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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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sabato 8 ottobre 2011

LA SOCIETA' E IL SACRO, COMMENTO AL TESTO DI ROBERTO DE MATTEI "LA SOCIETA' TRADIZIONALE" E DELLE IDEE DI GILBERT KEITH CHESTERTON

Cari amici ed amiche.

L'amico Filippo Giorgianni mi ha segnalato questo testo di Roberto De Mattei che è intitolato "Lineamenti di una società tradizionale", in Idem (a cura di), "La società tradizionale".
Questo testo recita:

"«Società tradizionale è ogni società fondata sul primato della Contemplazione, o del Sacro, o del Metafisico. In essa l’uomo ha due ordini di rapporti. Un primo con il Principio che lo trascende, ed è un rapporto metafisico, e quindi verticale, perché presuppone il salto qualitativo tra Creatore e creatura. Esso determina il posto dell’Uomo nell’Universo. Un secondo con tutti gli altri uomini, ed è un rapporto sociale, e quindi orizzontale, perché presuppone la eguaglianza metafisica tra le creature. Esso determina il posto dell’uomo nella società. E come ciò che è imperfetto deve riflettere ciò che è perfetto, come l’opera dell’uomo deve imitare l’opera di Dio, così l’orizzontale deve modellarsi sul verticale, l’ordine sociale deve rispecchiare l’ordine cosmico. Da Dio, Primo Principio, l’Universo prende forma e armonia: “… le cose tutte quante / hanno ordine fra loro, e questa è forma / che l’Universo a Dio fa somigliante”[1]. Su un principio, dunque, e su un ordine, si fonda l’Universo. Un principio, cioè un centro, un’unità, una totalità, che presuppone una molteplicità (“È simulacro della invisibile Sapienza la varietà delle cose create…”[2]) così come il tutto presuppone le parti: “L’ordine delle parti sta all’ordine del tutto come la parte sta al tutto: il tutto è rispetto alla parte fine e perfezione: quindi l’ordine delle parti è rispetto all’ordine del tutto fine e perfezione”[3]. Un ordine, come un’armonica disposizione del molteplice attorno all’uno, di ogni cosa attorno al suo Principio: “L’ordine è la disposizione che secondo la parità o la disparità delle cose assegna a ogni cosa il suo posto”[4]. “In questo si compie la bellezza dell’Universo, nel fatto che non in uno stesso ed unico modo tutte le cose, ma ognuna secondo un proprio ordine e grado, in modo diverso sono chiamate alla comunione della divina bontà”[5]. Analogamente, su un principio e su un ordine si fonda ogni società tradizionale. Un principio che è lo stesso principio divino che spiega l’Universo, un ordine che per essere riferito a questo principio non è solo un ordine sociale, ma è un ordine sacro, una gerarchia. E, poiché “solo è perfetto ciò che è conforme all’intenzione del primo agente che è Dio”[6], il rispetto della gerarchia nella società è anche il rispetto del piano divino riguardo alla maniera d’essere di tutto il Creato. È alla gerarchia che deve tendere l’uomo se vuole essere veramente se stesso, se vuole, rispettando la sua natura, fare la volontà divina: “Ogni natura, infatti, ama se stessa, e la concordia di cose molteplici e dissimili ricondotte ad un unico scopo produce in modo mirabile una sola universale armonia”[7]. In questo è la vera “nobiltà” dell’uomo: “Nobilitade s’intende perfezione di propria natura in ciascuna cosa”[8]. Il paragone classico delle membra esprime, del resto, come solo perfezionando la natura, che gli è propria, l’uomo possa realizzare sé stesso e adempiere il piano divino sull’Universo: “Ciascuno di voi, o fratelli, nel proprio posto, cerchi di piacere a Dio con retta coscienza e gravità, senza trasgredire la regola stabilita per il suo ufficio […]. I grandi non possono stare senza i piccoli né i piccoli senza i grandi: vi è in ogni cosa una certa mescolanza e in ciò risiede la sua utilità. Prendiamo come esempio il nostro corpo: la testa senza i piedi è nulla; e così pure i piedi senza la testa: anche le più piccole membra del nostro corpo sono necessarie a tutto il corpo: anzi, tutte cospirano alla salute dell’intero corpo, assoggettandosi a una unica subordinazione”[9]. A questo modo ogni società tradizionale importa la diversità tra uomo e uomo. È la necessaria diversità tra ogni cosa finita e la misura della diversità del finito è data dal suo rapporto con il Principio permanente, con l’Essere. Ma realizza anche la vera eguaglianza che deriva dalla comune condizione umana di creature dalla presenza in ogni uomo dell’Essere. Ogni società tradizionale realizza, inoltre, la vera fraternità, che è il legame che stringe tutti gli uomini rispetto alla comune paternità divina. Questo legame di fraternità unisce tutta l’umanità creata, non soltanto i vivi, ma i morti e coloro che nasceranno, il passato e l’avvenire; è il rapporto degli uomini con tutti gli altri uomini, con il proprio sangue, in una parola con il proprio destino. Ogni società tradizionale realizza, infine, la vera libertà. La libertà assoluta, come l’assoluta verità, è solo di Dio. All’uomo, creatura imperfetta e finita, è dato aspirare solo a una libertà parziale, che sarà tanto maggiore quanto più vicino l’uomo sarà alla verità, cioè a Dio. Questa libertà, che è l’autentica libertà, è stata definita dai Padri della Chiesa come Libertas maior. Come Libertas minor è stato invece definito il libero arbitrio, la facoltà di scegliere o rifiutare la verità. La libertà cioè di essere liberi. Solo infatti quando l’uomo usi di questa facoltà per scegliere la verità realizza la sua libertà. Non esistono epoche o società che possono soffocare o modificare la Libertas minor, inerente come essa è alla condizione umana. Esistono bensì epoche o società che possono rendere più o meno facile la scelta della Libertas maior, della verità. Ogni società tradizionale, dunque, in quanto fondata sulla verità, è l’unica realmente fondata sulla libertà e si può a ragione contrapporre alle società oppressive, sia che esse indirizzino l’uomo verso pseudo-verità, sia che esse, proclamandosi agnostiche, neghino l’esistenza stessa di una verità. Attorno a questa verità data, che è una verità metafisica, espressa generalmente da un testo sacro rivelato, si aggrega ordinatamente il corpo sociale. Alcuni sono chiamati a garantirla, a conservarla, a trasmetterla. Essi rinunciano ai legami materiali con il mondo (famiglia e patrimonio in primo luogo […]) e tessono, attraverso il Rito e la preghiera, i legami con l’invisibile. In quanto custodi del Depositum Fidei detengono l’Autorità spirituale. Altri uomini consacrano le loro forze alla difesa della comunità dai nemici interni (giudici) ed esterni (guerrieri) e rendono così possibile la celebrazione del Culto. Essi vivono nel mondo, e dunque nel tempo e nella storia. Attraverso la famiglia e la proprietà propagano nel tempo e nella storia la loro razza e il loro sangue. Ad essi è attribuito il potere temporale. Altri uomini, infine, provvedono con la loro fatica alla sopravvivenza materiale della comunità. “Coloro che esercitano gli uffici più bassi sono chiamati piedi, per il cui servigio le membra camminano sulla terra”[10]. Il lavoro è per essi la via verso l’Assoluto. Cadono le moderne distinzioni tra artigiano e artista, tra arte e mestiere. La parola greca tecne esprime l’arte e il mestiere, così come la parola latina artifex indica a un tempo l’artista e l’artigiano. L’artifex non inventa né crea, ma conosce, e la bellezza della sua opera è data dalla misura della sua conoscenza, ciò che rende proporzionali bellezza e verità. […] Di questa communitas il Re è guida ed esempio (“È veramente re colui che sa reggere sub divino nutu sé stesso ed i suoi pensieri, le sue parole, i suoi atti…”[11]) in un cammino di cui i sacerdoti vanno incessantemente tracciando la rotta: la via del Sacro. Questa strada della comunità civile verso il Sacro, che è la strada dell’uomo verso Dio, per l’imperfezione stessa dell’uomo, non può tuttavia essere pienamente compiuta. La società tradizionale non potrà dunque realizzare mai completamente il suo modello metastorico: “Esso è fissato nei cieli per chiunque voglia vederlo e, avendolo visto, conformarvisi in sé stesso. Ma che esista in qualche luogo e abbia mai ad esistere è cosa priva di importanza: perché questo è il solo Stato nella politica di cui egli possa mai considerarsi parte”[12]. Alla moderna società non va quindi contrapposta una società tradizionale storica, ma l’archetipo metastorico cui questa società tese. Una società sarà, in tal modo, definita tradizionale a misura che si conformi al modello, a misura cioè che riconosca o rinneghi la verità. La verità non è infatti prodotto dei tempi e delle società, ma è metro di giudizio di esse. E come in ogni uomo è presente la verità e, accanto, la possibilità di tendere o di allontanarsi da essa, così nelle società è sempre presente la possibilità di avvicinarsi o discostarsi dalla verità. E anche nei tempi in cui la Rivoluzione dilaga […], come sempre è presente per ogni uomo la possibilità della conversione, così sempre è presente per ogni società la possibilità della Restaurazione.»"

L'amico Angelo Fazio, invece, mi ha segnalato questo testo del blog "Chesterton road" che recita:

"Colpisce la riluttanza a riconoscere l’esatta serietà della situazione al di là di strumentalizzazioni e partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando l’impressione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica, specialmente in tempi di austerità. Rattrista il deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonché la reciproca, sistematica denigrazione, poiché così è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento anche politico. Mortifica soprattutto dover prendere atto di comportamenti non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui. Non è la prima volta che ci occorre di annotarlo: chiunque sceglie la militanza politica, deve essere consapevole «della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda» (Prolusione al Consiglio Permanente del 21-24 settembre 2009 e del 24-27 gennaio 2011). Si rincorrono, con mesta sollecitudine, racconti che, se comprovati, a livelli diversi rilevano stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica. Da più parti, nelle ultime settimane, si sono elevate voci che invocavano nostri pronunciamenti. Forse che davvero è mancata in questi anni la voce responsabile del Magistero ecclesiale che chiedeva e chiede orizzonti di vita buona, libera dal pansessualismo e dal relativismo amorale? Annotava giorni fa il professor Franco Casavola, Presidente emerito della Corte Costituzionale: «L’unica voce che denuncia i guasti della società della politica è quella della Chiesa cattolica» (Corriere della sera, 20 settembre 2011).
Tornando allo scenario generale, è l’esibizione talora a colpire. Come colpisce l’ingente mole di strumenti di indagine messa in campo su questi versanti, quando altri restano disattesi e indisturbati. E colpisce la dovizia delle cronache a ciò dedicate. Nessun equivoco tuttavia può qui annidarsi. La responsabilità morale ha una gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalle strumentalizzazioni che pur non mancano. I comportamenti licenziosi e le relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a prescindere dalla loro notorietà. Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino comune. Tanto più ciò è destinato ad accadere in una società mediatizzata, in cui lo svelamento del torbido, oltre a essere compito di vigilanza, diventa contagioso ed è motore di mercato. Da una situazione abnorme se ne generano altre, e l’equilibrio generale ne risente in maniera progressiva. È nota la difficoltà a innescare la marcia di uno sviluppo che riduca la mancanza di lavoro, ed è noto il peso che i provvedimenti economici hanno caricato sulle famiglie; non si può, rispetto a queste dinamiche, assecondare scelte dissipatorie e banalizzanti. La collettività guarda con sgomento gli attori della scena pubblica e l’immagine del Paese all’esterno ne viene pericolosamente fiaccata. Quando le congiunture si rivelano oggettivamente gravi, e sono rese ancor più complicate da dinamiche e rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene generale, allora non ci sono né vincitori né vinti: ognuno è chiamato a comportamenti responsabili e nobili. La storia ne darà atto.
Solo comportamenti congrui ed esemplari, infatti, commisurati alla durezza della situazione, hanno titolo per convincere a desistere dal pericoloso gioco dei veti e degli egoismi incrociati.

La questione morale, complessivamente intesa, non è un’invenzione mediatica: nella dimensione politica, come in ciascun altro ambito privato o pubblico, essa è un’evenienza grave, che ha in sé un appello urgente. Non è una debolezza esclusiva di una parte soltanto e non riguarda semplicemente i singoli, ma gruppi, strutture, ordinamenti, a proposito dei quali è necessario che ciascuna istituzione rispetti rigorosamente i propri ambiti di competenza e di azione, anche nell’esercizio del reciproco controllo. Nessuno può negare la generosa dedizione e la limpida rettitudine di molti che operano nella gestione della cosa pubblica, come pure dell’economia, della finanza e dell’impresa: a costoro vanno rinnovati stima e convinto incoraggiamento. Si noti tuttavia che la questione morale, quando intacca la politica, ha innegabili incidenze culturali ed educative. Contribuisce, di fatto, a propagare la cultura di un’esistenza facile e gaudente, quando questa dovrebbe lasciare il passo alla cultura della serietà e del sacrificio, fondamentale per imparare a prendere responsabilmente la vita. Ecco perché si tratta non solo di fare in maniera diversa, ma di pensare diversamente: c’è da purificare l’aria, perché le nuove generazioni – crescendo – non restino avvelenate. Chi rientra oggi nella classe dirigente del Paese deve sapere che ha doveri specifici di trasparenza ed economicità: se non altro, per rispettare i cittadini e non umiliare i poveri. Specie in situazioni come quella attuale, ci è d’obbligo richiamare il principio prevalente dell’equità che va assunto con rigore e applicato senza sconti, rendendo meno insopportabili gli aggiustamenti più austeri. È sull’impegno a combattere la corruzione, piovra inesausta dai tentacoli mobilissimi, che la politica oggi è chiamata a severo esame. L’improprio sfruttamento della funzione pubblica è grave per le scelte a cascata che esso determina e per i legami che possono pesare anche a distanza di tempo. Non si capisce quale legittimazione possano avere in un consorzio democratico i comitati di affari che, non previsti dall’ordinamento, si auto-impongono attraverso il reticolo clientelare, andando a intasare la vita pubblica con remunerazioni – in genere – tutt’altro che popolari. E pur tuttavia il loro maggior costo sta nella capziosità dei condizionamenti, nell’intermediazione appaltistica, nei suggerimenti interessati di nomine e promozioni. Al punto in cui siamo, è essenziale drenare tutte le risorse disponibili – intellettuali, economiche e di tempo – convogliandole verso l’utilità comune. Solo per questa via si può salvare dal discredito generalizzato il sistema della rappresentanza, il quale deve dotarsi di anticorpi adeguati, cominciando a riconoscere ai cittadini la titolarità loro dovuta.
Dalla prolusione del card. Bagnasco alla Conferenza Episcopale Italiana di Roma, 26 settembre 2011. ".

Innanzitutto, faccio i complimenti a questi due ragazzi. Angelo e Filippo hanno degli ottimi interessi e fa piacere vedere che questi due ragazzi che hanno rispettivamente 25 e 24 anni siano interessati di temi così importanti. Ce ne sono altri come loro e cito Stefania Ragaglia, Riccardo Di Giuseppe, Irene Bertoglio, Vittorio Leo, Francesca Padovese, Morris Sonnino, Ivan Vassallo ed altri. Tra questi ultimi, cito il blogger che gestisce il blog, "La Croce e la Spada". Pensate è un ragazzo 22 anni ma, da quello che scrive, sembra uno di 30.
Addirittura, Irene Bertoglio ha pubblicato un libro intitolato "Alla ricerca dei veri maestri. Contro il Vangelo del progressista", con prefazione dell'onorevole Daniela Santanchè.
Sarebbe interessante leggerlo.
Giorgianni collabora con il giornale cattolico "Cultura & Identità".
Angelo Fazio, invece, ha fatto una scelta di vita molto coraggiosa ed ammirevole di diventare laico votato al celibato ed estimatore dell'austerità.
Sono tutti ragazzi in gamba. E' già un piacere averli come interlocutori su Facebook, figuriamoci come sarebbe averli come amici.
Questo dimostra che i giovani seri ci sono.
Ora, commento il testo.
Questi due testi hanno molto in comune.
Infatti, essi denunciano quelle che sono le derive della società attuale.
La società attuale ha perso completamente quella che è la dimensione del sacro ed ha acquisito un forte materialismo.
Di sicuro, quelle idee che parlano di "rivoluzioni" hanno portato ciò.
La rivoluzione, infatti, è la gnosi e la gnosi è il volto presentabile del satanismo.
Molto spesso, bisogna guardare dietro le parole.
Ad esempio, chi parla di rivoluzioni usa espressioni come "vita migliore", "pace", "libertà" ed altro.
In realtà, egli punta a rovesciare un sistema e a crearne un altro con gli stessi vizi di quello precedente, a cui si aggiungono le storture delle sue idee.
Molto spesso, dietro le parole nobili come "libertà" e "giustizia", il rivoluzionario nasconde quello che è un culto di sé stessi.
Il vero satanismo non è tanto la messa nera (che, intendiamoci, è già un fatto grave perché dissacra i nostri sacri riti e le nostre preghiere) ma è l'elevazione di sé stessi a dei.
Infatti, come Lucifero peccò di superbia perché volle ergere sé stesso a Dio così l'uomo che si erge a "dio di sé stesso" si comporta come quell'angelo ribelle.
E' questo il vero satanismo.
Il caso della Rivoluzione francese del 1789 fu esemplare. Infatti, non ci furono solo la dissacrazione dei riti cattolici e la persecuzione contro la Chiesa operate nel periodo del Terrore giacobino. Si fece strada anche quell'idea in cui l'uomo potesse fare ogni cosa da egli voluta.
Lo stesso principio venne ribadito dai movimenti del '68, il cui cemento ideologico fu il comunismo, un'idea che già tende ad ergere l'uomo a "dio di sé stesso" , dicendo che la Chiesa opera a favore degli sfruttatori poiché la religione che essa rappresenta dà una falsa speranza di una migliore vita nell'Aldilà distraendo l'uomo dai problemi terreni.
Queste parole (che sono di Karl Marx) potrebbero essere messe in bocca a Satana quando tentò Gesù.
Rileggete i passi dei Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca) in cui si parla delle tentazioni di Gesù.
Le parole dette da Satana in quei passi dei Vangeli hanno molto in comune con le idee di Karl Marx.
Le parole Satana e Marx esaltano la cultura materialista, dal potere politico al semplice bisogno di nutrire il proprio corpo, fino alla negazione di Dio.
Purtroppo, certe idee si sono fatte strada nella nostra società, tramite certi circoli intellettuali, certe scuole pubbliche e certi mass media.
Diciamo pure che si è passati da una "rivoluzione delle armi" ad una "rivoluzione dei libri, delle parole e dei computers".
Questo tipo di rivoluzione è molto più pericolosa perché ha già fatto presa in tanti settori della nostra società.
Bisogna tornare ai giusti valori, altrimenti finiamo male.
Forse, come disse il patron della Apple Steve Jobs (che di recente è deceduto), noi giovani dovremmo essere folli, per migliorare il futuro.
Essere folli oggi, però, è essere per la difesa di quei valori veri che in questa società sono bistrattati ed irrisi. Chi è capace di capire...capisca.
Cordiali saluti.

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Ringrazio l'amico Morris Sonnino di questo screemshot de "Il Corriere della Sera".