Questo è uno stralcio dell'articolo di Fabrizio Borasi su "Atlantico Quotidiano" che è intitolato "Ecco perché in Italia amiamo meno sia la “libertà” che la “serietà”: due concezioni del potere a confronto".
Questo ne è uno stralcio:
"Molto è stato scritto sulle dichiarazioni del premier britannico Boris Johnson (“il nostro Paese ama la libertà più degli altri”) relative alla sua gestione, giudicata troppo “leggera”, della rinnovata emergenza sanitaria portata con sé dall’autunno, e sulla risposta dai toni velatamente polemici del presidente della Repubblica Mattarella (risposta, detto con tutto il rispetto per il capo dello Stato, non condivisibile in quanto decisamente ingiustificata) sul fatto che gli italiani oltre alla “libertà” amano anche la “serietà”. Il tema si presta però ad alcune considerazioni più generali sul fatto che popoli differenti (anche nell’ambito della comune cultura occidentale) possono concepire e vivere le relazioni politiche in modi molto diversi, e in particolare possono basare tali relazioni su modi molto diversi di considerare il rapporto tra libertà e “serietà”, dove per serietà si deve (come ritengo si debba) intendere la responsabilità, politica e civile delle proprie decisioni e delle proprie azioni.
Per un politico anglosassone, britannico ma anche americano, di qualsiasi partito sarebbe inconcepibile parlando dei rapporti tra stato e cittadini contrapporre libertà e “serietà”, cioè responsabilità, perché per loro libertà e responsabilità sono due facce della stessa medaglia, entrambe sinonimo (per diversi aspetti) di capacità di prendersi carico delle conseguenze delle proprie azioni, per quanto di competenza, sia riguardo alla vita individuale che a quella collettiva. Nulla di tutto questo avviene da noi, dove culturalmente, prima ancora che politicamente e giuridicamente, la libertà è intesa soprattutto come licenza di fare i propri interessi più o meno “egoistici”, mentre la responsabilità per il bene pubblico è intesa come il compito di guidare l’azione dei cittadini, eventualmente limitando le loro tendenze individuali. Questo è il frutto di una lunga tradizione culturale secondo la quale una delle funzioni più importanti di chi governa è quella “pedagogica”, cioè quella di migliorare “dall’alto” la vita civile e morale con provvedimenti che, tra le altre cose, insegnino ai cittadini come comportarsi. Per il loro bene. Una visione che risale in gran parte all’epoca della controriforma, la quale ha interpretato in questo modo, cioè in modo “pedagogico”, il compito della “cura d’anime” affidato alla chiesa, e che è sopravvissuta alla secolarizzazione del potere pubblico: basti dire che uno dei maggiori sostenitori della concezione pedagogica della politica fu Giuseppe Mazzini".Mi verrebbe da fare notare che questa logica nostrana fu anche la stessa che portò al potere Benito Mussolini.
Questa differenza tra il mondo italiano e quello anglosassone c'è.
Nel mondo anglosassone, il compito della politica è quello di risolvere dei problemi concreti, lasciando al privato tutto il resto.
Dunque, il concetto di libertà non è visto come un disvalore ma come un valore perché se la persona è libera è libera anche l'economia.
Con la la libertà economica la società cresce.
Nel mondo latino (e quindi italiano) la politica non è concepita solo il mezzo che deve risolvere i problemi ma anche come quell'"entità" che deve "educare" il cittadino.
Questa cosa è anche un retaggio della Rivoluzione francese, la quale fu importata qui in Italia dalle truppe napoleoniche, e non solo di una certa interpretazione della Controriforma e di Mazzini.
In questo contesto, la libertà individuale è vista con sospetto.
Essa è vista non come un valore che può fare sì che la società possa fare il "salto di qualità" come il perseguimento degli interessi egoistici di una persona.
Non fu certo un caso se qui in Italia sorsero il fascismo ed il partito di ispirazione comunista più potente in Occidente.
Insomma, il mondo anglosassone mette al centro la persona e quello latino (e in particolare italiano) mette al centro la collettività.
Nel mondo anglosassone, la persona mette in gioco sé stessa e dà un contributo alla società con i suoi successi.
Qui in Italia la collettività viene prima di tutto.
Tuttavia, deve essere detta anche un'altra cosa: gli Italiani non sono un popolo.
Per tredici secoli, l'Italia fu divisa e spesso dominata da stranieri, quando altri Paesi (come l'Inghilterra) erano già consolidati.
Il processo di unificazione dell'Italia avvenne forzosamente e contro la Chiesa.
Fu di fatto un'annessione dei vari Stati italiani, come il Regno delle Due Sicilie, da parte del Regno di Sardegna.
Con le varie annessioni fatte dal Regno di Sardegna e la formazione del Regno d'Italia, l'idea della politica vista come "mezzo di educazione di massa" divenne ancora più forte e si espresse al massimo con il fascismo.
Così, si ripropose l'idea dell'"uomo forte".
Un popolo che è tale non ha bisogno di "uomini forti" ma di "uomini capaci".
Un popolo che è tale non ha bisogno di essere "educato" ma di essere "amministrato" o "governato".
L'educazione parte dalla persona.
Questo spiega il fatto che nel Regno Unito o negli Stati Uniti d'America non vi siano mai stati personaggi come Benito Mussolini.
Dunque, Boris Johnson ha avuto tutto il diritto di dire ciò che ha detto dell'Italia, che per altro egli conosce.
Dal suo punto di vista non gli si può rimproverare nulla.
La risposta del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stata inopportuna e non condivisibile.
Infatti, la "serietà" e la "libertà" non sono in contrasto tra loro.
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