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martedì 31 luglio 2018

L'altra Italia al di là dell'Oceano Atlantico: l'Uruguay

Ringrazio l'amica e socia Stephanie Caracciolo.
Qui sopra vi è il grafico dell'Ambasciata Italiana a Montevideo.
Stando ai dati del grafico, l'Uruguay è il Paese con il più alto numero di discendenti degli italiani.
Infatti, circa il 44% della popolazione uruguayana è di origine italiana.
Ricordo che gli italiani sono presenti in Uruguay fin dal XVI secolo.
Questi "pionieri" italiani furono genovesi impegnati nei commerci.
Poi, nel XIX secolo, arrivarono in territorio uruguayano anche molti esuli che sostenevano idee risorgimentali, tra i quali ci fu Giuseppe Garibaldi (1807-1882).
Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, arrivarono altri italiani.
Un'altra ondata migratoria fu dopo la II Guerra Mondiale.
Nella sua storia, l'Uruguay annovera anche presidenti di origini italiane.
Tra questi debbono essere ricordati Rafael Addiego, Alberto Demicheli, Gabriel Terra, Alfredo Baldomir Ferrari e Julio Sanguinetti.
Durante il periodo di Alfredo Baldomir Ferrari (1938-1943) l'insegnamento dell'italiano fu reso obbligatorio nelle scuole.
Soltanto nel 2007, l'insegnamento dell'italiano fu abolito.
Una scuola privata in cui si insegna l'italiano è presente a Montevideo e forma il ceto migliore degli italo-uruguayani.
La scuola in questione è la Scuola Italiana.
È in progetto anche l'apertura di un'università italiana.
La cultura italiana permea molti aspetti di quella uruguayana.
Basti pensare, ad esempio, alla cucina.
Un esempio è la salsa Caruso, che è una salsa con cui si condisce la pasta.
Inoltre, vi sono anche dei dialetti come il lunfardo, uno registro linguistico che mette insieme parole lombarde e spagnole, o il sicignolu, un parlata ibrida che mette insieme lo spagnolo ed il siciliano.
Anche i numerosi cognomi italiani denotano questa presenza italo-discendente.
Penso ai noti calciatori, come Enzo Francescoli, Walter Pandiani, Fabián Carini ed Edinson Cavani.
In Uruguay, ci sono anche associazioni italiane.
Basti pensare alla già citata Scuola Italiana di Montevideo, al Circolo lucano, all'Associazione "Figli della Toscana" e all'Associazione Veneti in Uruguay.
Anche un caso di bilocazione di San Pio da Pietrelcina (25 maggio 1887-23 settembre 1968) accomuna Italia ed Uruguay.
Nel 1920, un tale monsignor Damiani (un presule di Salto, la stessa città dell'amica Stephanie), incontrò Padre Pio durante un suo viaggio qui in Italia.
Monsignor Damiani (il cui cognome la dice lunga sulle origini) rimase così colpito da augurarsi di morire alla presenza del frate italiano, che gli rispose: "Morirete nella vostra terra, non abbiate paura".
Nel 1942, l'arcivescovo di Montevideo Antonio Maria Barbieri (altro italo-discendente, 12 ottobre 1892-6 luglio 1979) fu svegliato nel sonno da un frate che lo sollecitò a recarsi al capezzale di monsignor Damiani.
Quando l'arcivescovo giunse sul luogo, trovò monsignor Damiani morto e trovò vicino alla salma un pezzo di carta con scritto: "Padre Pio è venuto".
Sette anni dopo, l'arcivescovo giunse in Italia ed incontrò Padre Pio.
Appena lo vide, egli riconobbe in lui il frate che lo invitò ad andare al capezzale di monsignor Damiani.
Ora, termino con una nota attuale.
Chi paragona quell'immigrazione italiana in Uruguay e in altri Paesi a quella che c'è attualmente qui in Italia dall'Africa commette un grossolano errore.
Anzi, dice anche una grandissima sciocchezza.
La terra di mia madre, la Sicilia, fu (e tuttora è) terra di emigrazione.
Quindi, so cosa significano certe cose. 
Io stesso ho parenti emigrati negli USA e conosco gente che è stata in Argentina.
Anche mio nonno visse per un po' di tempo in Germania.
Gli italiani che andarono in Uruguay e in altri Paesi andarono a cercarsi un mestiere in Paesi che avevano tanto lavoro disponibile e tanto bisogno di manodopera.
Inoltre, essi si mossero con tutti i documenti e rispettando la legge.
Non penso che gli antenati dei miei parenti o quelli di Stephanie siano andati negli USA o in Uruguay a bordo dei gommoni e clandestinamente.
Essi andarono secondo le regole e per lavorare.
L'Italia di oggi non ha lavoro nemmeno per noi italiani.

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