Cari amici ed amiche.
Su Facebook, l'amico Vito Schepisi ha pubblicato questa nota:
"Durante la Presidenza Reagan, negli USA, agli inizi degli anni 80, un suo consigliere economico, Arthur Laffer, lo spinse a ridurre la pressione fiscale. I risultati, nell’immediato videro una consistente riduzione del gettito fiscale, ma nel medio e lungo periodo ne registrarono un altrettanto consistente aumento. Laffer è stato tra i sostenitori della teoria dell’offerta in economia. La Supply-side economics - di cui lo stesso Laffer assieme ad altri economisti è stato fautore - nata negli USA negli anni settanta ha influenzato la Reaganecomics degli anni 80. La teoria degli economisti americani, al contrario dell’idea keynesiana, incardinata sulla domanda aggregata di beni e servizi, a cui far corrispondere altrettanta offerta aggregata per l’equilibrio del sistema economico, concentrava, invece, l’attenzione sull’offerta di beni e servizi da incentivare con meno tasse. Con la riduzione della quantità di lavoro assorbita dal prelievo fiscale, per la nuova teoria economica, ci sarebbe stato maggiore interesse a lavorare e produrre di più.
Se la domanda di beni e servizi non si mostrava sufficiente a realizzare l’equilibrio, in sinergia con le necessità sociali del pieno utilizzo delle risorse (più largo impiego di mezzi e persone), il compito dello Stato doveva essere quello di intervenire. Come? Incentivando l’offerta con la riduzione delle tasse. Partendo da questi concetti Laffer si sforzò di far comprendere come fosse possibile ottenere lo stesso gettito con 2 aliquote differenti di tassazione.
Si racconta che in un ristorante, Laffer, disegnando su un tovagliolo due linee incrociate, cioè un sistema di assi cartesiani, ragionando in termini di gettito e aliquote fiscali, tracciò una curva che convinse Reagan. Quella che poi è stata chiamata “La Curva di Laffer” partiva da due presupposti: il primo basato sul concetto che lo stesso gettito fiscale potesse essere ottenuto con due aliquote differenti; il secondo sul presupposto dell’esistenza di un livello di aliquota fiscale che fosse il margine oltre il quale l’aumento delle tasse non sarebbe stato in grado di produrre maggior gettito fiscale, ma, al contrario, una riduzione. Negli assi cartesiani disegnati da Laffer, la linea delle ascisse rappresentava le aliquote, mentre quella delle ordinate il gettito. Il ragionamento era elementare perché basato su due certezze: le entrate fiscali per ovvie ragioni si azzerano sia con un’aliquota dello 0% (nessun gettito) e sia con un’aliquota del 100% (nessun reddito).
Tra la percentuale minima (zero) e quella massima (100), pertanto, ci dovevano essere tutti i valori intermedi diversi da zero. In un sistema di assi cartesiani, i diversi valori corrispondono a diversi punti, e in un sistema progressivo in cui a ogni valore corrisponde un proporzionato fenomeno, l’unione dei punti intermedi va a formare una curva. Nella curva, a ogni valore del gettito corrispondevano due punti, e ad ogni punto di intersezione nella curva corrispondeva nelle ascisse un altro punto, cioè la misura di una aliquota fiscale.
Due intersezioni, due punti, due valori diversi sulle ascisse e quindi due aliquote fiscali diverse: la tesi che si potesse ottenere lo stesso gettito attraverso due differenti aliquote era così soddisfatta. L’altra, sull’esistenza di un livello in cui l’aumento delle aliquote non avrebbe prodotto incremento del gettito, doveva essere anche implicitamente soddisfatta, esistendo, nello stesso sistema di assi cartesiani, un solo punto di una curva in cui passa la tangente perpendicolare all’asse delle ordinate (gettito fiscale).
Sostenere, così, che a quel punto corrisponde il valore massimo del gettito, è come dire che oltre quel punto (aliquota), aumentandone la misura, diminuisce il gettito fiscale.
Vito Schepisi".
Un dato sintomatico sta nel fatto che l'export dei nostri prodotti dall'Italia all'estero funzioni.
Le aziende che esportano all'estero i propri prodotti guadagnano, dalle esportazioni.
Quello che non funziona è la domanda interna.
Questo fa sì che molte aziende falliscano e che ci sia la disoccupazione.
Secondo le statistiche, per sei mesi un italiano lavora solo per pagare le tasse.
In pratica, la pressione fiscale arriva al 50%.
Anzi, lo supera.
Con una pressione fiscale del genere, gli italiani non comprano e le aziende non riescono a vendere al proprio interno ciò che producono.
Quindi, le aziende hanno speso soldi, per produrre, ma poiché i cittadini non comprano (e le attività commerciali chiudono) non riescono a compensare questi costi.
Quindi, vanno in perdita.
Inoltre, anche le stesse aziende sono tassate oltre una misura consentita.
Bisogna tagliare le tasse.
Come?
Prima di tutto, servono delle riforme interne.
Va tagliata la burocrazia.
Mi spiace dirlo, ma molti uffici pubblici sono inutili e vanno chiusi.
Perciò, qualcuno dovrà essere mandato a casa o ricollocato in qualche altro posto.
Magari, certi enti pubblici possono essere privatizzati.
Vanno abolite (o riviste) certe leggi, come la "Legge Mosca" del 1974, legge che concede privilegi fiscali alle cooperative.
Vanno riformate le istituzioni.
Serve un vero federalismo che abbia il principio di responsabilità.
Se una Regione andasse in default, con il principio di responsabilità, non andrebbe a casa solo l'amministratore ma anche il ceto burocratico della stessa.
Vanno tagliate le "pensioni d'oro", che costano allo Stato ben 14.000.000.000 di Euro annui.
Così, si possono abbassare le tasse ma per fare sì che ciò sia efficace serve anche fare la voce grossa in Europa e dire che la "ricetta tedesca" del rigore non funziona.
Di tasse si può anche morire.
I suicidi che sono lo dimostrano.
Cordiali saluti.
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