La controversia sta nell'articolo 11.
Per chi si oppone, l'articolo 11 sarebbe a vantaggio degli editori e a scapito della rete.
Ora, che gli editori debbano avere il diritto di fare il loro mestiere è ovvio.
L'articolo 11 dice che in ogni Stato gli editori debbano avere una consona retribuzione per le notizie prese dai grandi colossi della rete, come Google o Facebook.
Come riporta il sito "Il Post", il tema è controverso e annoso: da una parte ci sono gli editori che accusano social network e motori di ricerca di usare i loro contenuti (per esempio con le anteprime degli articoli) senza fornire in cambio nessuna forma di compensazione economica; dall’altra ci sono le piattaforme che dicono di fare già gli interessi degli editori, visto che il loro traffico arriva in buona parte dalle anteprime pubblicate sui social network, oppure inserite nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca. È difficile stabilire chi abbia torto o ragione (un editore può sempre decidere di farsi escludere dai risultati di Google, per esempio, se non vuole siano sfruttati i suoi contenuti), ma la direttiva sul copyright tende a essere a favore degli editori.
Sono perfettamente d'accordo con codesta tesi.
Il rischio è che per tutelare troppo gli editori ci si trovi con una rete censurata.
Con la rete, anche un semplice cittadino può mettere in giro un'informazione.
Con la rete, anche un semplice cittadino può mettere in giro un'informazione.
Però, dall'altra parte, gli editori non possono essere danneggiati dalla rete.
Si sa che grandi aziende, come ad esempio, Mediaset, creano tanti posti di lavoro e fanno lavorare tanta gente.
Si sa che grandi aziende, come ad esempio, Mediaset, creano tanti posti di lavoro e fanno lavorare tanta gente.
Ne andrebbe dello stesso pluralismo dell'informazione.
Il discorso è rinviato a settembre e si auspichi che si trovi un compromesso.
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