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mercoledì 10 aprile 2013

Dal blog "Stand Up and Fight": "Iron Lady R.I.P.!"



Cari amici ed amiche.

L'amica Francesca Padovese ha pubblicato sul suo blog "Stand Up and Fight" questo articolo intitolato "Iron Lady R.I.P.":


"Ieri, all’età di 87 si è spenta la Lady di Ferro, Margaret Thatcher, la prima e fin d’ora unica donna ad aver raggiunto il 10 di Downing Street, dal 1979 al 1990.

Una donna determinata, coraggiosa, risoluta, con una forza di carattere e di volontà immense. Una donna con una chiarezza di giudizio assoluta e con una coerenza di ferro con cui ha difeso i valori in cui credeva.

Voglio ricordarla riportando un articolo di William Ward pubblicato su “Il Foglio” del 26 Novembre 1996:

Tutti i grandi leader politici del nostro secolo, non c’è nessuno le cui origini sociali siano state oggetto di un interesse così vivo quanto quelle di Margaret Thatcher. Alcuni le hanno esaminate con attenzione, per trovarvi la spiegazione del successo davvero singolare di una outsider, per giunta donna, apparsa all’improvviso, senza visibili punti di appoggio né nell’establishment politico né in quello socio-culturale, e diventata per un intero decennio così potente e influente. Altri invece hanno scavato in quelle origini con il malcelato desiderio di ridimensionare la portata del suo operato politico, confidando nel disprezzo per la piccola borghesia che in Inghilterra, come in tutto l’Occidente, accomuna la classe dirigente, il ceto intellettuale chic e la classe operaia sindacalizzata. E non c’è dubbio che la sua reputazione, in patria e nel mondo, debba molto all’inimicizia che le ha dimostrato questa seconda scuola di pensiero, circostanza che va tenuta presente nel momento in cui ci si accinga a raccontare l’epopea thatcheriana. Margaret Hilda Roberts nasce il 13 ottobre 1925 a Grantham, nella contea nordorientale del Lincolnshire. Figlia unica, serba il forte ricordo di una sola persona che abbia potentemente influito sulla sua infanzia, segnando anche il suo destino politico: suo padre. Alderman Alfred Roberts, droghiere, predicatore laico metodista e consigliere comunale, è diventato, in Inghilterra, una leggenda postuma, e la sua bottega un vero e proprio luogo di pellegrinaggio. Margaret lo ha sempre invocato come padre nobile della sua filosofia politica. Classico esempio di “self made man”, Alderman si alzava prestissimo e lavorava fino alle ore piccole. “Era convinto che la vita sia una questione di carattere, e che il carattere si formi con la fatica quotidiana”, dirà di lui la figlia, e ogni volta che loderà l’impegno lavorativo (e quindi, per lei, morale) del padre, metterà sotto accusa non una, ma due classi sociali. “Pensare a quanto lavorava mio padre, sempre senza sosta, mi riempiva di disprezzo non solo per gli operai che scioperavano inutilmente, ma anche per gli impiegati e i manager statali che si alzavano dalla scrivania, spensierati, alle cinque”.

È così che il pensiero thatcheriano comincia a distaccarsi dal precedente garantismo filo-borghese dei conservatori britannici, a favor e di coloro che “lavorano duro”. Ed è così che l’amara lezione empirica appresa dalla figlia del droghiere di Grantham era destinata a dar luogo alla più profonda trasformazione nell’identità di un partito britannico in questo secolo. A partire dal 1975, infatti, anno in cui Margaret Thatcher ne divenne il leader, i tories non sarebbero più stati il partito delle privilegiate “upper and middle classes”, bensì di tutti coloro che si davano da fare. Anche negli anni del suo massimo potere, Maggie manterrà l’abitudine di spiegare agli elettori i più sofisticati teoremi liberisti con il linguaggio casalingo della “filosofia della pignatta”, ovvero della saggezza popolare anglosassone, per la grande ilarità dei suoi avversari e detrattori. In realtà, le origini sociali della Thatcher non costituivano di per sé una novità politica, dato che i tre precedenti primi ministri (i laburisti Harold Wilson e James Callaghan, e il tory Edward Heath) avevano già interrotto da tempo la tradizionale egemonia delle classi alte a Downing Street (Winston Churchill, Anthony Eden, Harold MacMillan). Ma Margaret è stata il primo leader inglese che ha osato sfruttare (come una sorta di Evita Peron) le sue modeste origini, sia pure nel contesto della ricchezza e del successo raggiunti, sfidando così un potente tabù inglese. I suoi primi passi sono solidi, ma non straordinari. Maggie frequenta una buona scuola di Grantham e quindi ottiene un posto a Oxford, dove si laurea in chimica. Si iscrive da subito alla Conservative Association dell’università, crogiolo del futuro establishment nazionale, nella quale fa le prime frequentazioni politiche. Ben presto si sposa con il ricco businessman Denis Thatcher, insieme al quale va a vivere in una bella casa di Chelsea, il quartiere chic della capitale, dove dà alla luce i gemelli Mark e Carole, educati privatamente.

Nonostante tutto il fervore neo-vittoriano per i valori familiari, non darà segno di doti materne eccezionali. Ma a questo punto parte la sua scalata politico-sociale. Maggie prende lezioni di dizione per attenuare il forte accento regionale, abbandona il credo metodista, un po’ provinciale, per abbracciare la più “respectable” Chiesa anglicana, rinnova il guardaroba con quei vestiti, tailleur e cappelli, spesso con disegni fantasia, che tanto si addicono alle “tory ladies”. Siamo a metà degli anni Cinquanta. Così mimetizzata, Margaret Thatcher comincia la sua militanza nei circoli londinesi del partito, arrivando presto (nel 1959) a farsi eleggere deputata in una circoscrizione piccolo-borghese con forte presenza ebraica, a Finchley, nella periferia nord di Londra. Continuerà a rappresentare la stessa zona fino alla elevazione alla Camera dei Lords, nel 1992. Nasce così, un po’ per caso, la sua forte simpatia per la cultura ebraica, che rimane uno dei grandi leit-motiv della sua carriera politica. Se confrontato con il partito laburista di oggi, il partito conservatore dell’era Mac- Millan (1956-1963) stava molto più “a sinistra”. Il consenso post- bellico era infatti keynesiano, statalista, internazionalista e spendaccione. E nei suoi primi quattordici anni a Westminster, la Thatcher si collocherà diligentemente in questa tradizione. Nel 1965, durante il primo gabinetto Wilson, il leggendario leader della sinistra tory, Ian Macleod, allora Cancelliere dello Scacchiere nel governo ombra, scelse Margaret come proprio vice. Il lungimirante Macleod aveva già riconosciuto in lei la stoffa del vero leader, ma non avrebbe mai potuto immaginarla schierata all’estrema destra del partito. Se adesso dai suoi diari emerge che già allora leggeva testi pericolosi quali “The Road to Serfdom” (1944) di Friedrich von Hayek e “La società aperta e i suoi nemici” (1943) di Karl Popper, certo questo non traspariva dal suo operato politico. Ministro della Pubblica istruzione nel governo di Edward Heath, nel 1970, Maggie fu infatti fedele ed energica interprete della politica livellatrice allora in voga. Èvero che in quegli anni si ebbe il primo, modesto accenno di “thatcherismo classico”, con l’abolizione della distribuzione gratuita delle bottigliette di latte nelle elementari (che le valse il malizioso nomignolo “Maggie Thatcher, Milk Snatcher”, cioè scippatrice del latte); ma è anche vero che, nella sua qualità di ministro, proseguì attivamente, in omaggio alla politica scolastica egualitaria dei suoi predecessori, con la chiusura forzata di un gran numero di “grammar school” (una sorta di liceo per i più bravi) e della loro sostituzione con le assai meno selettive “comprehensive school”. Nei primi tre anni della sua amministrazione (1969-72), Heath aveva perseguito una politica monetaria rigorosa, ma alla fine risultò sconfitto dalla resistenza dei sindacati (soprattutto dei minatori) e dalla lunga crisi petrolifera scoppiata nel 1973. Fu infatti costretto a una serie di umilianti inversioni di rotta, imposte dalle circostanze avverse, ma anche dalla sua timidezza. Quindi, sentendosi danneggiato e sbeffeggiato dalle Trade Unions nell’esercizio del potere democratico, Heath le sfidò convocando elezioni a sorpresa, forte dello slogan retorico “Who runs the country?”, chi dirige il paese? Per gli elettori, evidentemente, non Edward Heath, che venne sconfitto dai laburisti.

L’umiliante disfatta del permaloso e poco grintoso Heath rappresentò un utile insegnamento per il suo ministro della Pubblica istruzione: che, nel braccio di ferro con i sindacati, un governo democratico rischia la sconfitta se mostra un atteggiamento esitante. Lei, al potere, una volta che si fosse avviata la prova di forza decisiva, non avrebbe mollato, a nessun costo. È così che nascerà la Lady di Ferro. Ed è proprio attorno alla caduta del governo Heath, nel febbraio 1974, che comincia la vera ascesa politica di Margaret Thatcher. Un ruolo chiave lo svolge un singolare personaggio di cui Maggie diventa molto amica, Sir Keith Joseph, detto “the mad monk” (il monaco pazzo), ministro e atipico leader tory. Joseph è un ricco e sofisticato aristocratico, una sorta di Tony Benn di destra, assai influente nel partito ma con poco polso politico e senza grandi ambizioni in proprio: più che il potere diretto, cerca validi discepoli. Nell’ultimo anno del governo Heath (dove era ministro degli Alloggi), ha scoperto Milton Friedman e i Chicago Boys, ed è diventato un fervido monetarista. Nell’aprile del 1974 dirà di sé, con toni integralisti: “Prima credevo di essere un tory, ma non era vero. Adesso, finalmente, lo sono”. Questo liberista entusiasta introduce la Thatcher nel vivace think tank “The Centre for Policy Studies”, da lui fondato e diretto dall’economista Alfred Sherman. Per la prima volta, la Thatcher incontra persone intelligenti, per le quali l’ideale del “big government” non è più una garanzia, bensì una sciagura, e la parola di Keynes una bestemmia. Maggie ne rimane galvanizzata, e così, nella primavera del 1974, nasce la nuova destra inglese. La sconfitta del febbraio 1974 fa precipitare il partito conservatore in una delle più gravi crisi della sua storia, umiliato e offeso dallo strapotere sindacale, e senza un capo con cui presentarsi all’opinione pubblica. Nell’elezione del nuovo leader, che si svolge l’anno successivo, non si vedono forti candidati alla successione. Ed è così che, del tutto a sorpresa, “l’improponibile” Margaret Thatcher, appoggiata dal suo nuovo eccentrico sponsor, Sir Keith Joseph, si candida alla guida del partito. Il disorientamento tra i conservatori è tale che questa outsider, portatrice di nuove idee suggeritele dall’ imprevedibile Joseph, riesce ad apparire come la sola valida alternativa alla decadenza dei tory. E nonostante le allibite accuse della sinistra, sempre vicina a Heath, di “dirottare il partito con un atto di pirateria” questa strana coppia la spunta, e Maggie viene eletta leader dei conservatori Spesso, l’ingrediente segreto che distingue la carriera dei grandi statisti da quella dei semplici politici è la buona sorte.
".

In questo momento momento particolare, al nostro Paese servirebbe una figura come Margaret Thatcher.
Margaret Thatcher rappresenta un modo di pensare e di vedere il mondo che dovrebbe essere tipico di ogni Paese civile.
Ella seppe unire il conservatorismo con il liberismo economico.
Lo Stato non può fare l'economia.
Infatti, uno Stato che entra nell'economia è un pericolo per la libera concorrenza ed espone la stessa economia a pericoli di fallimento.
L'Italia di oggi è il paradigma di ciò.
Lo Stato è indebitato con le nostre imprese e queste falliscono a causa dell'eccesso di credito, che non riscuotono.
In quanto anglicana, e quindi non troppo distante dalla tradizione cattolica, la "Lady di ferro" rappresenta quella possibile possibile figura capace di coniugare la morale cattolica (che è presente anche nella Chiesa anglicana) ed il liberismo economico.
Del resto, Margaret Thatcher proveniva proprio da quella sana tradizione di Tories, che erano già inclini a simpatizzare con i cattolici.
All'Italia servirebbe una figura come lei, una figura che saprebbe prendere di petto le difficoltà e che penserebbe a guardare al futuro. 
God bless your soul, Iron Lady!
Cordiali saluti. 




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