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martedì 8 gennaio 2019

La crisi dell'informazione

Su "Atlantico Quotidiano" vi è un articolo di Stefano Magni che è intitolato "Le radici della crisi di credibilità della stampa mainstream: le categorie ideologiche del “giornalista collettivo”".
Riporto questo stralcio dell'articolo:

"Qualche riflessione sulla crisi dei media si impone. I dati sulle vendite dei grandi giornali ci mostrano un quadro impietoso. Se nel 2008 il Corriere della Sera vendeva circa 466mila copie, oggi ne vende poco più di 212mila. La Repubblica idem: da quasi 443mila alle attuali 166mila. E non si salva nessuno: né la destra, né la sinistra, né i quotidiani nazionali, né quelli locali. E nemmeno quelli sportivi. Quelli che vantano i risultati migliori hanno “solo” dimezzato le vendite.

Quel che si nota è altro: non solo i giornali sono meno letti, ma i giornalisti godono mediamente di molta meno stima rispetto al passato. Certamente la rivoluzione di Internet e la diffusione degli smartphone fanno tanto. Ma il cambiamento degli strumenti non ha mai comportato la fine di un settore, semmai la sua trasformazione. Si lavorerà sempre di più su Internet (che non è solo la patria delle bufale, ma ti dà anche dei gran bei strumenti di verifica della notizia in tempo reale), invece che su carta, radio, o tv. La presenza massiccia dei social network nelle nostre vite può dare l’illusione che si possa anche fare a meno dei giornalisti, ma alla fine chi lancia le notizie (anche sui social) sono sempre i giornalisti. Gli utenti non fanno che rilanciare, segnalare o dare spunti, come sempre è stato"
.

L'avvento di internet ha cambiato il giornalismo, come l'invenzione della stampa nel XV secolo cambiò la diffusione della cultura.
Oggi, un semplice cittadino può aprire un blog e raccontare delle storie e condividere informazioni.
Tuttavia, io non parlerei di crisi dell'informazione ma di crisi di un sistema, del quale una certa informazione è vista come una parte.
L'attuale sistema è in crisi e la crescita dei consensi per i populisti e per quei movimenti contro il sistema stesso ne è la dimostrazione più palese.
L'informazione classica (giornali e TV) è andata in crisi perché è percepita come parte di quel sistema di cui la gente non vuole più sentire parlare.
Per l'informazione si dovrà innescare un processo "darwiniano".
Per i giapponesi, la parola "crisi" ha un doppio significato: rischio ed opportunità.
Ergo, chi si adatterà alla nuova situazione sopravviverà e potrà andare avanti.
Chi resterà tale e quale si estinguerà.
Per questo, il settore dell'informazione sta facendo sempre più ricorso ai social network e alla rete.
La gente ha smesso di leggere i giornali e di guardare la televisione per la rete e allora i giornali e la televisione sono entrati nella rete, interagendo direttamente con le persone.
Così, l'informazione sopravvive.
La gente vuole interagire con il mondo dell'informazione.
Di certo, la televisione e la carta stampata non hanno permesso ciò.
Questo ha allontanato le persone dall'informazione, avvicinandola alla rete. 



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