Dio.
Il confronto non è stato a senso unico.
Ci sono stati anche interventi dal pubblico.
E' intervenuta una giovane educatrice degli scout che ha parlato della difficoltà di educare.
E' intervenuto anche un altro ragazzo che ha parlato della questione delle discriminazioni.
Qui il vescovo ha risposto dicendo che Dio ama tutti perché in ogni uomo Egli vede il volto di Cristo, pur facendo notare che gli uomini non sono tutti eguali.
Per esempio, l'uomo e la donna sono differenti (e complementari) tra loro.
Anch'io sono intervenuto.
Ho interloquito con il vescovo sia privatamente (a tu per tu) e sia dal pubblico.
Il vescovo ha parlato dei rapporti umani che scadono e ha citato la questione della politica, una politica che troppo spesso si basa sulle scontro tra schieramenti e sul volersi fregare a vicenda.
Io, privatamente, gli ho raccontato un po' il mio punto di vista di attivista politico.
Com'è noto, io sono un "attivista" del Popolo della Libertà e nel contempo sono disoccupato.
Questo ho detto al vescovo (anche se non ho specificato il partito) e ho aggiunto che, per via di questo brutto clima, i giovani sono sempre più spinti a seguire i contestatori, quelli che fanno proteste dure senza proporre niente di costruttivo.
Ho citato come esempio di contestatore senza costrutto Oliver Cromwell.
Sono un appassionato di storia inglese e non volevo buttare il discorso troppo in politica.
Ora, io vengo attaccato da due punti di vista.
Vengo attaccato come attivista di un partito, perché secondo i "profeti" dell'anti-politica i partiti sono il "male assoluto", quelli che hanno causato l'attuale situazione.
Vengo attaccato anche come attivista di un partito che, secondo certi ignoranti, viene visto come il "partito dei ricchi".
In poche parole, io vengo visto come il "complice di questo sistema marcio", l'"utile idiota di questo sistema marcio che non ha saputo darmi nemmeno il lavoro" (in poche parole, merito di essere disoccupato) e come "traditore dei poveri", perché non sono ricco ma sono un uomo dichiaratamente di destra e militante nel Popolo della Libertà, un partito "dei ricchi".
Chi mi conosce, sa che sono un cattolico conservatore, filo-israeliano, critico verso una certa visione dell'Europa laicista, anglofilo, contro l'egualitarismo (che ritengo nefasto) e, a "livello americano", filo-repubblicano.
Io sono un tory!
Non mi farebbe schifo nemmeno la monarchia, tanto che tra i miei personaggi preferiti (che mi hanno influenzato tanto) ci sono anche dei re, Carlo I Stuart in testa.
Ho chiesto al vescovo il consiglio che darebbe ai giovani, per non cadere nella rete dei populisti.
Lui ha risposto dicendo che i giovani non devono farsi irretire da internet e spersonalizzarsi ma devono cercare il confronto dal vivo.
Poi, durante il dibattito, il vescovo ha parlato della secolarizzazione.
Dal pubblico, io ho aggiunto che questo è un processo vecchio di secoli, un processo che incominciò con il Rinascimento (o meglio una sua visione particolare), l'avvento della Riforma protestante, l'Illuminismo, la Rivoluzione francese e la nascita delle ideologie come nazismo e comunismo.
L'uomo, in pratica, è diventato il dio di sé stesso.
Quando si afferma questo pensiero, ogni uomo punta a prevaricare sul suo prossimo.
Il meeting è terminato con la recita della preghiera del "Padre nostro" e di quella dell'"Ave Maria".
Quest'ultima è stata voluta dal vescovo, che ha poi stretto la mano a tutti.
A me questo meeting è piaciuto.
Un vescovo che viene qui a confrontarsi con i fedeli è sempre una bella cosa.
Questo dimostra l'attenzione della Chiesa verso i fedeli.
Termino con questo testo che mi è stato inoltrato dall'amico Giovanni Covino (SEFT) e che è intitolato "Benedetto XVI, Il mistero dell'Incarnazione":

"Cari fratelli e sorelle,

in questo tempo natalizio ci soffermiamo ancora una volta sul grande mistero di Dio che è sceso dal suo Cielo per entrare nella nostra carne. In Gesù, Dio si è incarnato, è diventato uomo come noi, e così ci ha aperto la strada verso il suo Cielo, verso la comunione piena con Lui.

In questi giorni, nelle nostre chiese è risuonato più volte il termine "Incarnazione" di Dio, per esprimere la realtà che celebriamo nel Santo Natale: il Figlio di Dio si è fatto uomo, come recitiamo nel Credo. Ma che cosa significa questa parola centrale per la fede cristiana? Incarnazione deriva dal latino "incarnatio".

Sant'Ignazio di Antiochia - fine del primo secolo - e, soprattutto, sant’Ireneo hanno usato questo termine riflettendo sul Prologo del Vangelo di san Giovanni, in particolare sull’espressione: "Il Verbo si fece carne" (Gv 1,14). Qui la parola "carne", secondo l'uso ebraico, indica l’uomo nella sua integralità, tutto l'uomo, ma proprio sotto l’aspetto della sua caducità e temporalità, della sua povertà e contingenza. Questo per dirci che la salvezza portata dal Dio fattosi carne in Gesù di Nazaret tocca l’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi. Dio ha assunto la condizione umana per sanarla da tutto ciò che la separa da Lui, per permetterci di chiamarlo, nel suo Figlio Unigenito, con il nome di "Abbà, Padre" ed essere veramente figli di Dio. Sant’Ireneo afferma: «Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio» (Adversus haereses, 3,19,1: PG 7,939; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 460).

"Il Verbo si fece carne" è una di quelle verità a cui ci siamo così abituati che quasi non ci colpisce più la grandezza dell’evento che essa esprime. Ed effettivamente in questo periodo natalizio, in cui tale espressione ritorna spesso nella liturgia, a volte si è più attenti agli aspetti esteriori, ai "colori" della festa, che al cuore della grande novità cristiana che celebriamo: qualcosa di assolutamente impensabile, che solo Dio poteva operare e in cui possiamo entrare solamente con la fede.

Il Logos, che è presso Dio, il Logos che è Dio, il Creatore del mondo, (cfr Gv 1,1), per il quale furono create tutte le cose (cfr 1,3), che ha accompagnato e accompagna gli uomini nella storia con la sua luce (cfr 1,4-5; 1,9), diventa uno tra gli altri, prende dimora in mezzo a noi, diventa uno di noi (cfr 1,14). Il Concilio Ecumenico Vaticano II afferma: «Il Figlio di Dio … ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Cost.Gaudium et spes, 22). E’ importante allora recuperare lo stupore di fronte a questo mistero, lasciarci avvolgere dalla grandezza di questo evento: Dio, il vero Dio, Creatore di tutto, ha percorso come uomo le nostre strade, entrando nel tempo dell’uomo, per comunicarci la sua stessa vita (cfr 1 Gv 1,1-4). E lo ha fatto non con lo splendore di un sovrano, che assoggetta con il suo potere il mondo, ma con l’umiltà di un bambino.

Vorrei sottolineare un secondo elemento. Nel Santo Natale di solito si scambia qualche dono con le persone più vicine. Talvolta può essere un gesto fatto per convenzione, ma generalmente esprime affetto, è un segno di amore e di stima.

Nella preghiera sulle offerte della Messa dell’aurora della Solennità di Natale la Chiesa prega così: «Accetta, o Padre, la nostra offerta in questa notte di luce, e per questo misterioso scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo Figlio, che ha innalzato l’uomo accanto a te nella gloria».

Il pensiero della donazione, quindi, è al centro della liturgia e richiama alla nostra coscienza l’originario dono del Natale: in quella notte santa Dio, facendosi carne, ha voluto farsi dono per gli uomini, ha dato se stesso per noi; Dio ha fatto del suo Figlio unico un dono per noi, ha assunto la nostra umanità per donarci la sua divinità. Questo è il grande dono. Anche nel nostro donare non è importante che un regalo sia costoso o meno; chi non riesce a donare un po’ di se stesso, dona sempre troppo poco; anzi, a volte si cerca proprio di sostituire il cuore e l’impegno di donazione di sé con il denaro, con cose materiali. Il mistero dell’Incarnazione sta ad indicare che Dio non ha fatto così: non ha donato qualcosa, ma ha donato se stesso nel suo Figlio Unigenito. Troviamo qui il modello del nostro donare, perché le nostre relazioni, specialmente quelle più importanti, siano guidate dalla gratuità dell'amore.

Vorrei offrire una terza riflessione: il fatto dell’Incarnazione, di Dio che si fa uomo come noi, ci mostra l’inaudito realismo dell’amore divino. L’agire di Dio, infatti, non si limita alle parole, anzi potremmo dire che Egli non si accontenta di parlare, ma si immerge nella nostra storia e assume su di sé la fatica e il peso della vita umana. Il Figlio di Dio si è fatto veramente uomo, è nato dalla Vergine Maria, in un tempo e in un luogo determinati, a Betlemme durante il regno dell’imperatore Augusto, sotto il governatore Quirino (cfr Lc 2,1-2); è cresciuto in una famiglia, ha avuto degli amici, ha formato un gruppo di discepoli, ha istruito gli Apostoli per continuare la sua missione, ha terminato il corso della sua vita terrena sulla croce. Questo modo di agire di Dio è un forte stimolo ad interrogarci sul realismo della nostra fede, che non deve essere limitata alla sfera del sentimento, delle emozioni, ma deve entrare nel concreto della nostra esistenza, deve toccare cioè la nostra vita di ogni giorno e orientarla anche in modo pratico. Dio non si è fermato alle parole, ma ci ha indicato come vivere, condividendo la nostra stessa esperienza, fuorché nel peccato. Il Catechismo di san Pio X, che alcuni di noi hanno studiato da ragazzi, con la sua essenzialità, alla domanda: «Per vivere secondo Dio, che cosa dobbiamo fare?», dà questa risposta: «Per vivere secondo Dio dobbiamo credere le verità rivelate da Lui e osservare i suoi comandamenti con l'aiuto della sua grazia, che si ottiene mediante i sacramenti e l'orazione». La fede ha un aspetto fondamentale che interessa non solo la mente e il cuore, ma tutta la nostra vita.

Un ultimo elemento propongo alla vostra riflessione. San Giovanni afferma che il Verbo, il Logos era fin dal principio presso Dio, e che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo e nulla di ciò che esiste è stato fatto senza di Lui (cfr Gv 1,1-3). L’Evangelista allude chiaramente al racconto della creazione che si trova nei primi capitoli del Libro della Genesi, e lo rilegge alla luce di Cristo. Questo è un criterio fondamentale nella lettura cristiana della Bibbia: l’Antico e il Nuovo Testamento vanno sempre letti insieme e a partire dal Nuovo si dischiude il senso più profondo anche dell’Antico. Quello stesso Verbo, che esiste da sempre presso Dio, che è Dio Egli stesso e per mezzo del quale e in vista del quale tutto è stato creato (cfr Col 1,16-17), si è fatto uomo: il Dio eterno e infinito si è immerso nella finitezza umana, nella sua creatura, per ricondurre l’uomo e l’intera creazione a Lui. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «La prima creazione trova il suo senso e il suo vertice nella nuova creazione in Cristo, il cui splendore supera quello della prima» (n. 349). I Padri della Chiesa hanno accostato Gesù ad Adamo, tanto da definirlo «secondo Adamo» o l’Adamo definitivo, l’immagine perfetta di Dio. Con l’Incarnazione del Figlio di Dio avviene una nuova creazione, che dona la risposta completa alla domanda «Chi è l’uomo?». Solo in Gesù si manifesta compiutamente il progetto di Dio sull’essere umano: Egli è l’uomo definitivo secondo Dio. Il Concilio Vaticano II lo ribadisce con forza: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo... Cristo, nuovo Adamo, manifesta pienamente l’uomo all’uomo e gli svela la sua altissima vocazione» (Cost. Gaudium et spes, 22; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 359). In quel bambino, il Figlio di Dio contemplato nel Natale, possiamo riconoscere il vero volto, non solo di Dio, ma il vero volto dell’essere umano; e solo aprendoci all’azione della sua grazia e cercando ogni giorno di seguirlo, noi realizziamo il progetto di Dio su di noi, su ciascuno di noi.

Cari amici, in questo periodo meditiamo la grande e meravigliosa ricchezza del Mistero dell’Incarnazione, per lasciare che il Signore ci illumini e ci trasformi sempre più a immagine del suo Figlio fatto uomo per noi
.".

Termino con un avviso ai naviganti.
Chi mi segue da Facebook può avere dei problemi ad aprire questo mio blog.
Qualcuno mi ha segnalato come spammer.
Evidentemente, qualcuno vuole silenziarmi, viste le mie prese di posizione in politica. 
Io sono una persona corretta e non ho mai fatto certe cose.
Anche questo è un segno preoccupante del nostro tempo.
Ab omni malo, libera nos, Domine!
Cordiali saluti. 






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Il peggio della politica continua ad essere presente

Ringrazio un caro amico di questa foto.