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martedì 4 ottobre 2016

Campagna referendaria per il "no", il commento di Daniele Capezzone

Cari amici ed amiche,

prendo spunto da un articolo del blog di Daniele Capezzone che è intitolato "Referendum, da no un "manuale" su come (provare a) perdere una campagna già vinta".
Dell'articolo, prendo questo pezzo:

"Fantastico. Quando si scriverà la piccola storia politica di queste settimane, rischieremo di poterne ricavare una “case history”, un manuale su come perdere una campagna referendaria già vinta, da parte del fonte del No.

Già c’è l’ipoteca rappresentata dal sostanziale disimpegno di Forza Italia: per ora, infatti, al di là del personale attivismo di alcune figure, il silenzio di Silvio Berlusconi non è stato ancora rotto (solo per ragioni di convalescenza?), e la scelta di un uomo come Renato Schifani, che ha votato la “riforma” per tre volte (con dichiarazioni parlamentari di iperbolico entusiasmo), come coordinatore delle attività del No, sembra un ulteriore segno di confusione e ambiguità, ad essere gentili.

Sta di fatto che, secondo tutti i sondaggi, il No sarebbe ancora in vantaggio, sia pure con un elevato numero di italiani indecisi.

Da mesi (anzi: da due anni, per tutto il percorso delle “riforme”), noi Conservatori e Riformisti abbiamo detto un No diverso dagli altri. Non perché la “riforma” faccia troppo, ma perché fa troppo poco e male. Non perché sia autoritaria, ma perché sarà ancora più paralizzante (con la follia dei dieci procedimenti legislativi inseriti nell’articolo 70). Non perché sia decisionista, ma perché (al contrario) il mix tra il nuovo Senato, il rischio di conflitti sulle procedure, e il caos che ne deriverà, forniranno favolosi strumenti di ricatto a frenatori e ostruzionisti (specie a quelli interni alla maggioranza del momento)."
.

Sono d'accordo con quanto scritto dall'onorevole Capezzone.
Il punto vero è che fino ad ora per il "no" hanno parlato solo coloro che, come Marco Travaglio e Gustavo Zagrebelsky sono contro ogni riforma della nostra costituzione.
Nel 2006, questi personaggi erano contro le riforme proposte dal centrodestra.
Invece, la maggior parte del fronte del "no" non è contro le riforme costituzionali.
Anzi, la maggior parte di noi italiani ritiene che questa costituzione sia da riformare.
Il problema è che le riforme volute dal premier Matteo Renzi sono sbagliate.
Proprio la seconda parte dell'articolo di Capezzone lo spiega:

"Non a caso, infatti, proponevamo (ma Renzi ha detto no: di qui il nostro voto contrario in Parlamento) tre cose che avrebbero davvero consentito di passare alla Terza Repubblica. Primo: l’abolizione secca del Senato (altro che dopolavoro per consiglieri regionali!). Secondo: il presidenzialismo, per avere una svolta decisa sulla forma di governo. Terzo: un tetto fiscale in Costituzione, per voltare pagina anche nel rapporto tra stato e contribuenti.

Ora, però, il centrodestra e il fronte del No stanno commettendo tre errori che rischiano di essere esiziali.

  1. È incredibile che non ci siano contestazioni (né politiche né in sede di Commissione di Vigilanza e Authority) nei confronti dei telegiornali (Rai e purtroppo anche Mediaset) schiacciati ogni sera a favore del governo.
  2. È surreale che si schierino “mummie” dell’immobilismo costituzionale alla Zagrebelsky, espressione – nella forma e nella sostanza – della linea “questa è la Costituzione più bella del mondo”. Di questo passo, si consegnerà a Renzi la palma dell’innovatore, che è ciò che il Premier – in difficoltà drammatica su tutti i dossier – cerca disperatamente.
  3. È assurdo che si dimentichi il vero tallone d’Achille del Governo, e cioè un’economia bloccata e una crisi bancaria alle porte. Solo un’opposizione così confusa e senza idee può riuscire a non trarre vantaggio da queste condizioni “ambientali”.".
Renzi vuole fare il "sindaco d'Italia".
Perciò, ha proposto questo tipo di riforme.
Renzi ed i suoi sostenitori (come il sindaco di Firenze Dario Nardella) hanno detto a chiare lettere che essi vogliono importare nella politica nazionale lo stesso modello elettorale già in vigore nei nostri Comuni.
Peccato, però, che questa riforma sia un pasticcio.
Prima di tutto, per essere fare il "sindaco d'Italia" bisogna passare dalla una repubblica di tipo parlamentare (come la nostra) al presidenzialismo (un modello di Stato simile a quello americano) con il Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo e non dal Parlamento.
Certo, se si vuole fare diventare l'Italia una repubblica presidenziale bisogna comunque separare l'elezione del Presidente della Repubblica da quella del Parlamento.
Negli USA funziona così.
Qui in Italia, un modello simile è presente nei grossi Comuni della Regione Sicilia.
Nei Comuni siciliani può capitare che venga eletto un sindaco di una schieramento ed un Consiglio comunale di orientamento opposto.
Possiamo dire che nei Comuni siciliani ci sia un "sistema quasi americano", che sarebbe il migliore.
Invece, nei Comuni delle altre regioni il Sindaco ed il Consiglio comunale (che nel è l'equivalente del Parlamento nazionale) sono eletti insieme ed il Sindaco ha la maggioranza anche in Consiglio comunale.
Ora, Renzi vuole fare il "sindaco d'Italia" ma per fare il "sindaco d'Italia" si deve passare al presidenzialismo.
La riforma di Renzi mantiene lo schema la repubblica parlamentare, con il Presidente della Repubblica eletto dal Parlamento.
Purtroppo, se al referendum che ci sarà il 4 dicembre passasse questa brutta riforma, noi ci troveremmo con una parte del Parlamento che non rappresenterebbe il popolo, poiché il Senato sarebbe costituito da cento senatori non eletti da nessuno ma nominati dai Consigli regionali e tra i sindaci.
Alla faccia del superamento del bicameralismo paritario, questo Senaticchio di gente non eletta dal popolo continuerebbe a mettere bocca nel processo legislativo e parteciperebbe all'elezione del Presidente della Repubblica.
Se si fosse voluta fare una riforma seria si sarebbero potute scegliere due opzioni.
La prima di queste sarebbe stata creazione di un Senato "all'americana" eletto con collegi uninominali e costituito da trentuno senatori (ventuno di questi eletti nelle Regioni e dalle Province Autonome di Trento e di Bolzano, cinque nominati dal Presidente della Repubblica e cinque eletti all'estero).
In queste condizioni i senatori potrebbero presentare proposte di legge ma non potrebbero proporre leggi tributarie (questa funzione spetterebbe in esclusiva alla Camera dei deputati), anche se potrebbero modificarle senza limitazioni. Ciascuna proposta, per divenire legge, dovrebbe essere esaminata e approvata da entrambe le camere. Se le due camere approvassero versioni diverse della stessa proposta, verrebbe nominata una commissione congiunta che elaborerebbe un testo di compromesso, da sottoporre nuovamente alle due camere per l'approvazione definitiva.
Il Senato avrebbe anche alcuni poteri esclusivi, di cui la Camera sarebbe priva.
Presidente (che sarebbe eletto dal popolo) necessiterebbe del consenso del Senato per concludere trattati internazionali e per nominare funzionari e giudici statali.
L'altra opzione sarebbe stata l'abolizione totale del Senato, con il conferimento della funzione di raccordo tra lo Stato e le Regioni alla Conferenza Stato-Regioni.
Renzi non ha scelto né l'una né l'altra opzione e ha fatto un gran pastrocchio.
Riguardo alle Regioni, anziché fare un vero federalismo che avrebbe potuto riequilibrare le competenze dello Stato e delle Regioni, la riforma di Renzi toglierà poteri alle Regioni a statuto ordinario ma manterrà i privilegi delle Regioni a statuto speciale.
Ergo, se anche fosse approvata la riforma, una Regione come la Sicilia (che è a statuto speciale e che ha tanti problemi) avrebbe ancora il suo apparato burocratico pletorico e costoso.
Per questo, io voterò "no".
Cordiali saluti.
























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Il peggio della politica continua ad essere presente

Ringrazio un caro amico di questa foto.