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lunedì 29 gennaio 2018

Roncoferraro, bandiere bianche per la memoria...con una mia riflessione

Su "La Voce di Mantova" vi è un articolo di Matteo Vincenzi che è intitolato "Roncoferraro, bandiere bianche come inno di libertà".
L'articolo parla della manifestazione per la Giornata della Memoria che c'è stata qui a Roncoferraro (in Provincia di Mantova) in cui trecentocinquanta allievi dell'Istituto Comprensivo hanno partecipato.
Sono state sventolate bandiere bianche, sotto il ritmo dei battiti di un tamburo.
Dell'articolo, riporto codesto stralcio:

"«Non volendo più vittime - ha spiegato l’insegnate d’Arte e curatrice del progetto sulla Shoah Raffaella Garosi - abbiamo voluto simboleggiare la vittoria della libertà alzando in cielo le bandiere, che sono anche metafora di pace». È seguito il brano inedito intitolato “The different” eseguito a cappella dalle alunne Douaa e Noa (con loro avrebbero dovuto esserci anche Giada e la danzatrice Rebecca, che però erano ammalate), un inno alla pace che non ha mancato di commuovere il folto pubblico presente, tra cui i genitori dei ragazzi e i bambini delle elementari. «L’Olocausto è stato un evento terribile, un genocidio che ha mostrato il lato più crudele dell’uomo - ha osservato la Garosi -. Eventi di questo genere sono importanti per non dimenticare tutte le vittime innocenti della Shoah». Al termine della rappresentazione, l’alunna di 3A Giulia Foroni ha letto una riflessione sul significato di “fare memoria” legato ad una vicenda così nefasta per l’umanità. «Dobbiamo sempre ricordare - ha detto - il dolore e le tragedie che questo orrore ha provocato. Noi sappiamo che la storia si ripete sempre, ma l’aiuto della memoria è necessario per far sì che questa serie di fatti non accada più». Un giorno che per questi ragazzi non deve essere soltanto il ricordo di quanto accaduto o l’occasione di immedesimazione nel dolore altrui, ma un momento di vera maturazione della loro identità e delle persone che saranno.".

Parto dall'articolo per fare delle considerazioni.
Ovviamente, queste manifestazioni sono apprezzabili e debbono essere valorizzate ma si corrono due rischi.
Il primo rischio è quello di ridurre tutto questo a qualcosa di museale, ad una semplice manifestazione in ricordo di un fatto che avvenne tanto tempo fa, di cui si dà per scontata l'impossibilità di un suo ripetersi.
Il secondo rischio è quello di politicizzare questa manifestazione e di trasformarla in qualcosa di propagandistico.
Per esempio, in varie parti d'Italia si fanno "Giornate per la Memoria antisionista", in cui si attacca Israele, paragonando gli israeliani ai nazisti ed i palestinesi alle vittime.
Questa è follia pura.
Sappiamo tutti che Israele (inteso come Stato attuale) nacque proprio per l'esigenza degli ebrei di avere la sicurezza che in Europa non ebbero più.
Paragonare Israele alla Germania nazista è un insulto alla memoria degli ebrei uccisi dai tedeschi ed ai sopravvissuti.
Pensiamo anche a chi usa il tema della Shoah per fare propaganda pro-ius soli.
In entrambi i casi, la memoria sarebbe svilita.
Invece, si deve fare memoria perché un fattaccio del genere non si ripeta.
Si debbono raccontare i fatti, senza declinazioni politiche di nessun tipo e senza trattarli come se fossero qualcosa di museale ma come un tema attuale.
Faccio notare che, ancora oggi, esistono certi teoremi.
Pensiamo al negazionismo o a certe teorie complottiste, le quali si stanno diffondendo in quelle società verso cui noi ci siamo tanto "aperti".
Mi riferisco (per esempio) a tanta parte del mondo islamico.
Questo negazionismo è sempre più in crescita.
Io penso che sia bene contrastare ciò, come penso che sia bene che noi difendiamo la nostra identità.
Vedere, per esempio, le chiese rase al suolo in varie parti d'Europa (un articolo di Chantal Fantuzzi su "Ticino Online" ne parla) è la dimostrazione lampante della messa a rischio della nostra identità.
Le due cose vanno di pari passo.
Noi siamo diventati "accoglienti" ed in nome dell'"accoglienza" ci hanno fatto rinnegare la nostra identità.
Però, chi è "accolto" porta avanti le sue teorie.
Intervistato da Aldo Cazzullo, il rabbino capo di Roma, il dottor Riccardo Di Segni, è stato abbastanza chiaro nel dire queste parole:


Sui migranti noi ebrei siamo lacerati. La fuga, l’esilio, l’accoglienza fanno parte della nostra storia e della nostra natura. Ma mi chiedo: tutti i musulmani che arrivano qui intendono rispettare i nostri diritti e valori? E lo Stato italiano ha la forza di farli rispettare?».
Si risponda.
«Purtroppo devo rispondere due no. Per questo sono preoccupato. L’Europa è nata dopo Auschwitz; non vorrei che finisse con un’altra Auschwitz. Non so chi sarebbero stavolta le vittime. So che la migrazione incontrollata può provocare una reazione di intolleranza; ci andremmo di mezzo anche noi, e forse per primi».
L’arrivo di migliaia di migranti musulmani è un problema per gli ebrei?
«Non solo per gli ebrei; per tutti»
".

Visti gli scenari, si deve temere che queste parole del rabbino stiano trovando un riscontro nei fatti.





2 commenti:

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Ringrazio l'amico Morris Sonnino di questo screemshot de "Il Corriere della Sera".