The Liberty Bell of Italy, una voce per chi difende la libertà...dalla politica alla cultura...come i nostri amici americani, i quali ebbero occasione di udire la celebre campana di Philadelphia nel 1776, quando fu letta la celeberrima Dichiarazione di Indipendenza. Questa è una voce per chi crede nei migliori valori della nostra cultura.
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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino
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domenica 8 gennaio 2012
IL PROTESTANTESIMO E LE IDEOLOGIE ATTUALI
Cari amici ed amiche.
Inizio con questa citazione dell'amico Filippo Giorgianni, che recita:
" "
e la nota redatta dallo stesso, che riporta un testo di Mauro Ronco che è intitolato "Io, figlio di una grande famiglia. La mia madrepatria" e che recita:
"«In una conferenza pronunciata a Parigi il 25 maggio 1888 il teologo russo Vladimir S. Solov’ëv (1853-1900), rispondendo alla domanda sul mistero che si celava nell’immenso impero russo, diceva: “Cercheremo la risposta nelle verità elementari della religione. Infatti l’idea di una nazione non è ciò che essa pensa di sé stessa nel tempo, bensì ciò che Dio pensa di essa nell’eternità”. La patria non è comprensibile compiutamente alla luce del suo divenire storico. Ogni patria, come ciascun individuo, ha una vocazione, cioè un compito da svolgere nel concerto universale dell’umanità. Tenendo conto di questa misteriosa dimensione trascendentale, è possibile cogliere qualcosa del senso delle parole “patria” e “nazione” partendo dal loro significato semantico, che riprendo dal magistrale Siete virtudes olvidadas del teologo gesuita argentino Alfredo Sáenz. “Patria” deriva da patres e fa riferimento al proprio Paese come a un qualcosa che viene dato, come a una eredità; qui lo sguardo rivolto al passato. “Nazione” deriva invece da natus e fa riferimento ai figli, cioè agli eredi; qui lo sguardo è rivolto al futuro. La patria è una eredità, la nazione è un compito. Diceva bene il filosofo russo Nicolaj A. Berdjaev (1874-1948) che la nazione è una unità di persone che hanno un destino storico comune. Il passato e il futuro s’incontrano così nell’adesione presente alla patria e alla nazione. Secondo Papa Giovanni Paolo II (1920-2005), “la Nazione è una sintesi particolare di fede e cultura”. Riferendosi alla Polonia, quando ancora era arcivescovo di Cracovia, il pontefice affermò: “Non dobbiamo staccarci dal nostro passato. Non lasciamo che esso ci sia strappato dall’anima. Questo è il contenuto della nostra identità di oggi. Vogliamo che i nostri giovani conoscano tutta la verità sulla storia della nazione, vogliamo che l’eredità della cultura polacca, senza alcuna deviazione, sia trasmessa sempre alle future generazioni. Una nazione vive della verità circa sé stessa, ha diritto alla verità su sé stessa e, soprattutto, ha diritto di attendere ciò da coloro che hanno compiti educativi”. Non è cioè possibile costruire il futuro, aggiunse in quell’occasione il Papa, “se non con questo fondamento. [...] Per questa ragione noi, in questo luogo, alziamo una preghiera per il futuro della nostra Patria, poiché noi la amiamo. Ella è il nostro grande amore”. I concetti di “patria” e di “nazione” sono dunque dinamici, giacché richiamano il passato e additano i compiti per il futuro. E sono dotati d’intenso valore affettivo ed emotivo perché riguardano l’uomo nelle più profonde sfere dell’anima, ricordandogli le sue radici negli antenati e i frutti possibili nei discendenti. Il concetto di patria abbraccia peraltro tre aspetti fondamentali: il suolo natale, la famiglia e il patrimonio culturale. Ciascuno di essi merita attenzione specifica. Per Cicerone la patria è “il luogo in cui si è nati”. Evoca cioè la relazione di ogni uomo con uno spazio concreto. Con questo spazio vi è dunque un vincolo originario e ineffabile che va al di là dell’aspetto concettuale. Legame necessario e antecedente qualsiasi scelta positiva fatta dai singoli uomini, esso fa sì che io e voi non possiamo non essere italiani. Solo l’uomo, ente razionale, può concepire il concetto di patria, giacché solo l’uomo è capace di conoscere e di sentire tale vincolo con la terra nativa. Componente essenziale della patria è, dunque, un territorio che permetta all’uomo un radicamento analogo a quello di un albero che in terra adatta attecchisce, cresce, estende i rami, si ammanta di foglie, offre frutti. Staccato dal suolo, un albero muore; disconoscendo la terra in cui ha messo radici anche un popolo muore. La nostra patria è l’Italia, formatasi progressivamente nel corso di due millenni con le realtà policentriche delle sue numerose capitali. Non si deve dunque disprezzare le realtà storico-politiche che hanno preceduto l’unificazione istituzionale del nostro Paese. Ciascuna di esse rappresenta infatti una tradizione di cultura, di lavoro, di sacrifici nonché di vita sociale e artistica di altissimo valore. Si pensi al ruolo primario svolto da Venezia nel contesto della storia europea e mondiale, segnando con lo splendore della propria architettura le contrade del Vecchio Continente e le isole del Mediterraneo fino a Costantinopoli, e pure difendendo la cristianità contro i Turchi in una epica lotta plurisecolare. Si pensi a Napoli e alla grandezza giuridica e militare della sua tradizione: patria di Giambattista Vico (1668-1774), tra i massimi filosofi e giuristi dei secoli moderni, Napoli è stata per lungo tempo un modello d’istituzioni a misura d’uomo e rispettose della legge eterna di Dio. E che dire quindi di Milano, di Modena, di Genova, di Bologna, di Firenze, che dire poi di Pisa e di Siena, o di Bari e di Palermo, di Torino e di quella Sardegna che consegnò alla dinastia sabauda il diritto alla corona reale, nonché, prima fra tutte, di Roma, centro vitale non soltanto della nazione italiana, ma dell’intero universo umano. Dopo il territorio, la famiglia. La patria non è solo una radice che si cala nella terra comune; è anche una casa, un luogo in cui vivono una, cento, migliaia di famiglie. L’uomo è sì vincolato a un territorio, ma anche a un insieme di famiglie, ciascuna delle quali è elemento vivo della comunità. Un insieme di famiglie costituisce un popolo il quale a propria volta si configura dunque come una grande famiglia. Nel De Civitate Dei, sant’Aurelio Agostino d’Ippona (354-430) lo definisce una riunione di persone, associate tra loro dalla concorde comunione di cose amate da tutti. Il popolo non è quindi costituito da una mera aggregazione d’individui atomizzati, ma da una comunità armonica di persone che si riconoscono componenti vive di essa. Dopo il territorio e la famiglia, il terzo aspetto è il patrimonio culturale. Gli antenati ci hanno trasmesso non soltanto una eredità materiale, ma soprattutto un patrimonio di ricchezze spirituali e morali. Ogni apporto di opere buone consolida e accresce questa ricchezza. Applicazioni scientifiche e virtù morali, lavoro, letteratura e arte, autorità e obbedienza, leggi e costumi, attitudini pratiche e tradizioni, imprese economiche, artigianali, industriali e ideali, sofferenze e dolori, sacrifici, sconfitte e vittorie, tutto questo integra il legato che costituisce la forma interiore dell’unità di un popolo e che lo distingue in modo peculiare dagli altri popoli. La lingua patria è lo strumento privilegiato di trasmissione di una cultura nazionale. Grazie a essa, di generazione in generazione, si affina l’identità culturale di un popolo. La lingua incarna cioè lo spirito di un popolo, come bene insegna Karol Wojtyła nella poesia Quando penso alla Patria: “Esistiamo radicati nelle nostre radici e uniti dalla stessa lingua, in attesa del frutto della nostra maturità. Avvolti nella bellezza della nostra lingua ci ferisce l’amarezza che nei mercati del mondo non si vendano i frutti del nostro pensiero per il grande prezzo che occorre pagare per le nostre parole. Però non vogliamo cambiare la merce. Soltanto un popolo che rimane attaccato al cuore del proprio idioma sa spiegare il mistero della propria esistenza”. La patria del resto non si sceglie; la s’incontra con la nascita e con l’educazione familiare, in particolare con il linguaggio che le tenerezze materne trasmettono con dolcezza, iniziando la persona umana al sentimento dell’amore. Né la patria sorge da un contratto sociale, scioglibile a piacimento, come troppo spesso viene detto con superficialità alla sequela delle fantasticherie roussoviane. La patria è pure una realtà superiore e anteriore ai ceti sociali, ai partiti politici e a ogni altra associazione volontaria. Si può cambiare ceto, partito, associazione; ma non si può, nemmeno volendo, ripudiare la propria lingua, la propria cultura, l’eredità consegnataci dai genitori assieme all’esistenza. L’appartenenza alla patria permane anche quando essa cade vittima di un processo di corruzione morale che ne sfigura le sembianze. Ora, se tutto questo è vero, l’amore di patria, il patriottismo, è dunque una virtù. San Tommaso d’Aquino (1225-1274) colloca il patriottismo nell’ambito della pietas, espressione che oggi ha smarrito il senso originario e che viene confusa con la devozione personale o con l’atteggiamento di compassione verso il prossimo. Cose certamente buone, queste, ma che non attingono al cuore concettuale della pietas. Essa, in senso forte, designa infatti la virtù con cui ci si piega con reverenza alla tradizione in cui si è nati e con cui si offre un servizio operoso a coloro che sono a noi uniti per vincoli di sangue o per appartenenza alla patria comune. Tutti ricordano i brani dell’Eneide dove rifulge di gloria Enea, da Virgilio (70-19 a.C.) ripetutamente definito “pio”. Enea è pio per antonomasia perché, fuggendo dallo scempio di Troia in fiamme, portando seco a spalle il padre Anchise, accompagnando per mano i propri familiari e salvaguardando i simboli religiosi della città, perpetua ciò che, trascendendo il tempo, farà rivivere ancora la patria troiana. L’eroe virgiliano presta cioè venerazione autentica e servigio effettivo sia agli antenati sia a tutti i discendenti. Per estensione si può poi parlare di pietas con riferimento alla relazione dell’uomo con Dio, giacché Dio è Pater noster in modo eminente, come esattamente dice la preghiera insegnata da Gesù nel Vangelo. La pietas come virtù è allora un aspetto cruciale della virtù cardinale della giustizia. Essa è infatti la virtù grazie alla quale ogni uomo dà a ciascuno ciò che gli spetta, secondo l’eterno insegnamento del sommo giurista romano Ulpiano. Verso Dio, la patria e genitori, l’uomo è debitore in modo speciale. Così, il patriottismo esprime l’attitudine di rispetto e la disponibilità al servizio che ciascuno deve alla propria patria. Nell’esercizio di tale virtù si distinguono del resto in modo particolare i militari, che fanno del servizio alla patria una professione fino al sacrificio della vita. In ciò si distinguono anche i componenti delle associazioni d’arma, che perpetuano, anche dopo il servizio prestato, il rispetto e l’amore verso le tradizioni dei propri corpi militari, con il ricordo perenne dei sacrifici di quanti hanno combattuto e operato in difesa della patria. L’amore per la patria, insomma, oltre a essere espressione della pietas, è anche manifestazione della giustizia. Tre sono le specie della giustizia: la commutativa, la distributiva e la legale. La prima attiene alle relazioni di scambio; la seconda ai doveri dell’autorità verso i cittadini; la terza legale ai doveri dei cittadini verso la comunità. Il patriottismo appartiene al terzo genere, al pari, e più ancora, degli obblighi fiscali. Il servizio alla patria è però anche un obbligo giuridico, come ben recita il troppo spesso dimenticato articolo 52 della Costituzione italiana, che proclama essere la difesa della patria “sacro dovere del cittadino”. Tale principio di giustizia implica la necessità doverosa che nelle scuole i maestri e i professori insegnino agli studenti di anteporre il bene comune agl’interessi particolari, familiari o settoriali. È vano infatti prendersela con i giovani quando mostrano di non sapere cosa sia la patria, se gl’insegnanti trascurano di consegnare a loro i princìpi basilari della vita sociale. L’educazione, tanto pubblica quanto privata, non può disinteressarsi della formazione nel giovane di un sano spirito patriottico, ancorato all’amore al bene comune. Il patriottismo, infine, ha a che fare con la virtù della carità o, detto in termini naturali, con la virtù della solidarietà. L’amor di patria si pone in una linea ascensionale che vede l’oggetto dell’amore nel prossimo, nei familiari, nei genitori, nella patria e in Dio. In senso discendente, Dio, gli antenati, i genitori e la patria costituiscono tre forme di paternità a cui nessun uomo può sottrarsi: il Padre, da cui viene – secondo san Paolo – ogni paternità in cielo e in terra; i genitori secondo la carne, che danno la vita e l’educazione; la patria, che è la via attraverso cui si realizza la maturità del cittadino. Il vero patriota ama tutti costoro in modo congruo e appropriato. Ma il patriota vive l’appartenenza alla propria patria come preannuncio di un’altra patria, quella celeste. La Scrittura allude all’aprirsi della patria terrena verso quella celeste quando ricorda che in terra l’uomo non ha patria permanente, poiché attende quella futura. Ma in che modo si ama la patria? Se amore è, anche quello alla patria dev’essere anzitutto affettivo, sensibile ed emotivo. Anche l’amore alla patria si sente fremere in se stessi quando si ammirano la bellezza di certi paesaggi, quando si prova nostalgia del suolo natío, quando s’innalza sul pennone la bandiera, quando si ascolta l’inno nazionale, quando si ode qualche canto della propria regione, quando si assiste al giuramento delle reclute militari. Si tratta di un amore sentimentale, pre-razionale, che l’anima sente in sé in non rari momenti della sua vita. L’amore verso la patria dev’essere, però, anche razionale, frutto di decisione della volontà illuminata dall’intelligenza. Il patriottismo come virtù si specifica e si concretizza cioè in un complesso di obblighi che quotidianamente si debbono compiere, a qualsiasi costo. Questo amore razionale va sostanziato anche con studio coscienzioso della storia, tanto di quella grande (per noi l’Italia), quanto di quella piccola (la nostra città o la nostra provincia). Lo studio insegna le vittorie e le sconfitte degli avi e, attraverso esse, mostra come percorrere le vie diritte onde ottenere vittorie nuove senza incorrere in sconfitte ancor più rovinose. L’amore dev’essere poi critico, giacché non si deve affastellare in un’unica fascina le cose buone con le cattive; occorre raccogliere le cose antiche e le cose nuove in un complesso coerente ed organico che rigetti gli errori del passato, affinché l’eredità sia consegnata splendente ai discendenti. L’amore per la patria, infine, dev’essere un amore dolente, perché in esso non può non affiorare la consapevolezza delle tragedie, incolpevoli e colpevoli, che hanno percosso e percuotono ancora i propri concittadini.»".
Prima di tutto, ritengo obbligatorio fare i complimenti a Filippo, che porta sempre dei temi interessanti. Confermo che è un bravo ragazzo.
Ora, faccio le mie considerazioni, rapportandomi alla storia.
Certi mali di questa Europa sono figli di certe ideologie che ebbero il proprio embrione in un giorno preciso, il 1 novembre 1517, e in un luogo preciso, a Wittemberg, allora nel Sacro Romano Impero, oggi in Germania.
In quel giorno e in quel luogo, un monaco tedesco di nome Martin Lutero affisse sulla porta della chiesa del castello di Wittemberg le 95 tesi, con cui attaccò la Chiesa cattolica.
Da qui nacque il protestantesimo.
La Riforma protestante ebbe forti conseguenze sia sul campo religioso che politico e culturale.
Ora, non voglio fare processi contro nessuno ma voglio solo fare una riflessione.
Il protestantesimo stravolse l'ordine religioso, culturale, politico e sociale europeo.
Il fatto che, ad esempio, nella dottrina protestante vi sia la libera interpretazione della Bibbia provocò una frammentazione religiosa e la nascita di nuove ideologie che furono le antesignane di quelle di oggi.
Prendiamo, ad esempio, quello che accadde a Munster nel 1534.
Qui, infatti, gli anabattisti presero il potere con Jan Boskezoon (Giovanni di Leyda) ed instaurarano una dittatura in cui venne stabilito che la proprietà privata venisse abolita e si creasse un vero e proprio comunismo e venne stabilita anche la poligamia.
Chi non si convertiva all'ideologia anabattista veniva ucciso.
Di sicuro, Karl Marx prese spunto da questa esperienza come prese spunto dall'esperienza della Rivoluzione inglese di Oliver Cromwell (1649).
In quest'ultima, i puritani (coloro che appartenevano alla Chiesa calvinista fondamentalista in Gran Bretagna) distrussero la monarchia, martirizzarono re Carlo I Stuart ed instaurarono il terrore.
Durante l'esperienza rivoluzionaria inglese (1649-1660) nacquero i Livellatori (Levellers), un movimento che imponeva l'egualitarismo.
Anche da qui, Marx attinse molto.
Non vi è solo questo.
Ad Edimburgo e in altre zone della Scozia vi sono delle grotte che funsero da ricovero per coloro che appartenevano al Covenant, l'associazione dei presbiteriani (protestanti) scozzesi che furono nelle file dei rivoluzionari.
In queste grotte compaiono dei simboli. Tra questi, vi sono il compasso e la squadra, simboli della massoneria.
Non si sa se questi simboli risalgano a prima o dopo i fatti del 1649 o se siano contemporanei ad essi.
Certi idee di quegli anni dicono che essi siano contemporanei a quei fatti.
In effetti, il fatto che nel protestantesimo sia ammessa la libera interpretazione della Bibbia favorì l'evoluzione di una visione relativista, visione che fu (ed è tuttora) il cavallo di battaglia della massoneria.
Com'è noto, il protestantesimo ebbe due tendenze, proprio come la massoneria.
Da una parte, esso favorì l'assolutismo monarchico (cosa che avvenne negli Stati tedeschi del nord, nei Paesi scandinavi ed in Inghilterra) e, dall'altra, divenne il pretesto per attaccare il potere costituito (come avvenne in Francia, in Spagna, negli Stati italiani, in Boemia e nel XVII secolo anche in Inghilterra).
La stessa cosa fece la massoneria.
Pensiamo alla Rivoluzione francese del 1789.
Alcuni massoni (come Robespierre e Danton) furono tra i rivoluzionari ed altri (come lo scrittore Cazotte) furono tra i monarchici.
Il protestantesimo fu anche l'ideologia che favorì il nazionalismo.
Già il solo fatto che la Messa venisse celebrata nelle lingue nazionali e non più in latino fu un atto di rifiuto della dottrina cattolica (che invece era ed è universale) e fu un germe del nazionalismo che nel XX secolo fece danni.
Nel contempo, la visione relativista non garantì più l'uniformità religiosa.
Quindi, venne stravolto anche il concetto di patria (e qui ci si riallaccia alla nota di Giorgianni) che fu legato solo alla lingua e ad alcuni aspetti culturali, mettendo Dio in secondo piano.
Inoltre, la visione relativista favorì anche la tecnocrazia.
Non essendoci più degli elementi che potessero tenere insieme tanti popoli diversi, la tecnocrazia si trasformò in un metodo quasi autoritario per fare ciò.
Quindi, mali dell'Europa di oggi hanno radici molto profonde.
Bisogna recuperare il senso di appartenenza a valori realmente comuni, altrimenti il futuro potrebbe assumere tinte fosche.
Cordiali saluti.
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Il peggio della politica continua ad essere presente
Ringrazio un caro amico di questa foto.
MI PIACE <3<3<3 franchito
RispondiEliminaTi ringrazio!
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