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sabato 9 novembre 2013

Petizione: la "Legge Severino" non sia retroattiva!

Cari amici ed amiche.

Leggete questo testo:


"Al presidente del Parlamento europeo
Al presidente della Commissione europea
Al presidente del Consiglio dei ministri dell’Unione europea
Al Segretario generale dell’Onu
Al Segretario generale del Consiglio d’Europa

PETIZIONE

Noi sottoscritti cittadini europei, in virtù dell'articolo 227 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, e gli articoli 201 (Diritto di petizione), 202 (Esame delle petizioni) e 203 (Pubblicità delle petizioni), del regolamento di procedura del Parlamento europeo, presentano alla Commissione per le Petizioni la presente Petizione Collettiva, designando quale loro rappresentante, ai sensi dell’art. 201, 3.del regolamento il sig.avv. Antonio Galantino.

Premesso che

1. Il d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, recante Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’art. 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. “Decreto Severino”), adottato in attuazione della l. 6 novembre 2012, n. 190, recante Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, contiene nuove norme in materia di incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali;

2. L’art. 1 del Decreto Severino prevede la nuova fattispecie della “incandidabilità” come effetto automatico che si produce ex lege nei confronti di tre categorie di condannati, ovvero: a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale (ovvero, rispettivamente, delitti di stampo mafioso e con finalità di terrorismo); b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale (ovvero delitti contro la pubblica amministrazione); c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni; 


 3. L’art. 3 del Decreto Severino prevede che, qualora una causa di incandidabilità di cui all’art. 1 sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza “delibera ai sensi dell’art. 66 della Costituzione” e che, a tal fine, le sentenze definitive di condanna di cui all’art. 1, emesse nei confronti di deputati o senatori in carica, sono immediatamente comunicate, a cura del pubblico ministero presso il giudice indicato nell’art. 665 c.p.p., alla Camera di rispettiva appartenenza;

4. L’art. 4 del Decreto Severino stabilisce, inoltre, che non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di membro del Parlamento europeo spettante all’Italia coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità stabilite dall’art. 1. L’art. 5 dello stesso Decreto prevede che l’accertamento della condizioni di incandidabilità alle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia comporta la cancellazione dalla lista dei candidati (comma 1) e che qualora la condizione di incandidabilità sopravvenga o sia accertata in epoca successiva alla data di proclamazione, la condizione stessa viene rilevata dall’ufficio elettorale nazionale, ai fini della relativa deliberazione di decadenza dalla carica, che deve essere comunicata immediatamente alla segreteria del Parlamento europeo (comma 5);


5. L’art. 11 del Decreto prevede che l’incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna per i delitti indicati all’art. 1, decorra dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed abbia effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice penale, ma in ogni caso non inferiore a sei anni;


6. L’art. 6 della Direttiva 93/109/CE del Consiglio, del 6 dicembre 1993, relativa alle modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dell’Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini, stabilisce che ogni cittadino dell’Unione che risiede in uno Stato membro senza averne la cittadinanza e che, per effetto di una decisione individuale in materia civile o penale, è decaduto dal diritto di eleggibilità in forza del diritto dello Stato membro d’origine è escluso dall’esercizio di tale diritto nello Stato membro di residenza in occasione delle elezioni al Parlamento europeo; 

7. Le autorità giudiziarie italiane e la Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato della Repubblica italiana ritengono che le disposizioni del Decreto Severino debbano applicarsi anche le condanne di cui all’art. 1 relative a reati commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso Decreto (5 gennaio 2013). In particolare, con riferimento alla posizione dell’On. Silvio Berlusconi, il quale ricopre attualmente la carica di senatore presso il Senato della Repubblica, la Giunta ha approvato in data 4 ottobre 2013 la proposta di decadenza dell’interessato per sopravvenuta incandidabilità a seguito di sentenza definitiva, resa in data 1-29 agosto 2013, per un reato che si sarebbe consumato nel 2004;
8. Per effetto dell’applicazione retroattiva delle nuove norme in tema di incandidabilità e decadenza dal mandato parlamentare, chiunque sia condannato in Italia per fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore di tali disposizioni si vedrebbe oggi colpito dalla sanzione dell’incandidabilità per un periodo minimo di sei anni e dalla conseguente decadenza dalla carica di parlamentare nazionale o europeo eventualmente già acquisita per effetto di regolari consultazioni elettorali;
si rappresenta che
1. Ai sensi dell’art. 6, comma 1, del Trattato sull’Unione europea (TUE), così come modificato dal Trattato di Lisbona in vigore dal 1° dicembre 2009, l’Unione “riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. Inoltre, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, “[i] diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”;
2. Ai sensi dell’art. 20, comma 2, lett. b), TFUE, i cittadini dell’Unione europea hanno “il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato”, da esercitarsi “secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi”. L’art. 22 TFUE stabilisce, invece, che fatte salve le disposizioni di cui all’art. 223, comma 1, e le disposizioni adottate in applicazione di quest’ultimo, “ogni cittadino dell’Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato”; 

3. L’art. 223, comma 1, TFUE prevede che il Parlamento europeo “elabora un progetto volto a stabilire le disposizioni necessarie per permettere l’elezione dei suoi membri a suffragio universale diretto, secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati membri o secondo principi comuni a tutti gli Stati membri”;
4. Dal canto suo, l’art. 39 della Carta dei diritti fondamentali stabilisce che “[o]gni cittadino dell’Unione europea ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato”. L’art. 49, comma 1, della Carta stabilisce che nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale e, soprattutto, che “non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”. L’art. 49, comma 3, della Carta, stabilisce inoltre che le pene inflitte “non devono essere sproporzionate rispetto al reato”. Infine, l’art. 21 della Carta sancisce che è vietata qualsiasi discriminazione. Tali garanzie corrispondono in larga misura a quelle previste dagli artt. 7 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), nonché dall’art. 3 del Protocollo n. 1 alla CEDU;
5. Allo stato attuale non esiste una disciplina europea uniforme in materia di cause di ineleggibilità e/o incandidabilità al Parlamento europeo, sicché ogni Stato è libero di provvedere al riguardo con il solo limite costituito dal requisito della cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione europea. Di conseguenza, ove si verifichi una causa di ineleggibilità/incandidabilità che, in base alla legislazione nazionale, comporti la decadenza dal seggio di parlamentare europeo, il Parlamento europeo si dovrebbe limitare a “prendere atto” delle decisioni assunte al riguardo dalle competenti autorità nazionali; 

6. E’ evidente che l’applicazione retroattiva delle nuove disposizioni in tema di incandidabilità e decadenza introdotte dal citato d.lgs. n. 235/2012 in relazione a condanne per reati commessi anteriormente alla loro entrata in vigore non è compatibile con il rispetto del principio di irretroattività delle sanzioni penali, del diritto di elettorato passivo e del divieto di discriminazione, quali sono garantiti dagli artt. 21, 39 e 49 della Carta, nonché dai principi generali del diritto dell’Unione europea quali risultano dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri;
7. In particolare, per quanto riguarda il divieto di applicazione retroattiva delle sanzioni penali più gravi di quelle previste al momento della commissione del fatto, tale divieto deve ritenersi pienamente operante in relazione all’incandidabilità prevista dal Decreto Severino (ed alla conseguente declaratoria di decadenza dal mandato parlamentare nel caso di sopravvenuta incandidabilità), giacché tale misura costituisce senza dubbio una “sanzione” avente natura “penale” in ragione del modo in cui essa è disciplinata dal diritto interno, della sua natura e della sua gravità;
8. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha già avuto modo di affermare la natura sanzionatoria penale dell’incandidabilità e della decadenza dal mandato parlamentare previste dal diritto interno, ritenendo applicabili le garanzie in materia penale sancite dalla CEDU (cfr., ad esempio, Matyjek c. Polonia, decisione del 30 maggio 2006, ricorso n. 38184/03, §§ 55-56);
9. La stessa Corte di appello di Milano ha recentemente riconosciuto e confermato la natura sanzionatoria dell’incandidabilità regolata dal Decreto Severino (cfr. sentenza 29 ottobre 2013, n. 6405/13), ma non ha ritenuto di dover sollevare la questione di legittimità costituzionale delle relative disposizioni né la questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea per contrasto con il divieto di retroattività;
10. Le misure limitative del diritto di elettorato passivo e del diritto del corpo elettorale al rispetto delle proprie scelte conseguenti all’applicazione del Decreto Severino risultano, inoltre, palesemente discriminatorie, in quanto, per un verso, comportano un trattamento meno favorevole di alcuni soggetti rispetto a quello applicabile ad altri soggetti che versano in condizioni analoghe e, per altro verso, riservano a tali soggetti un trattamento uguale a quello previsto per altri soggetti che versano in condizioni significativamente diverse; 


11. In particolare, l’incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, sancita dall’art. 4 del d.lgs. n. 235/2012, non opera uniformemente nei confronti di tutti i titolari del diritto di elettorato passivo, secondo quanto stabilito dagli artt. 22 e 23 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e dall’art. 39 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, atteso che le cause di incandidabilità ivi previste non possono trovare applicazione per coloro che (siano essi cittadini italiani o cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea residenti in Italia) abbiano riportato all’estero condanne definitive per reati analoghi o a pene superiori ai due anni;
12. Inoltre, la durata dell’incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo è pari ad almeno sei anni, indipendentemente dall’entità della pena irrogata dal giudice penale, sicché alcuni soggetti si vedrebbero trattati – dal punto di vista delle restrizioni dei diritti di elettorato passivo – allo stesso modo di altri soggetti che hanno commesso reati e riportato sanzioni molto più gravi, senza che ciò abbia alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole;
***
Alla luce di quanto precede, e tenuto conto dell’approssimarsi delle consultazioni elettorali per il rinnovo del Parlamento europeo, si chiede che la Commissione per le petizioni del Parlamento europeo voglia, con urgenza,

a) avviare un’indagine sulla conformità delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 235/2012 con il diritto dell’Unione europea, e segnatamente con le norme dei trattati e della Carta dei diritti fondamentali relative al diritto di elettorato passivo al Parlamento europeo e al divieto di retroattività delle sanzioni penali più gravi;
b) chiedere alla Commissione europea di avviare un’indagine preliminare;
c) effettuare un sopralluogo informativo in Italia ed elaborare una relazione contenente le proprie osservazioni e raccomandazioni, da sottoporre al Parlamento per la votazione;
d) compiere qualsiasi altra iniziativa giudicata opportuna per risolvere il problema segnalato nella presente petizione. " .

Questo è il testo della petizione che è stata fatta agli organi internazionali contro l'interpretazione arbitraria della "Legge Severino".
Per firmarla, seguite il link http://firmiamo.it/no-all-interpretazione-retroattiva-della-legge-severino.
La petizione è stata segnalata anche dal sito "ForzaSilvio.it".
La nostra Costituzione non prevede la retroattività di una legge ma prevede che un determinato reato possa essere sanzionato solo quando la legge con la sanziona è in vigore.
Questo principio è sacrosanto.
Se non fosse così, si potrebbe punire anche una persona che ha commesso parecchi anni prima.
Ciò sarebbe degno di regimi come quello comunista e quello nazista.
Invece, in democrazia i reati si puniscono quando le leggi che li sanzionano ci sono.
Il caso del presidente Berlusconi è eclatante.
Lui è stato punito per un reato che pare sia stato commesso prima dell'entrata in vigore della "Legge Severino" e che (tra l'altro) potrebbe non avere commesso.
Questo viola quel principio costituzionale di cui ho parlato e denota un palese pericolo per la democrazia in Italia.
Cordiali saluti.

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Ringrazio un caro amico di questa foto.