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martedì 17 aprile 2018

Ad Vincentium Abbatem/ A Vincenzo Abate


Cum la serpi...lu scurpiuni...
accussì 'ntâ la batia vestra...
vinni et di superbia puncìu...
accussì ogni frati...
ca 'na culonna chiancìu...
et vui, Vincentius abbas,

dâ casa di Grimani...
di Lucedio ca fustivu...
comu di Sardi l'Ecclesia...
accussì 'n culpa durmistivu.

Italiano:

Con la serpe...lo scorpione...
così nell'abbazia vostra...
venne e di superbia punse...
così ogni fratello....
che una colonna pianse...
e voi, Vincenzo abate,
della casa di Grimani...
di Lucedio che foste...
come di Sardi la Chiesa...
così in colpa dormiste.

Questa mia poesia (scritta in maccheronico-siciliano ed in italiano) parla di Vincenzo Grimani, abate commendatario di Lucedio, la nota abbazia di Trino Vercellese.
Nato a Mantova il 26 maggio 1655, egli fu un parente dei Gonzaga.
Suo padre era veneziano.
Grimani operò a Lucedio, quando sarebbe accaduto il fattaccio di cui parla la famosa leggenda.
Quest'ultima narra di un gruppo di novizie domenicane che avrebbero evocato il diavolo nel vicino cimitero di Darola.
Secondo altre versioni della leggenda, a fare ciò sarebbero stati alcuni degli stessi monaci.
Il diavolo avrebbe iniziato a fare danni nell'abbazia di Lucedio, corrompendo le menti dei monaci, i quali avrebbero fatto delle cose orribili, tanto che una colonna della sala del capitolo si sarebbe messa a piangere.
Nella poesia, sono citati la serpe, che rappresenta il diavolo, e lo scorpione, che rappresenta l'eresia.
Ciò sarebbe avvenuto sotto il naso del Grimani, il quale fece carriera come diplomatico e come cardinale.
Morì il 26 settembre 1716 a Napoli.
A Grimani deve essere attribuita la realizzazione del santuario della Madonna delle Vigne di Lucedio, il Santuario oggi sconsacrato in cui sarebbe presente il famoso "Spartito del diavolo", lo spartito che se fosse suonato al rovescio evocherebbe il diavolo che sarebbe stato imprigionato nella cripta della chiesa di Santa Maria dell'abbazia di Lucedio dall'esorcista che sarebbe stato mandato da Papa Pio VI cento anni dopo il fattaccio.







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