GIOCO
Diversi studiosi dell’infanzia lo vanno dicendo da tempo: i nostri bambini non sanno più giocare, non riescono più a giocare. Intruppati in aule scolastiche dalla mattina alle 8 fino alle 16 se non addirittura alle 18, catapultati in corsi di lingue, ginnastica, chitarra, tennis o judo, arrivano a casa in tempo per una doccia, la cena e il letto.
A cosa servono le centinaia di macchinine, le costruzioni, le bambole? Non c’è tempo nemmeno per guardarle: anche il sabato e la domenica ci sono i compiti da fare, essere bambino al giorno d’oggi è un’attività full time. Per fortuna ci sono le vacanze? Macché: siccome i genitori lavorano, ecco che i bambini vanno portati ai centri ricreativi estivi, dove, intruppati ancora una volta, potranno giocare tutti insieme ai giochi preparati per loro dagli animatori. Anche al mare: un bel baby club, con laboratorio d’inglese… È pazzesco, ai bambini di oggi manca letteralmente il tempo e la libertà di giocare, cioè di perdersi in una attività scelta per il puro piacere di farla, che sia coccolare una bambola o travestirsi da indiani e cow boy. Eppure, le camerette sono zeppe di giocattoli: è vero, lo sono anche quelle dei miei figli più piccoli. Alcuni sono di una bruttezza e di una artificialità plasticata da insulto: avete in mente le roulotte rosa shocking delle Barbie e i suoi innumerevoli e minuscoli accessori, impossibili da maneggiare? Alcuni giochi sono così complicati da montare che servono istruzioni, una laurea in ingegneria e almeno un papà disponibile. Il quale poi finisce per appassionarsi molto di più del ragazzino, già tagliato fuori in partenza. Ah, certo: ci sono i videogames, l’unico gioco ormai possibile con gli amici, secondo il nostro quindicenne di casa: addio carte, ping pong, freccette… I giochi “di una volta” giacciono inutilizzati, i bimbi non riescono più a far parte di quel mondo. Non riescono a lasciarsi andare a un gioco senza che un adulto prima o poi intervenga: stai costruendo una tenda per gli indiani? Guarda, fai così la tenda, portami dei bastoni che te la monto io… Non siamo cattivi, noi grandi: solo che non riusciamo a lasciarli in pace i nostri bambini. E per paura che si facciano male, o che si annoino, o che restino in disparte, finiamo per dirigere la loro vita e il loro gioco. Levandogli la loro grande occasione di sperimentare, di rischiare e inventare. Insomma, di crescere giocando. La situazione è tragica, ma gli adulti non se ne rendono conto; viviamo in una società dove il gioco è in tutto, si impara “giocando”, si gioca d’azzardo, si gioca in borsa… e i nostri figli, i nostri piccoli non ci riescono più, e senza una guida non sanno nemmeno da che parte iniziare, non ne hanno nemmeno più voglia. E ogni volta è un dispiacere vedere il piccolo Fabio che, appena torna da scuola, è così spremuto che ambirebbe solo di stravaccarsi sul divano davanti alla TV prima di rimettersi a fare i compiti…
A cosa servono le centinaia di macchinine, le costruzioni, le bambole? Non c’è tempo nemmeno per guardarle: anche il sabato e la domenica ci sono i compiti da fare, essere bambino al giorno d’oggi è un’attività full time. Per fortuna ci sono le vacanze? Macché: siccome i genitori lavorano, ecco che i bambini vanno portati ai centri ricreativi estivi, dove, intruppati ancora una volta, potranno giocare tutti insieme ai giochi preparati per loro dagli animatori. Anche al mare: un bel baby club, con laboratorio d’inglese… È pazzesco, ai bambini di oggi manca letteralmente il tempo e la libertà di giocare, cioè di perdersi in una attività scelta per il puro piacere di farla, che sia coccolare una bambola o travestirsi da indiani e cow boy. Eppure, le camerette sono zeppe di giocattoli: è vero, lo sono anche quelle dei miei figli più piccoli. Alcuni sono di una bruttezza e di una artificialità plasticata da insulto: avete in mente le roulotte rosa shocking delle Barbie e i suoi innumerevoli e minuscoli accessori, impossibili da maneggiare? Alcuni giochi sono così complicati da montare che servono istruzioni, una laurea in ingegneria e almeno un papà disponibile. Il quale poi finisce per appassionarsi molto di più del ragazzino, già tagliato fuori in partenza. Ah, certo: ci sono i videogames, l’unico gioco ormai possibile con gli amici, secondo il nostro quindicenne di casa: addio carte, ping pong, freccette… I giochi “di una volta” giacciono inutilizzati, i bimbi non riescono più a far parte di quel mondo. Non riescono a lasciarsi andare a un gioco senza che un adulto prima o poi intervenga: stai costruendo una tenda per gli indiani? Guarda, fai così la tenda, portami dei bastoni che te la monto io… Non siamo cattivi, noi grandi: solo che non riusciamo a lasciarli in pace i nostri bambini. E per paura che si facciano male, o che si annoino, o che restino in disparte, finiamo per dirigere la loro vita e il loro gioco. Levandogli la loro grande occasione di sperimentare, di rischiare e inventare. Insomma, di crescere giocando. La situazione è tragica, ma gli adulti non se ne rendono conto; viviamo in una società dove il gioco è in tutto, si impara “giocando”, si gioca d’azzardo, si gioca in borsa… e i nostri figli, i nostri piccoli non ci riescono più, e senza una guida non sanno nemmeno da che parte iniziare, non ne hanno nemmeno più voglia. E ogni volta è un dispiacere vedere il piccolo Fabio che, appena torna da scuola, è così spremuto che ambirebbe solo di stravaccarsi sul divano davanti alla TV prima di rimettersi a fare i compiti…
R. Florio
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