Presentazione

Presentazione
Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

Il mio libro sul Covid

Il mio libro

Il mio libro

Il mio libro

Il mio libro

Il mio libro

Il mio libro

Il mio libro

Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

Il mio libro

Il mio libro

Il mio libro

giovedì 22 marzo 2012

Intervista a Elena Manetti. Giovani e omologazione: la grafologia come strumento sociologico

Cari amici ed amiche.

Leggete questa intervista dell'amica Irene Bertoglio alla Vice-presidente e docente ARIGRAF di Roma Elena Manetti:

"Diplomata a Parigi dalla Société Française de Graphologie, docente di materie letterarie nelle scuole superiori, docente in corsi di aggiornamento per insegnanti, vice-Presidente e docente ARIGRAF Roma, è anche fondatrice di ARIGRAF Milano. Ha ricoperto inoltre la carica di Presidente dell'A.G.P. (Associazione Grafologi Professionisti) negli anni 2001 e 2002. Relatrice in congressi nazionali ed internazionali, per la RAI ha condotto una rubrica su "Letteratura Italiana e Grafologia", in onda su Radiouno. Direttore responsabile della rivista specializzata "Stilus - percorsi di comunicazione scritta". Condirettore didattico del Master in Grafocounseling della scuola di psicoterapia ASPIC. Autrice di innumerevoli pubblicazioni in riviste specializzate e monografie.


Fra le più importanti ricordiamo:


"Espressione della musica e della grafia nel barocco italiano: Monteverdi, Frescobaldi, Giovannelli", Giuffrè Editore, 1997
"Compatibilità di coppia nella clinica applicata", Franco Angeli, 1997
"Identità, scrittura e segni" (coautrice con Anna Rita Guaitoli), CEDIS, Roma 2005
"Scripta et sona", Pioda editore, 2008
"La nostra scrittura, un test per riconoscersi" (coautrice con Nicole Boille), Sovera edizioni, 2010.


Irene Bertoglio: Come è nata la passione per la grafologia?



Elena Manetti: Non ricordo nemmeno quando è nato l’interesse per la scrittura. Penso di averlo sempre avuto e di avere sempre amato lo scrivere a mano, il tracciare le lettere una dopo l’altra, quasi un disegno. Personalmente ho sempre cercato di scrivere in modo che mi piacesse e, da subito, ho notato, fin da piccola con i miei compagni di scuola elementare, la chiara attinenza tra il modo di scrivere e la personalità, per quello che potevo concepire, dello o meglio della scrivente, visto che ai miei tempi le classi elementari erano rigorosamente divise in maschi e femmine. In altre parole la scrittura “simpatica” corrispondeva perfettamente alla mia compagna simpatica, e così la scrittura “da secchiona”, troppo rifinita e pulitina, la scrittura “antipatica”, troppo grande, invadente o infiorettata, o la scrittura delle compagne con problemi e disagi, disordinate, non evolute ecc. Era un esercizio assolutamente spontaneo che sviluppava un modo di decodificare segnali di personalità. Come ognuno di noi riesce, con l’esperienza e l’intuito innato, a decodificare il valore di un sorriso, spontaneo, tirato o falso. Nessuna scrittura è uguale ad un’altra e si evolve e cambia con la nostra stessa evoluzione e cambiamento e rivedere, per fare un esempio, la nostra stessa scrittura di quando eravamo bambini o adolescenti o di momenti significativi della nostra vita ci emoziona al di là del contenuto, perché e la nostra stessa viva immagine di allora che rivediamo e i nostri muti dialoghi emozionali continueranno fino a che continuerà ad esistere quel particolare documento. L’interesse per la scrittura è continuato anche durante i molti anni di insegnamento di lettere: notavo, come insegnante attenta anche ai problemi degli allievi, le differenze nelle loro scritture e i loro disagi che si manifestavano con scritture incomprensibili, puerili, troppo piccole o troppo grandi, serrate o paffute ecc. Avevo fatto, senza alcuna competenza, un’automatica classificazione di disagi e di problemi, fino a che ho deciso di definire il mio interesse in uno studio sistematico, mi sono iscritta ad una scuola di grafologia, ho fatto, con grande passione, il triennio proposto e l’esame finale, che alla mia epoca avveniva solo a Parigi, con commissione francese e con una enorme selettività (su trecento candidati, ne furono bocciati duecento…)


Irene Bertoglio: Come è cambiata la scrittura dal tempi della sua giovinezza ai tempi attuali?



Elena Manetti: Appartengo alla generazione del ’68, avevo vent‘anni in quell’epoca e ho potuto quindi percorrere e vivere personalmente l’enorme cambiamento psicologico, sociale e culturale dell’Italia e del mondo. La scrittura registra fedelmente i cambiamenti socio-antropologici di una collettività: non è infatti solo la manifestazione di un’identità singola, ma definisce nel suo aspetto iconico gli archetipi che la società utilizza nelle varie forme di comunicazione e di comportamento e sottintende un modello riconosciuto da tutti, che è continuamente cambiato nel tempo modulandosi e adeguandosi ai cambiamenti sociali. Faccio spesso vedere, nei miei corsi, la scrittura degli adolescenti dei miei tempi e quella degli adolescenti di oggi: la differenza è enorme perché enorme è la differenza di struttura della famiglia e della scuola. La famiglia e la scuola di quaranta anni fa erano di tipo normativo e, in un certo modo, autoritario, governate da precise distinzioni di ruoli e basate più sulla capacità di sostenere frustrazioni e responsabilità, che sulla soddisfazione dei bisogni. I castighi erano fatti per suscitare sensi di colpa e di vergogna per l’infrazione di una regola etica assoluta che tutti erano tenuti a seguire. Gli adolescenti dell’epoca erano motivati a responsabilizzarsi, a diventare presto adulti, a cercare indipendenza e questo si svolgeva spesso all’insegna dello scontro generazionale e della ribellione. Attualmente non ci sono più sensi di colpa se non legati piuttosto all’aspetto fisico che deve essere magro, tonico, perfetto in ogni particolare (glutei, seno, pancia ecc.) e che impone quindi ore di palestra e alimentazione controllatissima: l’immagine fisica è rimasta in effetti l’unica forma di vera identità sociale. Per il resto l’imperativo categorico della famiglia e della scuola è tenere basso il livello di conflitto e questo fa considerare il mondo degli adulti, da parte dei ragazzi, non come avversari con cui confrontarsi, ma come interlocutori con cui contrattare, negoziare tutto, dal voto, alle norme, alle regole, in una situazione che diventa un complesso impasto di affetti, emozioni, attese, aspettative spesso ambigue e ambivalenti.


Irene Bertoglio: Quali sono le differenze nelle scritture degli adolescenti attuali?


Elena Manetti: Le scritture degli adolescenti di quaranta anni fa sono, già in ragazzi di diciassette o diciotto anni, incredibilmente adulte, ben strutturate, evolute e soprattutto diverse una dall’altra: più che il gruppo, contava molto l’evoluzione personale, un certo individualismo che non era narcisismo o egoismo, ma la capacità di riconoscere, con l’affrontare i conflitti, i propri limiti e le proprie possibilità. Per contro le scritture dei ragazzi dei primi anni sessanta mostrano spesso il senso di colpa e di inibizione che venivano introiettati per una società troppo esigente e spesso autoritaria. Le scritture sono quindi frequentemente piccole, ingorgate e schiacciate in zona media, più rigide e convenzionali, ma ordinate, con un’impostazione spaziale ineccepibile e secondo regole tipografiche seguite da tutti ( pagina ben strutturata, presenza di margini, buon rapporto bianco-nero ecc.) Le scritture degli adolescenti attuali sono spesso in stampatello o script, puerili-infantili, con i segni di un narcisismo adolescenziale esigente nell’affettività e velleitario (scritture basse, gonfie, grandi) e la presa di spazio è troppo piena ed invadente. Un’altra caratteristica riscontrabile nelle scritture degli adolescenti attuali è l’incredibile standardizzazione: sembra in effetti che si sia diffusa una forma di comunicazione scritta uguale per tutti e che codifica un modo di essere del gruppo stesso e proprio chi è diverso anche nella grafia, è emarginato e escluso, come riferiscono gli insegnanti. Indubbiamente tra i problemi della scrittura a mano di questa generazione c’è anche il fatto che si scrive poco, per la diffusione del computer o per l’abitudine agli esami orali o ridotti a test, ma il problema penso che possa essere più profondo: la scrittura è un test interessante perché ci fa vedere il processo di individuazione di chi scrive, l’immagine di sé, la raggiunta integrazione delle varie funzioni, la capacità di adattamento, l’autostima, la dinamica tra motivazioni e compensazioni: per questi giovani sembra invece mancare una vera identità, una rivendicazione di ruolo: è piuttosto evidente una certa dipendenza, immaturità affettiva, bisogno di farsi supportare da un gruppo e poca autonomia, ma si notano anche, a differenza delle scritture di quaranta anni fa, senso ludico e capacità di vivere al momento, doti che occorrono forse in una società tecnologica che non offre più regole, valori e sicurezze.".


Innanzitutto, faccio i miei complimenti ad Irene per l'ottima intervista.
Irene è sempre molto attenta alle tematiche.
Io penso che i giovani di oggi abbiano perso la capacità di esprimere un'"identità individuale" a vantaggio di quella "collettiva".
C'è una massificazione sempre maggiore, una massificazione dovuta anche all'espansione dei social-network.
In pratica, i giovani hanno perso l'abitudine a fare amicizia e a socializzare "sul campo", preferendo celarsi dietro ad un computer.
Qualcuno potrebbe contestarmi, dicendo che anch'io ho una pagina su un social-network.
Ciò è vero ma cerca sempre di considerare come amici nel senso stretto del termine solo le persone che conosco realmente.
Non riesco a vedere come amici veri le persone con cui sono in contatto su Facebook.
Certo stimo molte di loro, come Irene Bertoglio, Morris Sonnino, Sara Astrologo, Anna Castaldo Morville Riccardo Di Giuseppe, Francesca Padovese, Filippo Giorgianni, Stefania Ragaglia, Alessandra Spanò, Vittorio Leo ed Angelo Fazio.
A qualcuna di queste persone ho inviato qualche cartolina.
Tuttavia, non riesco a considerarle come amici in senso stretto, né a guardarle come tali, perché, purtroppo, non le conosco di persona.
Sarà anche perché ho avuto qualche esperienza personale "memorabile", per un motivo sbagliato, che mi ha reso un po' diffidente.
Certo, se qualcuna delle persone conosciute su Facebook diventasse mia amica nella realtà, non sarebbe male.
Purtroppo, questo fenomeno ha creato anche un'omologazione nella scrittura.
Scrivere, per esempio, manualmente una lettera non trasmette solo un contenuto ma anche l'identità dell'autore.
Ad esempio, la larghezza dello spazio tra una parola e quella vicina, il "ricciolo" sulla lettera "o" piuttosto che sulla lettera "a" o l'inclinazione della lettera "t", possono rivelare molto del carattere e dell'identità di colui che scrive.
Anche il codice può dire molto della persona che scrive.
Ad esempio, esso rivela il suo livello di cultura.
La scrittura, quindi, ha un doppio canale, il "contenuto", ossia quello che c'è scritto ed il "contenitore" ossia il modo in cui il contenuto è espresso.
La scrittura è intrinsecamente legata all'identità della persona che scrive.
Forse, noi dovremmo tornare alle basi, ossia usare meno il computer e di più le mani.
Cordiali saluti.

Nessun commento:

Posta un commento

Translate

Continuiamo insieme per Roncoferraro

Ieri sono stato alla convention della lista Continuiamo insieme per Roncoferraro , la lista che sostiene l'attuale sindaco di Roncoferr...