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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

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mercoledì 13 febbraio 2013

Il ministero petrino

Cari amici ed amiche.

Leggete questo testo pubblicato su Facebook dall'amica Irene Bertoglio ed intitolato "Mi ami, tu?":




"Il fondamento del carisma di Pietro, la sua autorità come Pietro, l’autorità in senso genuino che fa crescere, è fondata esattamente sul fatto che Pietro ha rinnegato.

Il fatto più brutto e più increscioso della sua vita è il fondamento del suo servizio.

Il suo peccato lo apre a una storia nuova: lo rende capace di capire il mistero del Signore come perdono e della debolezza, propria e altrui, come luogo di maggior amore.

Cosa ha fatto Pietro?

Pietro diventa “pietra”, come Dio che è la pietra, proprio perché ha fatto l’esperienza del rinnegamento e in quel rinnegamento ha fatto l’esperienza del perdono di Dio. Quindi il suo ministero si fonda sul perdono che ha sperimentato. Il perdono è l’amore più grande. E proprio perché è stato perdonato, può avere il ministero del perdono verso tutti. E l’unità fra gli uomini è possibile solo nel perdono. Perché il male c’è e le divisioni ci sono. Quindi la sciagura di Pietro, quello che lui riteneva la sua frana, il suo fallimento, è il fondamento stesso del dono più grande che Dio ha fatto a ogni uomo che è quello dell’unità nell’amore.

Dopo il pranzo, cioè proprio dopo l’Eucaristia che fa capire chi è il Signore, chi siamo noi, Gesù gli dice: Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?

Perché gli fa questa domanda? Perché quando Gesù all’ultima cena gli aveva detto: dove io vado voi non potete venire, Pietro cosa dice? Io sono disposto a dare la vita per te, io vengo, ti posso seguire ovunque. E negli altri sinottici, Pietro dice: Anche se gli altri si scandalizzeranno, io no!

Fa tenerezza un Dio che mi chiede: Mi ami tu? Dopo averci svelato sulla croce il suo amore oltre ogni limite, può ormai esporre senza pudore questa richiesta, fondamentale per chiunque ama: l’amore desidera essere amato.

E allora Gesù gli dice: Mi ami tu, più di costoro? sempre “di più”, magari di avere “di più”, non è quello il problema. Il “di più” dell’amore.

Ora, da dove viene il “di più” dell’amore? Chi amerà dì più? Colui al quale è stato perdonato di più.

La parola mi ami, in greco c’è agapao, indica l’amore che ha Dio per noi: Dio ha tanto amato il mondo da dare Suo Figlio. E’ quell’amore la cui forza è la debolezza di chi espone , dispone e depone la propria vita per l’amato, gli lava i piedi e gli si dona senza riserva, come nel boccone offerto a Giuda. Gesù chiede a Pietro se ha accolto l’amore che gli ha mostrato.

Certamente Gesù vuol guarire Pietro dalla presunzione.

Però c’è sotto qualcosa di vero, perché l’amore è sempre “più”, perché se non cresce, cala. E l’uomo è fatto per un più di amore, perché è immagine di Dio che è amore infinito. E dove non c’è questo “più” di amore, c’è un calo di amore che è la morte. Quindi la domanda non è soltanto per smontare la presunzione, ma per fare un’apertura sul significato vero dell’amore, che è sempre di più. E’ il maiestas, in latino; la Maiestà di Dio che è la dignità dell’uomo a sua immagine è questo di più che muove tutte le nostre azioni.

Paradossalmente il nostro peccato è lo stimolo più sicuro all’amare di più.

Perché? Perché se io sono amato perché sono bravo, posso sempre pensare che se non sono bravo non mi ama, devo meritare l’amore. Se io non sono mai sicuro dell’amore dell’altro, sono disperato e non lo amerò mai.

Se io sperimento che l’altro mi ama gratuitamente anche dove io non mi amo, anche nel mio peccato, nel mio fallimento, so che l’altro mi ama di amore infinito. Quando mi sento infinitamente amato, allora posso amarmi e posso amare sempre di più.

Cosa vuol dire? Significa che accetto che tu dai la vita per me, accetto il tuo amore gratuito e infinito e allora sono amico. E amico vuol dire che rispondo al tuo amore con l’amore, cioè siamo in relazione di affetto. E l’amicizia poi dipende dal tipo di amico che hai. Se il mio amico è colui che mi ha amato e ha dato se stesso, mi ama infinitamente, l’amicizia che mi rende simile a lui è avere lo stesso amore.

Quindi gli risponde: Ti sono amico. Tu lo sai, coma sai anche che ti ho rinnegato.

E qui, mentre si mette spesso nella Bibbia la stessa traduzione, lo stesso verbo, in greco c’è fileo, l’altro era agapao.

E allora Gesù gli dice: Pasci i miei agnelli.

Pietro diventa pastore perché? Ha la funzione stessa di Gesù. Perché è stato perdonato, e ha conosciuto l’amore più grande e allora può testimoniare questo amore grande e può portare tutti gli altri a sperimentare questa fedeltà estrema di Dio in ogni male e in ogni peccato. Ed è questa la sua funzione e così ci tiene tutti uniti. E tra l’altro gli agnelli che lui pasce non sono “suoi”, di Pietro, sono “miei” del Signore. Quindi Pietro è chiamato in fondo a dare a tutti quel cibo – questo fa il pastore – che è il Signore stesso che ha dato la vita. Questo vuol dire, fuori da ogni metafora, che il primato di Pietro non è un primato di potere, di prestigio, di onore, ma è primato di servizio, di umiltà e di perdono, perché lui è perdonato, è servito, Gesù gli ha lavato i piedi e ha dato la vita per lui. E non è onore, ma è onere, peso: porta il peso dell’amore stesso di Dio che ha sentito per sé e lo porta agli altri.

Ed è molto bello questo nella Chiesa; la Chiesa è fatta per la libertà e per l’amore e nasce dalla testimonianza di un amore grande che mi rende libero.

Bastava una volta, perché due? Poi bastavano due, perché tre, visto che c’è anche la terza?

La coscienza del proprio peccato perdonato e non rimosso, nascosto è così fondamentale che va rinnovata non solo una volta, ma due volte, non solo due volte, ma tre volte, infinite volte, perché è la cosa che subito dimentichiamo: che viviamo di amore gratuito.

Quindi è importantissima questa coscienza profonda di vivere di grazia, se no siamo disgraziati.Ed è per questo che c’è la seconda domanda.

E nella seconda Gesù gli chiede: Mi ami? Gesù vuole fargli superare quella sfiducia che ancora non esce, uscirà la terza volta quando diventa triste. Perché il suo cuore è rimasto ferito, perché ha rinnegato, come noi restiamo feriti dal nostro male, dal nostro peccato e non comprendiamo che invece nel nostro male, nel nostro peccato, si può costruire tutto.

E Pietro gli risponde ancora: Tu sai. Questo Tu sai è in tutte e tre le risposte di Pietro. Tu sai che ti tradisco, che ti rinnego, ma tu sai anche che mi hai promesso che ti seguirò perché? Perché tu mi vuoi bene. E allora, mi hai detto che anch’io ti vorrò bene e tu lo sai, e allora mi fido di te. Quindi Pietro non è più presuntuoso, ma si fonda proprio sul fatto che il Signore gli è amico, lo ama, sa che lo rinnega, sa che s’allontana da lui, eppure il Signore lo ama lo stesso.

E allora Gesù gli dice: Pasci le mie pecore.

E’ molto bello questo “mio”, è segno di appartenenza reciproca. E anche Pietro non si sostituisce mai al pastore bello, perché le pecore sono del pastore, lui ha il servizio di portarle a quel pascolo che è il perdono, perché è lì che tutti conosciamo Dio. Ed è lì che gli uomini possono unirsi tutti. Ed è lì che può nascere l’amore più grande tra tutti.
".

Ringrazio Irene dello spunto. 
Non posso non parlare del Santo Padre, Papa Benedetto XVI, che oggi ha incontrato i fedeli nell'Aula "Paolo VI" in Vaticano, dopo l'annuncio della sua abdicazione.
In questa sua udienza generale, il Papa ha parlato di questa sua decisione di lasciare il pontificato.
Egli ha detto di avere rinunciato in piena libertà personale.
Da tutto il mondo sono venuti per incontrare questo Papa che ha mostrato la sua umanità.
Persino da Israele, sono venute persone a rendergli omaggio.
In fondo, Papa Benedetto XVI è legato al suo predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, anche da ciò.
Il Beato Giovanni Paolo II mostrò la sua umanità nella sofferenza.
Papa Benedetto XVI ha mostrato la sua umanità nell'essere conscio della sua debolezza e nel dovere ammettere a sé stesso (prima di tutto) e agli altri di non potere continuare a fare il Papa.
Anche questo è un grande gesto.
Riconoscere la propria debolezza è un grande segno di forza.
Pensiamo a Gesù Cristo, quando sulla croce urlò: "Elì, Elì, lemà sabactàni?", ossia "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?".
Gesù Cristo conobbe il dolore e dovette riconoscerlo di fronte agli uomini.
Anche San Pietro, il primo Papa, dovette riconoscere la sua debolezza, quando rinnegò Gesù per tre volte.
Ora, di fronte alla debolezza si può fare solo una cosa, affidarsi a Dio.
Così fecero Gesù Cristo e San Pietro e così ha fatto ora il Santo Padre, nella grave decisione di lasciare il pontificato.
Cordiali saluti.




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