l'amico Vito Schepisi mi ha segnalato un articolo de "Il Giornale" che è intitolato ""Non vogliamo turbare le altre religioni". E le scuole censurano il Natale".
L'articolo parla di ciò che è accaduto a Flero, in Provincia di Brescia.
Nella scuola di questo paese della Bassa bresciana (so dov'è) si è impedito di intonare il canto "Astro del Ciel" per "non turbare i seguaci di altre fedi".
Ora, Vito (che ringrazio) l'ha commentato così:
"L’ipocrisia del “turbamento”
E' ora di riprenderci la nostra libertà di scelta, senza farci imporre alcunché.
Già un qualsiasi divieto in una società libera e democratica è odioso.
Le tradizioni civili e religiose sono il segno distintivo di un Paese. Fanno parte della storia e della cultura di quella comunità nazionale.
Noi siamo ciò che siamo perché altri italiani prima di noi hanno pensato che le comunità sono come famiglie estese che si difendono dalle aggressioni, che si danno delle regole di convivenza, che curano la terra perché fornisca gli alimenti per la sopravvivenza, che si uniscono in matrimonio per formare nuove famiglie e per procreare nuove generazioni, che si riuniscono attorno alle proprie credenze e pregano per le divinità in cui credono, che si dotano di infrastrutture utili a rendere migliore le proprie condizioni di vita, che alimentano con le arti il gusto del bello, che, infine, celebrano insieme le loro ricorrenze religiose pregando attorno ai simboli della loro religiosità.
Tutto liberamente, senza che nessuno possa obbligare o proibire. Senza ledere i diritti di alcuno. Senza offendere o privare.
E’ irrazionale e diseducativo, infatti, impedire che si tramandino le tradizioni di un popolo. Dire che lo si faccia per non turbare chi viene da altre realtà ed ha legato la propria vita all'osservanza fondamentale di alcuni principi ideologici e religiosi è una mistificazione.
Due civiltà diverse non hanno ragione di scontrarsi solo perché sono diverse, ma rischiamo di farlo se ce n’è una che prova ad impedire ad un’altra di vivere secondo scelte che contrastano con la propria formazione popolare.
La rinuncia ad essere se stessi è pretestuosa e offensiva, perché priva i popoli dell’orgoglio di sentirsi tali, e stretti attorno ai propri valori.
Sarebbe come impedire alle comunità locali di rinverdire ogni anno, attraverso le manifestazioni popolari, le origini remote, le storie e le leggende accomunate ai nativi di quel campanile.
Si è sempre detto che le aggregazioni popolari sono il collante della solidarietà e dello spirito sociale delle comunità.
Ora che si fa … compagni marcia indietro? Ma è un’ipocrisia!
Non si può reprimere lo spirito gioioso di una comunità, sacrificandola al rispetto di un'osservanza di una diversa fede o di una diversa cultura. E’ illogico e non ha senso.
Sarebbe un atto violento, certamente privo di rispetto per le scelte e la cultura di popoli che hanno maturato pensieri diversi, certamente un approccio inaccettabile alla cultura dell’integrazione, di cui si fa un gran parlare, ma che trova ostacoli insormontabili in atteggiamenti di bieca e inspiegabile passività.".
Sono perfettamente d'accordo.
Io preferisco parlare di miopia culturale.
Mentre noi togliamo i nostri simboli ed annacquiamo la nostra cultura "per essere tolleranti e rispettosi", gli altri che vengono qui importano i loro usi e costumi qui da noi.
Intanto, qui c'è un vero e proprio scontro di civiltà.
Tutti questi attentati terroristici sono il segno di uno scontro.
Togliendo i nostri simboli ed annacquando la nostra cultura ed i nostri valori, noi (di fatto) alziamo bandiera bianca.
Ogni canto di Natale non cantato è una sventolata di fronte ai terroristi.
Ogni presepe non fatto è una bandiera bianca sventolata di fronte ai terroristi.
Ogni albero di Natale non costruito è una bandiera bianca sventolata di fronte ai terroristi.
Questi sono dati di fatto.
Non crediate che così facendo avremo la pace.
Rifacendomi alle parole dette dal grande Winston Churchill, all'indomani dello scellerato accordo di Monaco tra la Francia, l'Inghilterra e la Germania di Adolf Hitler, noi rischiamo di trovarci nel disonore e con una guerra in casa.
Vorrei citare Israele, un grande Paese civile e tollerante.
Israele è un Paese tollerante (per il quale ho una personale ammirazione) poiché tutti possono celebrare i loro culti senza problema.
Però, Israele è anche uno Stato ebraico che non ha paura di fare disegnare una menorah su una moneta o sullo stemma.
Essere tolleranti non deve significare calarsi i pantaloni.
Gli Israeliani non si calano i pantaloni. Noi, invece, ci siamo già slacciati la cintura ed abbiamo abbassato la cerniera lampo.
Cordiali saluti.
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