Leggete l'articolo dell'amica Irene Bertoglio, che è stato scritto sul sito "Zenit" e che è intitolato "Dio ti chiede: "Vuoi diventare uno dei miei?".
E' un articolo molto interessante e profondo.
La parte che mi piace di più è quella che recita:
"La settimana scorsa il Papa ha twittato: «Molti falsi idoli emergono oggi. Se i cristiani vogliono essere fedeli, non devono avere timore di andare controcorrente».
Il cristiano è colui che si prende carico del nome di Dio. Nel secondo comandamento, spesso banalmente tradotto con la formula «non bestemmiare», Dio dice al suo popolo: «Non ti caricherai (non ti assumerai) del nome di Dio invano». L’uomo è libero di rifiutare la relazione con il suo Creatore, ma se decide di «prendere il nome di Dio», Lui gli rammenta di non farlo vanamente.
Infatti, Dio conosce bene il cuore dell’uomo e sa che egli può dichiararsi cristiano senza compiere nella giornata nemmeno solo un atto realmente cristiano. C’è un’autenticità che manca dietro a un certo cristianesimo fatto di “cose da fare”, di norme da adempiere, come se certi gesti fossero automatici: andare a Messa, accendere una candela, dire le preghiere...
Agli occhi di Dio non importa se vai a Messa tutte le domeniche, se poi non compi un gesto di carità. Una critica che ci viene mossa, purtroppo tristemente realista, è che esiste una Chiesa di gente che si comporta cristianamente per ‘doverismo’: è una Chiesa che non trascina, che non coinvolge, che non affascina perché - in definitiva - non trasmette l’autentico messaggio cristiano.
Il cristiano che non rende ragione della propria fede, la madre che per convincere i figli ad andare in Chiesa dà risposte non convincenti, non esaustive, non “convenienti” per la vita, sono persone che esternamente paiono impeccabili, ma dov’è il loro rapporto di amore con Dio? Dio ci dice: “ti prendi il Mio nome? Diventi uno dei miei? Che però questo non sia per un formalismo, o un contenitore per tue insicurezze da colmare”.".
Ora, io voglio dire che sono pienamente d'accordo con Irene.
Prima che leggessi l'articolo, avevo già in mente queste parole, durante la Messa di ieri sera.
Prima che leggessi l'articolo, avevo già in mente queste parole, durante la Messa di ieri sera.
Andare a Messa, confessarsi (quando c'è il prete disponibile), comunicarsi, recitare il Santo Rosario e pregare sono tutte cose importanti.
Anzi, sono basilari.
Però, a ciò devono conformarsi anche le opere.
Per fare questo serve una cosa: la carità.
Avere carità non significa soltanto fare le elemosina al poveretto di turno ma anche impegnarsi per gli altri, non invidiare, non portare rancore e non creare rancore.
Molto spesso, noi abbiamo carità?
Parlando di me, per esempio, io penso di averla ma molto spesso la uso male.
Infatti, io voglio impegnarmi per gli altri, attraverso la politica.
Questa è una cosa nota.
Molto spesso, però, la foga di volere e di dovere fare, la volontà di dimostrare qualcosa ed anche un po' la volontà di realizzare me stesso mi porta a commettere degli errori.
Vi voglio raccontare una storia.
Io ho sempre avuto la volontà di cimentarmi in politica.
Mi piacciono i personaggi come San Tommaso Moro ed i re.
A spingermi verso questa china fu un episodio tragico della mia vita.
Nel 1995, un mio amico ebbe un incidente gravissimo in un incrocio stradale della mia zona.
Chi conosce la zona, saprà che sto parlando dell'incrocio di Villa Garibaldi di Roncoferraro (Mantova), un incrocio notoriamente pericoloso, che spesso è stato teatro di incidenti e che oggi è semaforizzato.
Io passai lì per caso ma ebbi paura della scena e non mi avvicinai.
Era uno dei miei migliori amici ed io lo tradii, facendo questa omissione.
Giurai a me stesso che non avrei mai più fatto una cosa del genere.
Da qui, piano piano, scattò la molla che mi spinse a fare quello che faccio ora.
Spesso e volentieri parlo di politiche inerenti alla infrastrutture.
Purtroppo, però, la frustrante mancanza del lavoro (da una parte) e la foga di volere fare mi porta a volte a conflitti e a scelte avventate.
Per esempio, per una questione politica non ho trattato bene un familiare e pubblicamente mi scuso.
Però, a volte, è difficile resistere a certe pulsioni.
A volte si vuole fare il bene e si crede di fare il bene ma poi si fa del male.
La carità è anche ammettere il proprio errore e scusarsi.
Con questo, non voglio dire che smetterò di fare politica.
Anzi, ne farò ancora di più.
La politica è una forma di carità.
Mi sento chiamato a fare politica anche come cristiano.
La politica è una forma di carità.
Mi sento chiamato a fare politica anche come cristiano.
Semmai, imparerò dai miei errori.
La carità è un grande strumento ma va usato bene.
Dio ci chiede di usare la carità e di usarla bene, per essere uno dei suoi.
Cordiali saluti.
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