The Liberty Bell of Italy, una voce per chi difende la libertà...dalla politica alla cultura...come i nostri amici americani, i quali ebbero occasione di udire la celebre campana di Philadelphia nel 1776, quando fu letta la celeberrima Dichiarazione di Indipendenza. Questa è una voce per chi crede nei migliori valori della nostra cultura.
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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino
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mercoledì 7 dicembre 2016
Qualche dato sul referendum
Cari amici ed amiche,
ho trovato su Facebook questa analisi del mio amico Filippo Giorgianni:
"Andando a noi e con ordine, i dati sono:
1) per quanto stupidamente Renzi abbia politicizzato lo scontro, suicidandosi (tuttavia, ha comunque giocato le sue poche carte molto bene, con un’abile cortina fumogena alzata a poche settimane dal voto al punto da illudersi di potersi giocare la partita e forse vincerla), questo voto NON è solo politico (del resto, è stato errato politicizzarlo!): il fatto che gli italiani si siano mobilitati con un’affluenza record (quasi al 70%, mentre nel 2006 fu quasi del 54% e nel 2001 meno del 35%) dimostra non che la Costituzione debba essere intoccabile (nel 2001 si è riformata e tra astensione e SÌ la riforma è passata), ma che, bene o male, si riconoscono in essa, piuttosto che in una pasticciata riforma qualsiasi purché sia un “cambiamento”. È una vera e propria unità nazionale mai del tutto avvenuta in passato. Inedita perché vede confluire forze opposte e composite che per decenni sul testo costituzionale e l’assetto politico si sono divise aspramente. Il risultato di ieri dice che i cittadini, tutto sommato, si tengono i principi sottesi alle istituzioni di una Costituzione che in fondo sono disposti ad accettare e in cui dunque si riconoscono, nonostante le divisioni tra loro e (per parecchi cittadini) la non molta empatia per la Carta (quando non addirittura volontà di cambiarla). La riforma del Titolo V non è stata vista come un pericolo per la propria libertà (non lo era, d’altronde…), ma toccare in profondità la rappresentanza e la forma di governo sì: gli italiani, a quel punto, preferiscono tenersi un deficitario parlamentarismo a bicameralismo perfetto piuttosto che un mal congegnato presidenzialismo camuffato a monocameralismo di fatto (per di più commissariato dall’uomo solo al comando). È un dato storico a livello politologico e di storia delle istituzioni.
2) La tecnocrazia (nonché lo scollamento tra di essa e la popolazione) esiste ed era per il SÌ, piaccia o meno: lo dimostra il fatto che sui media, in caso di vittoria del NO, si parlava di piaghe d’Egitto finanziarie, Apocalissi bancarie, mancanza di credibilità dovuta all’instabilità, etc., ma NULLA di tutto questo oggi è accaduto: si sono avuti dati positivi sui mercati e l’U.E. non ci alita troppo sul collo per la legge finanziaria di quest’anno (nonostante l’avesse bocciata e per mesi si sia fatto finta di nulla). Certi soggetti prendono in giro i cittadini e sarebbe ora di capire tutti (e non solo il 60% dei votanti) che, quando si schierano in un modo, si deve fare l’OPPOSTO. Come detto, comunque con questo voto storico l’Italia dà segni di vitalità e si pone nel solco del braccio di ferro tra élites colonizzatrici e popolazioni contrarie alle “colonizzazioni ideologiche” come avvenuto con Trump e la Brexit. I problemi semmai sono: A) questo solco potrà reggere a lungo? B) le “alternative” che si propongono avverso alla tendenza tecnocratica si riveleranno realmente tali (e si riveleranno perseguibili)?
3) L’astensionismo che batte in ritirata e l’affluenza record per un referendum di questo tipo non è necessariamente un dato strutturale: non significa che i cittadini torneranno a votare in massa alle politiche: nel 2013 l’affluenza era scesa del 5% rispetto al 2008 (scendendo per la prima volta nella storia repubblicana sotto l’80%), mentre alle amministrative negli anni successivi era calata di circa il 10% di media sia nel 2015 che nel 2016, con una forbice di italiani rimasti a casa che oscillava tra l’1 su 3 e l’1 su 2, a seconda dei casi considerati. Ciò fa comprendere che il cittadino medio che ha politicizzato lo scontro (appresso a Renzi) è andato a votare perché ritiene di non poter avere fiducia nelle elezioni regolari, non sentendosi rappresentato del tutto da nessuno dei partiti in campo (nemmeno il MoVimento 5 Stelle…): se è disperato per la situazione italiana e può eliminare chi è al governo, senza doversi esprimere su di un’alternativa, lo preferisce. Altrimenti rimane a casa ritenendo inutile votare perché nulla comunque migliorerà la situazione. Significa che la situazione politica italiana è più che comatosa. Non è un bel segnale.
4) Sarò impopolare, ma le elezioni subito NON sono auspicabili, in quanto si rischia (ma non è comunque così certa) la calata dei barbari a 5 Stelle (che pensano di potersi intestare la sconfitta renziana), totalmente ridicoli nella classe dirigente e nelle proposte (non lo dico solo io, ma anche personaggi a loro vicini, come i giornalisti de ‘il Fatto Quotidiano’), o la situazione delle politiche del 2013 (con un tripolarismo ingovernabile) perché non c’è il tempo per organizzarsi adeguatamente e polarizzare il consenso, se si dovesse votare subito con un PD spaccato e indebolito e un centrodestra inesistente. Da questo punto di vista, sebbene non sia l’Apocalisse, era vero ciò che diceva Renzi, secondo il quale dopo di lui ci sarebbe stato il diluvio, ma il problema è che è stato LUI a crearlo politicizzando uno scontro che, se non politicizzato, poteva benissimo lasciare indebolito ma comunque indenne il Governo: si votava per una Costituzione diversa, non su di lui. Tra l’altro la verità è che le elezioni a brevissimo termine NON sono volute dalle forze politiche esistenti: taluni nel PD bluffano (per mantenere una posizione di relativa forza di fronte alla totale debacle referendaria) dicendo che il 40% al referendum è lo stesso 40% delle europee: falso! L’affluenza era più bassa e se oggi la riforma ha preso 13 milioni di voti, il PD allora ne prese 11 milioni. Tra chi ha votato SÌ ci sono milioni di italiani che NON voterebbero minimamente PD. Semplicemente erano d’accordo (Dio solo sa perché) alla riforma, per quanto fosse confusa e squilibrata. E ricordiamo che il 40% alle europee risentiva comunque del tracollo del centrodestra e dell’appello al voto utile: gli 11 milioni dell’epoca non si possono ripetere alle politiche facilmente: il vero dato (per quanto già diverso in quanto le amministrative hanno anche logiche tutte proprie) elettorale politico cui si deve guardare è quello delle ultime amministrative, dove il PD è franato, anche lì dove ha vinto, mantenendosi (come media nazionale) intorno al suo normalissimo 25%. Le elezioni anticipate non convengono poi nemmeno ai 5 Stelle che non sono i veri ed unici titolari di quel NO al referendum, che non godrebbero dell’effetto di un Italicum uguale a quello attuale dopo l’intervento della Corte Costituzionale e che non avrebbero il tempo per dotarsi di un programma ed una classe dirigente credibile (e soprattutto, in caso di vittoria, capace di governare e… “GOVERNABILE” senza andare in pezzi dopo un paio di anni, con buona pace del dispotismo interno: fintanto che Grillo coagula consenso e fa il manovratore necessario alla sopravvivenza della struttura partitica tramite la Casaleggio & Associati, il sistema regge; ma una volta che esprimi un premier e una squadra di Governo, il premier non è detto prenderà ordini dai manovratori, godendo adesso di una visibilità diversa da quella precedente e non dipendendo più il suo futuro dal sistema partitico del 5 Stelle: l’unica possibilità parziale di resistenza interna ad uno sfaldamento sarebbe la candidatura – che mai avverrà – ed il premierato di Grillo stesso). Ciò fa capire che i 5 Stelle bluffano anch’essi e NON hanno alcun vero interesse ad elezioni subito. Hanno invece tutto l’interesse a dirlo a gran voce (mezz’ora dopo le annunciate dimissioni di Renzi, i loro portavoce, prima Di Battista e poi Di Maio, interrogati in momenti DIVERSI, ma a breve giro di posta, dai microfoni, hanno rilasciato dichiarazioni seriali, in fotocopia, che fanno capire come sia tutta una strategia precisa per logorare di slogan il mondo mediatico nei prossimi mesi in caso di Governi balneari che traghettino tutto fino al 2018 o giù di lì: “non vogliamo portare avanti la legislatura solo per far maturare le pensioni ai soliti noti”… sic!). È ovviamente falso, infatti, che ci vogliano pochi giorni per una nuova riforma elettorale: si deve aspettare la pronuncia della Corte Costituzionale sull’Italicum, si deve correggere o rifare quest’ultimo e poi mettere mano alla legge al Senato, il tutto trovando accordi tra forze ostili. Loro sanno benissimo che non si può andare subito ad elezioni e quindi si preparano a fare nuovamente le barricate in Parlamento, logorando così ulteriormente agli occhi dell’elettorato le altre forze politiche (che per mesi dovranno fare il punto sulla nuova legge elettorale e potranno da loro essere accusati di ogni nefandezza, compresa la maturazione delle pensioni) e fingendo però (per fare una buona figura) di volere le elezioni immediate. Il centrodestra stesso non ha interesse a nuove elezioni: non c’è il tempo materiale per ricostruire il fronte, non c’è un leader legittimato a rappresentare tutta la coalizione che peraltro, sebbene sia necessario si riunisca per vincere, non è detto che in tempi brevi riesca a riunirsi…
5) Il centrodestra esiste ancora come corpo unitario elettorale che ha una sua influenza (determinante sembra essere stato il suo elettorato in Lombardia, Veneto, Friuli) e però non trova ancora adeguata rappresentanza. La sopravvivenza (per quanto putrescente) di Forza Italia (e di Berlusconi) in questi anni ha impedito una rifondazione e questa non si avrà ancora per molto tempo. Si potrà solo galleggiare. Ma questo impedirà di proporre una coalizione che abbia possibilità di vincere e governare. 6) Con il NO va in soffitta anche l’inquietante e neodemocristiano progetto del Partito della Nazione: Renzi non si sa cosa voglia fare (è improbabile faccia la figura dello sfascista, lasciando anche la Segreteria del PD: di certo le dimissioni sono una mossa da chi sa giocarsi bene le sue carte, qualora dovesse rimanere in campo per il futuro, lasciando agli avversari il pallino del gioco con tutte le difficoltà del caso): se resterà segretario del PD e riuscirà a mantenere la leadership potrà traghettare il partito alle elezioni e vincere nuovamente non subito, ma magari tra qualche anno; se dovesse andarsene, potrà farsi pregare a gran voce di ritornare in futuro. In ogni caso, sarebbe leader del PD e non più di un Partito a vocazione centrista. In conclusione: Renzi ha personalizzato e politicizzato lo scontro, ma la questione politica va scorporata da quella costituzionale: si è evitato di peggiorare un assetto istituzionale mediocre ma comunque dignitoso e questa era una partita costituzionale che andava giocata sul piano COSTITUZIONALE e NON politico, si è giocata, si è risolta senza peggiorare il quadro, ma ora la partita che ne risulta è ANCHE politica e si apre un altro capitolo, molto confuso che va imputato proprio a Renzi.".
Ringrazio Filippo dello spunto.
Filippo è un ottimo saggista ed è anche un buon amico ed una persona perbene. Lo stimo.
Lo trovo più che affidabile.
Concordo con quanto scritto da Filippo.
Se avesse vinto il "Sì", si sarebbe formato il "Partito della Nazione" intorno alla figura di Matteo Renzi.
La vittoria del "Sì" sarebbe stata la vittoria di Renzi, il quale ha personalizzato lo scontro politico.
Il Partito Democratico si sarebbe scomposto, poiché la sua sinistra interna si sarebbe scissa, anche se non sarebbe stata una scissione completa, dato che una parte di essa sarebbe rimasta, mentre i partiti di Denis Verdini, di Angelino Alfano, l'Unione di Centro, Scelta Civica e forse anche un pezzo di Forza Italia sarebbero passati alla corte di Renzi, formando il "Partito della Nazione" .
Questo partito avrebbe marginalizzato ogni opposizione: quello che sarebbe rimasto del centrosinistra, i rimasugli del centrodestra ed il Movimento 5 Stelle.
Invece (e per fortuna) Renzi ha perso.
Questo suo progetto è fallito.
Ora, egli non solo non avrà il "Partito della Nazione" ma rischia di perdere la leadership nel Partito Democratico poiché oramai si è capito che non è così forte come ha fatto credere e che la gente non lo vuole.
Nello stesso Partito Democratico vi sono quelli pronti a "fare le scarpe" a Renzi.
Ricordo, per esempio, l'ex-premier Enrico Letta, il quale è stato sfiduciato da Renzi senza passare per il Parlamento ma attraverso la Direzione nazionale del Partito Democratico.
C'è aria di resa dei conti.
A questo punto, per evitare che il Movimento 5 Stelle vinca eventuale elezioni, serve un centrodestra forte.
Il problema è che oggi il centrodestra è frammentato al suo interno e la mancanza di leadership rischia davvero di mettere in minoranza un'area dell'elettorato italiano che sarebbe maggioritaria.
L'Italia è un Paese con una sinistra forte ma non è un Paese di sinistra.
Qui non c'è solo un problema di personalismi ma anche un problema di "direzione da prendere".
Da una parte, c'è chi vuole un centrodestra più centrista e, dall'altra, c'è chi vuole un centrodestra che guarda più a destra.
Ora, chi vuole un centrodestra più centrista rischia di dovere scendere a patti anche con chi non vota centrodestra.
Questo potrebbe portare a consociativismo e corruzione di vario tipo.
Serve una piattaforma comune tra le varie anime del centrodestra, una piattaforma che metta insieme l'idea del federalismo, l'idea del presidenzialismo, l'idea dell'economia fondata sulla libera impresa, l'idea della difesa della famiglia e della vita, l'idea della difesa dei nostri interessi e della nostra sovranità, l'idea della difesa dell'ordine e della legalità (anche contro l'immigrazione clandestina) e l'idea della sussidiarietà, che non è certo l'assistenzialismo.
Così si possono gettare le basi per un centrodestra che possa scalzare Renzi ed impedire al Movimento 5 Stelle di vincere le elezioni.
Cordiali saluti.
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Il peggio della politica continua ad essere presente
Ringrazio un caro amico di questa foto.
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