io difendo le forze dell'ordine in un articolo e vi è il solito personaggio che fa commenti anonimi con cui mi si accusa di sostenere i violenti e quant'altro.
Il "signore" in questione mi attacca tirando fuori la storia della Scuola "Armando Diaz" di Genova, la scuola in cui nel 2001 ci furono atti di violenza tra poliziotti e No-Global:
"Ho detto esattamente l'opposto: i violenti vanno perseguiti, sempre, che siano studenti o gente in divisa, che siano di sinistra oppure di destra. Sei tu invece che fai dei distinguo: inneggiavi all'impunità per i violenti e delinquenti della diaz, solo perché poliziotti anticomunisti. Chi è l'incoerente?Riguardo ai fatti di Bologna, poi, non ho detto che non sono violenti, ho solo criticato il tuo metodo di critica al giudice di turno, dato che hai riportato la notizia acriticamente, senza controllare. Sei dunque un passacarte: non puoi giudicare un giudice se non hai letto le carte. Almeno dovresti specificarlo nell'articolo.
In ogni caso, quelli della diaz io non li considero appartenenti alla polizia: essi sono solo mele marce della gloriosa polizia italiana! Per te invece non sono mele marce, dato che ti rammaricasti della riapertura delle indagini e li hai sempre difesi. Per ragioni politiche ovviamente. Se ne deduce che a te delle violenze di Bologna in sé non importa, a te imposta solo che siano state compiute da comunisti. Propugni un sistema come quello cileno. E questo articolo non risponde affatto al mio commento, dato che ancora una volta hai evitato di parlare dei fatti della diaz per evitare di chiamare quei 'poliziotti' per quel che erano ossia dei delinquenti e dei violenti. La tua è apologia all'impunità di crimini politici. Lo hai riconfermato con questo nuovo testo.
Tu stai coi delinquenti, quelli anticomunisti ovviamente.
Quindi è inutile il tuo giochetto della difesa alla polizia. Anzi, già che consideri poliziotti quei criminali della diaz, avanzi un'offesa alla polizia di stato.".
Dell'articolo riporto questo lunghissimo stralcio:
"Sono le 22 del 22 luglio 2001 e il comandante del reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini è appena entrato con i suoi poliziotti nella scuola Diaz. Ordini superiori, ordini che non si possono discutere, gli hanno spiegato che lì, fra le mura di quella scuola, potrebbero esserci, nientemeno, dei terroristi. Ipotesi bislacca e incomprensibile, come è stata irrituale e strana quella convocazione a sera inoltrata, alla fine di due giorni di fuoco, con Genova devastata dai Black bloc e Canterini e i suoi agenti impegnati in una partita difficilissima e rischiosa. Pareva finita, finalmente, con un bilancio pesante e la tragedia di Carlo Giuliani, morto mentre lanciava un estintore contro un defender dei carabinieri. Pareva che il peggio fosse passato e invece, alle dieci della sera, ecco la chiamata e la corsa su per le scale della Diaz. Canterini s'imbatte in quella ragazza: «Aveva i capelli rasati, le trecce sulla nuca, il cranio fracassato da cui fuoriusciva sangue a fiotti e materia cerebrale. Il poliziotto che aveva dato lo stop alla mattanza e che vegliava sulla moribonda aspettando l'ambulanza era Fournier»: Michelangelo Fournier, a sua volta comandante del Nucleo sperimentale costituito apposta in vista del G8. Amici da una vita, Canterini e Fournier, tutti e due finiti, loro malgrado, nella trappola infernale della Diaz. «Rimasi ipnotizzato a quella scena straziante, che mi faceva pensare al Cristo sofferente fra le braccia della Vergine. Sembrava la versione moderna della Pietà di Michelangelo. Era la pietà di Michelangelo Fournier». Passano secondi drammatici. «In quel caos epocale - prosegue Canterini - mi ritrovai, di fatto, a coordinare i soccorsi». Altro che manganellate. Quelle le avevano date altri poliziotti, rimasti nell'ombra, i responsabili di un pestaggio vergognoso, una delle pagine nere di un G8 zeppo di episodi tristissimi.
Ma la giustizia ha pescato la faccia di Canterini e con lui quelle di altri superpoliziotti. Così, undici anni dopo, nelle scorse settimane la Cassazione ha reso definitive le condanne che spezzano la carriera di alcuni dei più noti investigatori italiani. Tutti buttati fuori a razzo dal corpo, anche se vantavano curricula spettacolari, come Gilberto Caldarozzi che aveva appena dato un nome al bombarolo assassino di Brindisi. Come Canterini, che, come altri, aveva firmato una relazione di servizio sulla Diaz, due righe scritte dopo aver trascorso 48 ore senza mangiare e bere, si è ritrovato sulle spalle una pena di cinque anni per falso. E la patente di macellaio in divisa.
Così, ora prova a raccontare la sua verità e consegna il suo teso, amarissimo sfogo alla penna di due giornalisti. Gian Marco Chiocci, veterano della cronaca giudiziaria e autore di numerosi scoop per il Giornale, e Simone Di Meo: Diaz è il titolo secco del libro in uscita da «Imprimatur» del gruppo Aliberti. Un testo che fotografa i momenti più difficili di quelle interminabili giornate e si concentra poi sulla notte della Diaz, ricostruendola e costruendo parallelamente un doppio atto d'accusa. Contro chi, ai piani alti della polizia, mandò allo sbaraglio Canterini e tanti altri poliziotti, abbandonandoli poi al loro destino; e contro la magistratura che ha condannato le persone sbagliate, scegliendole con comodo fra i quattrocento poliziotti che diedero forma all'operazione Diaz, e che ha diviso in modo manicheo i buoni dai cattivi. Trasformando chiunque partecipò all'assalto alla caserma in un picchiatore e chiunque era all'interno in un agnellino.
E invece anche questa versione non sta in piedi. Molti ragazzi, ammassati nella scuola di Bolzaneto, furono selvaggiamente percossi, ma non tutti. Nel corso dell'irruzione uno degli agenti, Massimo Nucera, per tutti Flanella, rischiò di morire. Flanella, per capirci, «la mattina prima s'era fracassato il ginocchio con quel sampietrino tirato da distanza ravvicinata da un cane rabbioso ed era andato avanti ad antidolorifici e fasciature». Quella sera, per spirito di servizio, aveva voluto esserci, stringendo i denti, senza sapere a che cosa sarebbe andato incontro. E per poco non ci lasciò le penne: accoltellato al buio e salvato solo e soltanto dal corpetto. «Quella sagoma scura approfittò dell'assenza di luce... la colluttazione fu rapida e violenta. Il primo fendente alla gola di Nucera andò a vuoto, il secondo centrò il torace che non vene trafitto solo perché fra la punta del coltello e il petto di Massimo la protezione aveva fatto il suo dovere». Lì per lì Nucera non si accorse della stilettata. Quando gli fecero notare che la divisa era tagliata si fermò a pensare, anche perché fra le mani si rigirava un coltello raccolto nell'aula dell'agguato. Ma poiché col tempo si faceva strada l'idea che la polizia ne avesse fatte (e inventate) di tutte, si iniziò a mettere in dubbio anche a sua versione, come se fosse stata concordata a tavolino pure quella. In appello, dopo tanti anni, i giudici si sono convinti che il Flanella avesse romanzato la sua storia e hanno condannato pure lui. Con una sentenza confermata dalla Cassazione. «E così, a soli quarant'anni, nel pieno della carriera, dopo ave stoicamente resistito alle sassate in piazza Tommaseo, dopo aver rischiato di morire alla Diaz, il Flanella s'è ritrovato lapidato dalla giustizia italiana, sospeso dalla polizia, senza più lavoro». L'indomani, l'uomo, amareggiato, ha rilasciato ai giornali una dichiarazione che è il compendio di questa storia: «Hanno preso la mia vita e l'hanno gettata nel secchio». Delle centinaia di Black bloc responsabili del disastro e di 60 milioni di euro di danni, solo dieci, dieci di numero, sono stati condannati.".
Ma la giustizia ha pescato la faccia di Canterini e con lui quelle di altri superpoliziotti. Così, undici anni dopo, nelle scorse settimane la Cassazione ha reso definitive le condanne che spezzano la carriera di alcuni dei più noti investigatori italiani. Tutti buttati fuori a razzo dal corpo, anche se vantavano curricula spettacolari, come Gilberto Caldarozzi che aveva appena dato un nome al bombarolo assassino di Brindisi. Come Canterini, che, come altri, aveva firmato una relazione di servizio sulla Diaz, due righe scritte dopo aver trascorso 48 ore senza mangiare e bere, si è ritrovato sulle spalle una pena di cinque anni per falso. E la patente di macellaio in divisa.
Così, ora prova a raccontare la sua verità e consegna il suo teso, amarissimo sfogo alla penna di due giornalisti. Gian Marco Chiocci, veterano della cronaca giudiziaria e autore di numerosi scoop per il Giornale, e Simone Di Meo: Diaz è il titolo secco del libro in uscita da «Imprimatur» del gruppo Aliberti. Un testo che fotografa i momenti più difficili di quelle interminabili giornate e si concentra poi sulla notte della Diaz, ricostruendola e costruendo parallelamente un doppio atto d'accusa. Contro chi, ai piani alti della polizia, mandò allo sbaraglio Canterini e tanti altri poliziotti, abbandonandoli poi al loro destino; e contro la magistratura che ha condannato le persone sbagliate, scegliendole con comodo fra i quattrocento poliziotti che diedero forma all'operazione Diaz, e che ha diviso in modo manicheo i buoni dai cattivi. Trasformando chiunque partecipò all'assalto alla caserma in un picchiatore e chiunque era all'interno in un agnellino.
E invece anche questa versione non sta in piedi. Molti ragazzi, ammassati nella scuola di Bolzaneto, furono selvaggiamente percossi, ma non tutti. Nel corso dell'irruzione uno degli agenti, Massimo Nucera, per tutti Flanella, rischiò di morire. Flanella, per capirci, «la mattina prima s'era fracassato il ginocchio con quel sampietrino tirato da distanza ravvicinata da un cane rabbioso ed era andato avanti ad antidolorifici e fasciature». Quella sera, per spirito di servizio, aveva voluto esserci, stringendo i denti, senza sapere a che cosa sarebbe andato incontro. E per poco non ci lasciò le penne: accoltellato al buio e salvato solo e soltanto dal corpetto. «Quella sagoma scura approfittò dell'assenza di luce... la colluttazione fu rapida e violenta. Il primo fendente alla gola di Nucera andò a vuoto, il secondo centrò il torace che non vene trafitto solo perché fra la punta del coltello e il petto di Massimo la protezione aveva fatto il suo dovere». Lì per lì Nucera non si accorse della stilettata. Quando gli fecero notare che la divisa era tagliata si fermò a pensare, anche perché fra le mani si rigirava un coltello raccolto nell'aula dell'agguato. Ma poiché col tempo si faceva strada l'idea che la polizia ne avesse fatte (e inventate) di tutte, si iniziò a mettere in dubbio anche a sua versione, come se fosse stata concordata a tavolino pure quella. In appello, dopo tanti anni, i giudici si sono convinti che il Flanella avesse romanzato la sua storia e hanno condannato pure lui. Con una sentenza confermata dalla Cassazione. «E così, a soli quarant'anni, nel pieno della carriera, dopo ave stoicamente resistito alle sassate in piazza Tommaseo, dopo aver rischiato di morire alla Diaz, il Flanella s'è ritrovato lapidato dalla giustizia italiana, sospeso dalla polizia, senza più lavoro». L'indomani, l'uomo, amareggiato, ha rilasciato ai giornali una dichiarazione che è il compendio di questa storia: «Hanno preso la mia vita e l'hanno gettata nel secchio». Delle centinaia di Black bloc responsabili del disastro e di 60 milioni di euro di danni, solo dieci, dieci di numero, sono stati condannati.".
Fu vero che in quei giorni del luglio 2001 a qualche poliziotto scappò la mano ma cerchiamo di contestualizzare.
In quei giorni, i No Global comunisti misero letteralmente a ferro e fuoco Genova.
Essi bruciavano cassonetti ed automobili e spaccavano vetrine.
I poliziotti ed i carabinieri venivano presi a sassate.
C'era una vera e propria guerriglia urbana.
Sia chiaro, non giustifico la violenza da parte di nessuno ma ritengo che le cose siano da contestualizzare.
A me è stato insegnato che la storia va studiata senza un pregiudizio.
Anche un grande bibliofilo, un tale Marcello Dell'Utri, lo diceva.
I No Global fecero delle violenze assurde e qualcuno dei poliziotti eccedette nella reazione.
Questi furono i fatti e tutti noi oggi lo sappiamo.
Però, a sinistra c'è una certa avversione verso la polizia.
Quello che è accaduto ultimamente a Bologna è stato inconcepibile.
Non è concepibile che ogni volta che determinati gruppi manifestano ci siano sempre atti di violenza.
Se un gruppo manifestasse pacificamente, nessuno avrebbe nulla da dire, a prescindere dalle opinioni.
Invece, certi gruppi fanno ricorso alla violenza.
La polizia che deve fare?
Deve stare a guardare o deve reagire e mantenere l'ordine?
Negli altri Paesi, come USA e Regno Unito (che non sono certo la Germania nazista o il Cile di Pinochet), la polizia interviene.
Ricordo che nel Regno Unito non vi è il più problema degli Hoolingans anche grazie ad una polizia efficiente.
Se un tifoso inglese iniziasse a lanciare oggetti allo stadio, arriverebbe lo steward, il quale lo prenderebbe, lo renderebbe innocuo o lo porterebbe al più vicino posto di polizia, dove verrebbe sanzionato.
Qui da noi, uno steward ha paura di fermare un tifoso esagitato, perché se gli facesse qualcosa rischierebbe di essere denunciato.
Negli stadi inglesi i bambini possono essere portati dai genitori.
Nei nostri stadi si ha paura di portare i propri figli.
Allora, piantiamola con la storia della "violenza politica".
La violenza si condanna.
Però, ricordo che ogni volta che certi gruppi manifestano ci sono sempre atti di violenza.
Di fronte a ciò, i poliziotti che debbono fare?
Cordiali saluti.
Hai ancora una volta giustificato la violenza nella scuola Diaz. Hai parlato infatti di poliziotti 'a cui è scappata la mano', quando invece furono commessi veri e propri crimini, inauditi, tali da passare alla storia come una parentesi nera nella storia democratica italiana. Addirittura la sentenza ha condannato un poliziotto per possesso di arma da guerra. Rompere crani fino a farne uscire il cervello, mandare gente in coma e rompere costole e denti è qualificabile come 'farsi scappare la mano'? Farsi scappare la mano significa menare delle manganellate in più, anche fare 'una passata di pelo' al di fuori della legge: questo sì che è umanamente comprensibile. Cosa diversa sono i crimini: alla Diaz ci fu una macelleria degna del Cile di pinochet.
RispondiEliminaTu stai banalizzando dei crimini, ergo li stai giustificando: lo hai fatto e continui a farlo.
E ancor più grave è associare la gente che dormiva nella diaz a quelli che di giorno commissero violenze. Hai giustificato la punizione di massa anziché quella individuale. Hai ammesso la punizione collettiva, la violenza su alcune persone per i fatti da altri commessi. Perché ciò? Semplice: li accomuna la fede politica. Ammetti la violenza politica dunque, ogni tua parola non fa che confermarlo.
Ti offendi da solo e ti qualifichi da solo: ancora una volta non una parola di netta condanna ai crimini politici commessi nella scuola Diaz. Da tutto il tuo pensiero sulla vicenda si evince una profonda aderenza al metodo della violenza politica. Sei davvero preoccupante e tutti lo possono constatare.
Se sposi la violenza, perdi ogni credibilità quando condanni le violenze. Per te è da punire solo la violenza compiuta da taluni e non da altri. Stai dunque coi violenti. D'altronde avesti anche parole di giustificazione all'assassinio di allende per mano di pinochet.
Che altro aggiungere?
Ti offendi davvero da solo. Persona preoccupante, molto preoccupante.
La banalizzazione del male. Così si chiama. Sei profondamente eversivo. D'altronde, se quella fu solo una vicenda in cui semplicemente 'scappò la mano' e non un crimine comprendente pure la tortura (ci furono infatti altri 3 gg in cui quella gente fu sequestrata, malmenata e vessata psicologicamente, sottraendola volontariamente all'intervento dei giudici), allora quelli furono atti che per te non andrebbero qualificati come tortura e quindi sottoposti ad una adeguata sanzione prevista da una eventuale legge contro la tortura. E così si spiega anche la tua avversione a una legge contro la tortura. Non è vero che ti preoccupi di fatti lievi come manganellate o schiaffi, no: tu vuoi che non siano puniti fatti di vera e propria tortura come quelli della diaz. Tu dunque sei contro la punizione della tortura in sé per sé. Vuoi che la tortura politica ad opera della polizia sia lecita o comunque sottoposta a sanzioni bande.
RispondiEliminaAncora una volta vien fuori il tuo animo violento e soprattutto bugiardo, il tuo vezzo del ricorso ai sotterfugi argomentativi per nascondere la sostanza delle cose: la tua giustificazione della violenza politica, compresa la tortura.
Non c'è bisogno di offenderti, chiunque può constatare che persona preoccupante sei. Ti qualifichi da solo.
Non parlare più di violenza dunque: tu la giustifichi, anche quella più atroce.
L'Italia non sarà mai più come il Cile di pinochet. Mai più.
Quello che offende la polizia sei dunque tu, considerando poliziotti quei criminali. E offendi anche quei pochi poliziotti coraggiosi che al processo hanno testimoniato contro i loro stessi colleghi. Io considero poliziotti questi ultimi, tu consideri poliziotti i primi. La polizia italiana è democratica e non un corpo delinquenziale come lo vuoi far passare tu.
RispondiEliminaGuarda che ho citato un articolo di Stefano Zurlo, su "Il Giornale".
RispondiEliminaIo non ho giustificato nessuno.
Ho solo scritto che quello che accadde in quei giorni va contestualizzato.
Ci furono poliziotti che andarono oltre quello che era il loro ufficio ma ricordo che Genova fu messa a ferro e fuoco dai No Global.
Io non guardo solo l'atto in sé ma anche il contesto.
Il contesto di quei giorni fu di guerriglia.
Furono giorni di guerriglia.
L'atto di quei poliziotti fu eccessivo?
Diciamo di sì.
Però, il contesto fu un contesto di violenza causata da gruppi che non manifestarono il loro pensiero (che poteva essere condiviso o meno) in modo pacifico ma che andavano in giro con bombe molotov, spranghe, bastoni e quant'altro e che colpivano i poliziotti.
Se un gruppo di persone spaccasse auto e vetrine la polizia non dovrebbe intervenire?
Io direi che la polizia dovrebbe intervenire.
L'intervento alla Diaz non fu 'eccessivo': fu un crimine a cui seguì addirittura un sequestro di tre giorni. Fu una tortura di Stato. E si evince dallo stesso articolo che hai riprodotto: agghiacciante sentir parlare di pezzi di cervello sul pavimento.
RispondiEliminaNon occorre dunque contestualizzare nulla. Si contestualizzano gli eccessi, non i crimini. Quella notte fu degna del Cile di pinochet.
E poi dici 'la polizia non doveva intervenire'? Perché fu un intervento di polizia quello? Quella fu una macelleria organizzata, cui seguì tre giorni di sequestri e torture e la fabbricazione di prove false. Queste ultime confermano, così come accertato in sentenza, che in quella scuola non c'era nessun violento. Ma se anche ci fossero stati non avrebbe cambiato nulla. I violenti arrivarono di notte.
Giustificando, contestualizzando, non fai che che confermare la tua preoccupante personalità e la tua adesione alle violenza politica. Ti squalifichi e ti offendi da solo.
Ma quale violenza politica?
RispondiEliminaAllora, fu violenza politica anche il ferimento dei poliziotti ad opera dei No Global che a Genova si beccarono pietre, bottiglie ed altre cose.
Visto che lei la butta su questo piano, le faccio notare ciò.
La violenza va condannata sempre.