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Una voce libera per tutti. Sono Antonio Gabriele Fucilone e ho deciso di creare questo blog per essere fuori dal coro.

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giovedì 17 novembre 2011

GEOPOLITICA PARTE II




Cari amici ed amiche.

L'amico Angelo Fazio (che ringrazio) ha commentato il mio articolo intitolato "Geopolitica e possibili scenari futuri dell'Europa" su Facebook.
Il commento è interessante e vale la pena di leggerlo:

" Antonio Gabriele Fucilone, quello che dici in questo articolo è molto interessante alla luce anche di alcuni particolari.
Io credo che ciò che avviene a livello di lotte etniche e tensioni nazionalistiche all'interno di vari paesi sia un vero elemento di destabilizzazione del nostro continente.
La globalizzazione non ha portato ad uniformare il modo di vivere delle persone e non ha cancellato le diversità delle popolazioni. Anzi, pare che un paese o regione, più piccolo sia e più miri ad affermare la sua identità.
Lo si è visto ampiamente con la crisi russo-georgiana del 2008, riguardante le aspirazioni indipendentiste dell'Ossezia del Sud e nelle varie tappe della “balcanizzazione” del Caucaso (che vedono nella Cecenia il fulcro della secolare crisi della regione).
A questo aggiungo la contrapposizione azero-armena del Nagorno-Karabach, che ebbe luogo dal 1991 al 1994.
Oppure la lenta e inesorabile vicenda del crollo della ex-Jugoslavia con conseguenti vicende belliche dei Balcani, spesso dovute, in passato, all'implosione dello sciovinismo serbo, sfociato in odio interetnico e vari massacri o episodi di violenza nel corso anni novanta (come quello particolarmente doloroso di Srebrenica nel '95, perpetuato dalle milizie del generale Ratko Mladic a danno di musulmani bosniaci).
Processo, quest'ultimo, ancora ben lungi dall'essere concluso, se si considera la poco chiara vicenda del Kosovo e, (a rendere ancora più incerta la questione), le aspirazioni del Vojvodina (regione a maggioranza ungherese, appartenente alla Serbia, tendente all'indipendentismo anch'essa).

A mio parere il discorso è da articolare in varie branche:

1- l'instabilità geopolitica ed economica europea dell'epoca attuale rende difficile che sia il jihadismo qaedista a prendersi l'onere di creare ulteriori spirali di violenza terroristica, è molto più probabile che il compito sia assunto dalle formazioni paramilitari che operano nei contesti interni del nostro continente.
Lo si è visto con l'IRA nord-irlandese che ha ufficialmente posto fine alla lotta armata dopo gli accordi di Saint Andrews del 2006, ma che continua ad operare con gruppuscoli di commando privi di regia. Non vedo ragioni di maggiore ottimismo per l'ETA basca, che pure ha annunciato un “cessate il fuoco” nei giorni scorsi. A mio parere, è da prevedere che anche in Euskadi continueranno ad operare schegge impazzite senza coordinamento.
Alcune azioni dei gruppi repubblicani nord-irlandesi dei mesi scorsi sono significatici di ciò

2- è utile ricordare le strane alleanze che si creano nella galassia terroristica, in nome di una comune causa dell'opposizione mondiale al capitalismo.
L'ETA e l'IRA si sostenevano vicendevolmente, per esempio. Oppure basterebbe pensare che il terrorismo palestinese degli anni settanta-ottanta aveva rapporti stretti con i gruppi armati della sinistra extra-parlamentare di tutta Europa: la strage di Monaco '72 fu architettata dai militanti di “Settembre nero”, con il sostegno di Baader Meinhof; alcuni esponenti delle Brigate Rosse italiane avevano rapporti stretti con gruppi armati palestinesi. Poi mi viene in mente che nelle vicende dell'inferno libanese non operavano solo i Fedayn palestinesi, cacciati da re Hussein di Giordania dal suo paese nel settembre del '72, ma anche esponenti di sigle prettamente politiche anti-imperialiste come gli asiatici di “Armata Rossa Giapponese” o i peruviani di “Sendero Luminoso”.

3- A completare il costrutto ci pensa il terrorismo globale di matrice islamica, che ha assorbito in sé varie cause regionali, fra cui quella palestinese. A riguardo del modo di agire di Al-Qaeda, è da rilevare che l'organizzazione ha creato una contrapposizione asimmetrica globale, che però prende forma in vari teatri locali.
I leader qaedisti hanno spesso dimostrato una grande duttilità, la loro organizzazione dispone di una grande capacità di intelligence e controllo del territorio (l'esperienza dell'Afghanistan è calzante in proposito), ma anche una spiccata tendenza ad affratellarsi con le cause regionali.
Ciò non sempre per ragioni prettamente islamizzate, in ossequio alla dottrina di Osama Bin Laden, che mentre era in vita non escludeva rapporti con cause che esulavano da quella dell'islamismo, in relazione alla strategia del profeta Maometto che prevedeva la cooperazione con i persiani, nell'ambito delle guerre da lui combattute contro gli “infedeli” ai suoi tempi.
La resistenza irakena, che operava atti bombaroli contro la coalizione in Iraq, godeva del supporto dell'ETA basca e questo è ben dimostrato da alcune indagini giudiziarie dell'epoca, oppure una certa collaborazione in chiave anti-cristana avvenne con il fondamentalismo indù in India.
Risultato di ciò: la rete del Jihadismo globale ha creato vari fronti (che sono poi fronti della lotta globale asimmetrica al terrorismo internazionale).
Si pensi, ad esempio, al Kashmir, alla Somalia, al Corno d'Africa, al Darfur, all'Estremo Oriente, all'Indonesia, ai Balcani, al Caucaso (il “Califfato del nord Caucaso” è stato proclamato da Al-Qaeda da un paio d'anni a questa parte), tutti fronti caldi della lotta al terrorismo.
A mio parere è singolare la situazione della Cecenia, combattuta fra un'aspirazione islamica-qaedista e una panturchista e laica.
Nell'ambito delle crisi regionali il terrorismo islamico è in grado di introdursi e imporsi, con un opera di proselitismo nelle moschee in Occidente, che segue al reclutamento di giovani combattenti votati allo shadid, (ovvero al martirio kamikaze), che vengono mandati in tali teatri (“Kamikaze made in Europe”, era il titolo di un libro di Magdi Cristiano Allam del 2004).

Tornando al tuo articolo, tu parli dell'Europa e del suo futuro su cui si adombra lo spettro dell'instabilità politica.
Forse sarebbe cosa utile stabilire cosa si intende per Europa (Silvio Berlusconi, la estendeva anche alla Russia, che altri preferiscono invece ritenere una massa continentale eurasiatica piuttosto che un paese europeo).
Se si preferisce un'Europa geopolitica che dia seguito al progetto federalista di Altiero Spinelli e del “Manifesto dei Ventotene”, oppure un'Europa molto allargata che dia dunque maggiore spazio alle identità nazionali.
Oppure si potrebbe, a livello europeo creare degli spazi di rappresentanza per entità substatali (come è stato già fatto in alcune sedi).
Tuttavia, il mio discorso sulle iniziative politiche si ferma qua, poiché io non mi occupo solitamente di politica in senso stretto, bensì dedico maggiori sforzi agli scenari geopolitici.
Detto questo, concludo che bisognerebbe operare nell'intelligence e nel peacekeeping, che sono strumenti fondamentali di contrasto al terrorismo internazionale. Perciò occorre armonizzare gli apparati operanti nel quadro NATO e quelli nell'ambito UE.
E' necessario quindi creare un'insieme eclettico euro-atlantico di strumenti (a livello di intelligence civile e militare e di forze armate o di polizia) volto a operare nei suddetti campi, e solo così si può rispondere con efficacia alle varie crisi.
Per questo, il metodo “Berlin Plus” (missioni UE, che utilizzano comandi e pianificatori NATO), è un buon inizio in tal senso, per quanto concerne il fondamentale problema del peacekeeping e dell'Identità Europea di Difesa, problemi molto dibattuti nelle dovute sedi.
Tutto questo, sempre tenendo presente che problematiche del turbolento mondo di oggi, come il terrorismo internazionale di matrice islamica (ma anche le sigle del terrorismo indipendentista interno dei vari paesi), hanno reso molto debole la linea di demarcazione fra sicurezza interna ed esterna.
Per cui, molti paesi, come Gran Bretagna, Germania e Danimarca, hanno capito le dinamiche d'interdipendenza del mondo globalizzato d'oggi, creando delle cellule interministeriali di risposta alle crisi che combinino capacità rilevanti per le crisi internazionali e per i rischi all'interno dei confini.
Tutto ciò può contribuire a scongiurare i pericoli da te segnalati nel tuo scritto.".

Sostanzialmente, condivido il commento ed aggiungo.
In primo luogo, qui c' da fare chiarezza su un discorso.
Per farlo, vi invito a guardare il video di Diodato Calvo.
Calvo attacca tanto le aristocrazie e persino il Vaticano e fa dei discorsi che sono in parte condivisibili ma in parte completamente fuori strada.
Infatti, quando parla di Prodi, Calvo ha ragione. Prodi fece dei danni.
Non ha ragione, invece, quando parla delle aristocrazie piuttosto che del federalismo.
Mi sembra in errore.
Infatti, l'Europa attuale non è certamente figlia delle aristocrazie o dei monarchi, nel senso tradizionale del termine.
Semmai, è l'esatto contrario.
Questa Europa è figlia di quel "vento rivoluzionario" che iniziò a soffiare nel XVII secolo , mettendo a morte un re, Carlo I Stuart, re d'Inghilterra, di Scozia, d'Irlanda e di Francia, Defensor fidei, santo e martire, e che si trasformò in un uragano nel XVIII, con la Rivoluzione francese del 1789, quella rivoluzione che portò a morte re Luigi XVI di Francia, che portò il Terrore giacobino, la scristianizzazione di Hébert , fece salire al potere Napoleone Bonaparte e portò anche alla nascita di ideologie aberranti, come il comunismo ed il nazismo.
Questa Europa proviene da tutto ciò.
Infatti, questa idea fondò l'Europa di oggi, un'Europa senza un'identità e che non ha né capo né coda.
Con la Rivoluzione francese del 1789, venne distrutta l'aristocrazia tradizionale (che certamente aveva anche i suoi difetti) e vennero al potere il popolaccio e gli avventurieri della finanza.
Cito, per esempio, Paul Barras, l'affarista corrotto del Direttorio.
Pur con tutti i suoi difetti, l'aristocrazia tradizionale, come le varie monarchie, portavano in sé i valori delle nazioni, a cominciare dalla tradizione cristiana.
Ancora oggi, certe monarchie fanno ancora riferimento a Dio.
Cito, ad esempio, l'inno nazionale britannico.
Pur con le sue contraddizioni, il Regno Unito di oggi ha questo carattere identitario.
Il suo inno è intitolato "God save the Queen", il monarca viene incoronato da un'autorità religiosa, l'arcivescovo di Canterbury, e gli esponenti delle famiglia reale non possono sposarsi in municipio.
Ha saputo coniugare la modernità (anche se in qualche campo ha esagerato) con la tradizione.
L'Europa di oggi va nella direzione opposta.
L'Europa di oggi non è l'Europa dei popoli, delle istituzioni politiche e delle tradizioni più profonde.
Qui c'è da fare un'altra considerazione, quella sull'Euro.
L'Euro è così problematico perché non è retto da un'istituzione politica.
E' retto solo dalla Banca Centrale Europea che, proprio per il fatto di non essere controllata da un'istituzione politica è autoreferenziata.
Nessuna realtà politica è nata dopo la propria moneta.
Quindi, l'Euro è nato in una situazione anomala.
Tutto ciò sfavorisce l'Europa e rischia fare vacillare il progetto di integrazione tra i vari Stati.
Quindi, questa Europa è una giungla e chi è più forte cerca di prevalere sugli altri.
Il problemi dell'Europa sono più antichi di quanto si possa immaginare.
Cordiali saluti.



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