"Sua Maestà ha espresso il preciso ordine che si agisca in modo deciso contro l'influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno. Sua maestà richiama gli uffici centrali al forte dovere di procedere in questo modo a quanto stabilito".
Questo brano fu un proclama del periodo dell'imperatore dell'Impero Austro-Ungarico Francesco Giuseppe d'Asburgo (18 agosto 1830-21 novembre 1916).
Questo proclama fu emanato dal Consiglio della Corona il 12 febbraio 1866, dopo l'unità d'Italia e fu fatto contro gli italiani del Trentino-Alto Adige, dell'Istria e della Dalmazia.
L'Impero Austro-Ungarico cercò di distruggere le comunità italiane di quelle zone, sostituendole con quelle germaniche e slave.
Questo fu il preludio di quello che sarebbe accaduto nella II Guerra Mondiale con le foibe.
Qui riemerge la questione degli Italiani di Dalmazia.
Gli Italiani di Dalmazia sono le comunità di lingua italiana autoctone della Dalmazia.
Oggi, sono di modesta entità.
Esse discendono dalle popolazione di lingua romanza che sopravvissero all'arrivo degli Slavi (tra la fine dell'VIII secolo e l'inizio del X) o che si fusero con essi, pur mantenendo dei caratteri distintivi.
Gli Italiani di Dalmazia sono gli ultimi epigoni delle popolazioni di lingua neolatina che risiedevano in quella zona, ai quali si aggiunsero altri italiani, come i veneti, i friulani, i toscani, i marchigiani ed i pugliesi.
D'altro canto, una città come Ancona aveva una comunità di Ragusei, gente di Ragusa, la quale è oggi con il nome serbo-croato di Dubrovnik.
D'altro canto, una città come Ancona aveva una comunità di Ragusei, gente di Ragusa, la quale è oggi con il nome serbo-croato di Dubrovnik.
Quindi, in centri abitati come Spalato e Cattaro ci furono fiorenti comunità di lingua italiana.
Secondo il linguista Matteo Bartoli (22 settembre 1873-23 gennaio 1946) il 33% della popolazione dalmata parlava italiano nel periodo iniziale delle guerre napoleoniche.
Con il Romanticismo, inizio una vera e propria contesa tra italiani e slavi.
Così, gli Italiani di Dalmazia dovettero vedersela sia con l'Impero Austro-Ungarico, che tra il 1848 ed il 1918 inasprì le politiche contro di essi, e con il Regno di Croazia e Slavonia, che a partire dal 1866 voleva prendersi la Dalmazia.
Dopo la I Guerra Mondiale, l'Italia non poté prendersi molta parte dei territori dalmati che le furono promessi con il Patto di Londra firmato il 26 aprile 1915, patto che fu in parte tradito da quello di Versailles, che fu siglato nel 1918.
Così, gli Italiani della parte annessa al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (che nel 1929 divenne Regno di Jugoslavia) dovette emigrare verso Zara e Lagosta, città annesse al Regno d'Italia.
A coloro che rimasero, fu concesso il diritto di acquisire la cittadinanza italiana, rinunziando a quella jugoslava, con il trattato di Rapallo del 1920.
Dal 1941 al 1943, tutta la Dalmazia fu sotto la sovranità italiana.
L'ultimo grande esodo di Italiani fu quello da tutta la Dalmazia e dall'Istria, a seguito dell'annessione di queste terre alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, dopo la II Guerra Mondiale.
Oggi, sono rimaste delle comunità sparute ed una città come Zara, Spalato e Cattaro sono diventate Zadar, Split e Kotor.
Ancora oggi, i nazionalisti croati sostengono la tesi secondo cui la Dalmazia sarebbe stata croatizzata fin dall'Alto Medioevo e che la presenza italiana sarebbe cresciuta con l'immigrazione di italiani in quelle zone o con l'italianizzazione di gente slava locale.
L'evidenza storica della presenza romanza dopo le invasioni barbariche è ammessa ma si sostiene però che queste popolazioni, parlanti la lingua dalmatica, non sarebbero state connesse con gli italiani e si sarebbero successivamente assimilate ai croati.
Così, l'architetto toscano, che operò a Sebenico, Niccolò di Giovanni Fiorentino (1418-1506) è chiamato Nikola Firentinac ed il filosofo di Cherso Francesco Patrizi (25 aprile 1529-6 febbraio 1597) è chiamato Franjo Petrić.
Così, l'architetto toscano, che operò a Sebenico, Niccolò di Giovanni Fiorentino (1418-1506) è chiamato Nikola Firentinac ed il filosofo di Cherso Francesco Patrizi (25 aprile 1529-6 febbraio 1597) è chiamato Franjo Petrić.
Purtroppo, anche la storia è asservita a logiche di propaganda.
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