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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

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martedì 17 dicembre 2013

Malia Zheng: "Non chiamateci schiavi, stiamo cercando il riscatto sociale (e voi non ci aiutate)".

Cari amici ed amiche.

L'articolo della rivista "Panorama" riporta un articolo intitolato "Non chiamateci schiavi, stiamo cercando il riscatto sociale (e voi non ci aiutate)".
In questo articolo uno scritto di Malia Zheng, una blogger di venticinque anni che collabora con il giornale "Il Tirreno" e che gestisce il blog "Incontri ravvicinati".

Malia è nata in Italia da genitori da genitori cinesi (della prefettura di Wenzhou, a 400 km da Shanghai) e ha studiato scienze politiche a Firenze, laureandosi in media e giornalismo.
Malia ha commentato l'incendio che nel 1 dicembre scorso ha distrutto un'azienda cinese di Prato e che ha ucciso sette persone e ne ha ferite gravemente due.
Dell'articolo è interessante la parte che recita:

"Ma che cosa è veramente successo a Prato? E chi ne ha colpa? E' diventata quasi una sfida all'ultima parola. 
Le accuse arrivano per tutti, ma fino a prova contraria non servono a risolvere i problemi. 
Raccontare in poche righe quale sia la reale situazione della comunità cinese di Prato è impossibile.
Ciò che oggi più che mai si fa fatica a comprendere che i cinesi in Italia arrivano con il bisogno di soddisfare necessità primarie, le stesse che avevano spinto gli italiani antenati, parenti, conoscenti a emigrare altrove: cibo, soldi, riscatto sociale, benessere della famiglia e tutto ciò che va oltre il sacrificio personale. "Il mio dolore per la loro serenità" dice un operaio di Prato, giunto in Italia dalle campagne del Fujian incapace di sfamare e offrire ai suoi cinque figli un'educazione. Come lui sono tanti.
C'è un capitolo del libro "I cinesi di Prato", scritto da Hong Liping, ex assessore  alla Cultura della regione dello Zhejiang. Quel capitolo s'intitola: "Prato, vorrei dirti ti amo ma non è facile".
La scrittrice racconta degli ostelli abusivi e di come, con pochi soldi in tasca, alcuni cinesi si arrangino nei primi nei primi giorni in Italia: "A quelli che arrivano senza lavoro e senza un posto dove dormire, certi connazionali offrono un letto per 6 Euro a notte, qualcosa in più se ne servizio si vuole includere il pasto"".

Ora, io vorrei porre una domanda: se i cinesi sono tanto poveri,  come fanno ad avere i soldi con cui comprano le attività degli italiani, occupando di fatto interi quartieri di città?
Il caso di via Paolo Sarpi a Milano e del quartiere dell'Esquilino a Roma sono due esempi.
I cinesi vengono e comprano i negozi, le aziende ed i ristoranti dagli italiani.
Quel quartiere in cui si trovano quelle attività comprate dai cinesi, diventano vere e proprie "Chinatown", che di fatto sono "Stati nello Stato".
In questi quartieri, la polizia ed i carabinieri fanno spesso fatica a contrastare le situazioni di illegalità, poiché le comunità cinesi sono spesso riottose a collaborare.
C'è una forte omertà.
Ora, bisogna capire da dove vengono quei soldi con cui i cinesi comprano i negozi e le attività degli italiani.
Essi vengono con mazzi di contanti e pronti a pagare sull'unghia gli italiani che vendono loro le attività.
L'uso di contanti per grosse transazioni è anche di fatto una forma di evasione fiscale.
Inoltre, c'è poca trasparenza anche per ciò che concerne gli affari fatti dai cinesi.
Questo deve essere spiegato.
L'articolo prosegue:

" Dal mio punto di vista la Chinatown di Prato nasce non per volere dei cinesi. I cinesi non si sono imposti pensando di creare un loro quartiere o pensando di lavorare illegalmente. La realtà cinese, per come ci appare alla luce degli ultimi ultimi eventi, nasce per la negligenza degli italiani che hanno insegnato ai nuovi cittadini arrivati come funziona e non come dovrebbe funzionare l'Italia".

Più che di negligenza, io parlerei di buonismo.
Qui in Italia c'è chi permette un'immigrazione senza condizioni.
Mi riferisco a certi partiti politici e a certe associazioni (come i sindacati o certe associazioni cattoliche di base)  che dicono agli immigrati che in Italia ci sono dei diritti e che non fanno capire loro che ci sono anche dei doveri.
Questo avviene "in nome dell'accoglienza".
I nome dell'accoglienza si è sacrificata la legalità.
Vista anche la situazione, qui in Italia non ci possono essere porte aperte per tutti.
Situazioni come queste si sarebbero potute evitare, con meno buonismo e più criterio.
Cordiali saluti.


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Ringrazio un caro amico di questa foto.