La scelta di candidare Romano Prodi al Quirinale non è felice per il nostro Paese.
L'ho scritto nell'articolo intitolato "Prodi al Quirinale? Nessuna pacificazione!" e lo ripeto ora.
Prodi non è gradito nemmeno alla Chiesa.
Leggete l'articolo scritto su "Affaritaliani.it" che è intitolato "Prodi verso il Colle, ma Oltretevere piace tanto D'Alema. Ecco perché".
La Chiesa, infatti, si ricorda bene di quel voto al referendum del 2005, quello sulla legge sulla fecondazione assistita.
Prodi andò a votare.
In quell'occasione, Prodi disse: "Sul referendum sono un cattolico adulto e andrò a votare. Mi sento tranquillo, sui valori, non abbiamo da imparare da nessuno".
Ora, la Chiesa rappresenta la maggioranza degli italiani e preferisce Massimo D'Alema, un personaggio che non è credente ma che è visto come più rispettoso verso i cattolici.
Il Presidente della Repubblica rappresenta l'unità del Paese.
Prodi non è una figura capace di unire e di parlare con tutti e a tutti.
Quello che è peggio è il fatto che una coalizione che ha preso solo il 29,55 % dei voti occupi tutte e quattro le più importanti cariche dello Stato.
Questo è gravissimo.
Il Partito Democratico paragona questa scelta a quella di Giorgio Napolitano nel 2006.
I democratici commettono un grosso errore.
A differenza del 2006, qui non c'è nemmeno una risicata maggioranza al Senato ed il centrosinistra ha preso solo il 29,55% dei voti.
Il Partito Democratico è irresponsabile.
Non potrà governare, senza fare un accordo con il Movimento 5 Stelle o il centrodestra.
Visto e considerato, l'accordo con il centrodestra salta.
Il centrosinistra dovrà accordarsi con il Movimento 5 Stelle.
Quest'ultimo incomincerebbe a porre dei veti e, per esempio, direbbe no alla TAV Lione-Torino, opera su cui una parte del Partito Democratico è d'accordo.
Il PD si spaccherà e si tornerà al voto.
Se il Partito Democratico si spaccasse non sarebbe certamente un problema per il centrodestra ma verrebbe meno il governo del Paese.
Il Partito Democratico si è cacciato in un bel guaio e sta trascinando l'Italia con sé.
Questo è inaccettabile.
In Italia serve una pacificazione.
Anche le feste civili sono diventate motivo di scontro.
Vi invito a leggere questo bell'articolo scritto da Marco Macrì sul suo blog ed intitolato "Il 25 aprile io non festeggio! Io ricordo i 20.000 italiani uccisi dai partigiani":
"Il 28 Aprile 1945 a villa Belmonte, il gruppo composto da Mussolini, la Petacci, Valerio, Moretti, Neri, Gianna, Lino e Sandrino arriva al punto in cui è stata lasciata la 1100. Benito Mussolini ha il volto sicuro, adesso. Forse pensa davvero di essere un uomo libero. “Sali”, dice Valerio. “Ma con quel berretto da fascista è una grana”. Mussolini elimina il berretto, ma così mostra la sua notissima testa calva. “E questa qui?” “Prova a calarti la visiera sugli occhi. Forse non si capirà che berretto è”. Partono. In quaranta secondi sono a pochi passi dalla villa Belmonte di Giulino di Mezzegra. Per tutto il breve tragitto i due amanti sono rimasti abbracciati, senza fiatare. Si scende. Claretta forse ha capito. Porge la sua pelliccetta all’autista. “Le lascio questa, tanto a me non serve più…” Il cancello è alto e grigio, fatto a lamiere, e ai lati corre il muretto basso della villa. Valerio è andato di corsa a dare un’occhiata all’altro cancelletto, piccolo, largo un metro e venti, con pilastrini di quaranta centimetri. Ma si è subito reso conto che il posto ideale per un’esecuzione è il cancello grande. Guido e Moretti si allontanano di corsa a sorvegliare le due curve della strada, per fermare chiunque arrivi. Lino e Sandrino arrivano anche loro correndo perché hanno finalmente capito cosa sta per accadere. Ma Aldo Lamperti “Guido” li costringe a fermarsi agitando il mitra e con un’aria assai eloquente. Valerio fa avanzare Mussolini e Claretta fino al cancello. Al primo ordina di fermarsi tra il muretto e il pilastro. Il duce appare ormai senza più volontà: ubbidisce, docile come un agnello. Forse non crede ancora di dover morire, si illude fino all’ultimo. Claretta è scivolata d’impeto al fianco di lui, che dà la schiena al muretto. Risuona ora la voce aspra e secca di Valerio. Il colonnello legge il testo della condanna a morte del criminale di guerra Benito Mussolini: “Per ordine del comando generale del corpo volontari della libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano”. Mussolini probabilmente non ha capito. Guarda con occhi sbarrati, come affascinato, la canna del mitra. Claretta gli butta appassionatamente le braccia sulle spalle, come per proteggerlo. “Togliti di lì”, urla Valerio, “se non vuoi morire anche tu!” Adesso Mussolini ha capito e trema. Ha lo sguardo pieno di muta interrogazione straziante e di dolore, le sue labbra mormorano: “Ma, signor colonnello…” Poco prima Valerio aveva sparato nella piazza di Bonzanigo per provare il suo mitra. Ma ora preme il grilletto e i colpi non partono. Manovra l’otturatore, e ancora l’arma non spara. Arriva di corsa Lampredi, punta la pistola contro il duce, e anche questa assurdamente s’inceppa. Allora arriva su anche Moretti e ha in pugno i lmitra. Mussolini è sempre là, pallido come uno straccio, barcollante, senza più nulla di umano nel suo disperato sfacelo. Chi spara? Valerio o Moretti? La voce popolare sul lago di Como dirà per molti anni che è stato Pietro a fare da giustiziere. Parte una inesorabile raffica di mitra che investe quel Gran Corpo tremante. Il duce si affloscia sulle ginocchia, le raffiche lo hanno investito in pieno petto, rade il muro con il corpo massiccio, la testa è reclinata sul petto. E’ finita. La Petacci si è gettata con tutte le sue forze ad abbracciare l’uomo che sta cadendo, e ha lanciato un urlo terribile. E’ investita anche lei dalle raffiche di mitra, crolla al suolo con un grido, il suo sangue si mescola con quello di Mussolini. I cadaveri di Mussolini e di Claretta, insieme con quelli dei gerarchi fucilati subito dopo da Valerio e Dongo, vennero caricati su un autocarro giallo che alle venti dello stesso 28 aprile si diresse a Milano. Entrò nella città che era buio e faceva freddo. Alle 3.40 del 29 aprile diciotto salme furono scaricate vicino al distributore di benzina di piazzale Loreto, nello stesso luogo dove il 10 agosto 1944 i fascisti avevano fucilato quindici partigiani. Ebbe inizio allora un lugubre e terribile spettacolo. Prima arrivarono pochi passanti incuriositi e increduli, quindi rapidamente andò formandosi attorno ai corpi una folla immensa. Alle prime luci della folla si gettò contro quei cadaveri a pugni, calci e sputi, con urla disumane. Il momento più spaventoso fù quando una donna del popolo si avvicinò al cadavere di Mussolini, la cui testa appariva enormemente ingrossata, e gli sparò contro cinque colpi di pistola urlando: “Questi per i miei cinque figli morti nella tua guerra!” Il furore non conosceva ormai più limiti. I loro cadaveri vennero issati su un traliccio e il popolo potè assistere per lunghe e interminabili ore allo spettacolo macabro di quegli impiccati che dondolavano a testa in giù. PENSO CHE DOPO QUESTA CHIARA ESPOSIZIONE DEI FATTI... NESSUNO HA IL DIRITTO DI TRASFORMARE LA STORIA IN UN MODO COMPLETAMENTE DIVERSO! LE SCUOLE PUBBLICHE IN PRIMIS DOVREBBERO FARE UN ACCURATO ESAME DI COSCIENZA PRIMA DI INSEGNARE AI BAMBINI FATTI REALMENTE INESISTENTI... TUTTO QUESTO, ESCLUSIVAMENTE A FINI DI LOTTA POLITICA... VERGOGNA!!! Marco Macrì.".
Sia chiaro, questo articolo non è apologia di fascismo.
Io non sono fascista e non ho simpatie per il fascismo.
Non lo è nemmeno Macrì.
Il fascismo fece dei crimini immondi, come il Patto d'Acciaio con Adolf Hitler e leggi razziali contro gli ebrei, che furono fatte in funzione di questa alleanza scellerata con il dittatore tedesco.
Però, anche i partigiani fecero dei crimini immondi.
Basti pensare al "Triangolo della Morte" in Emilia-Romagna o alle foibe.
Purtroppo, c'è chi vuole canonizzare i partigiani, senza tenere conto del fatto che quei crimini immondi ci fossero stati.
Sono loro che contribuiscono a spaccare l'Italia.
Con l'elezione di Prodi in questo modo, il mondo ci riderà in faccia.
Cordiali saluti.
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