Cari amici ed amiche,
sul blog "Campari & De Maistre" ho trovato un articolo di Enrico Maria Romano che è intitolato "L'Impero Romano distrutto dagli immigrati".
L'articolo parla della storia dell'Impero Romano, il quale fu distrutto dagli immigrati.
La questione è però molto attuale, poiché quel periodo storico è confrontato con quanto sta accadendo oggi.
Dell'articolo, riporto questo stralcio:
"Ebbene per farci un’idea semplice e chiara dei rischi dell’immigrazione attuale, in tutto e per tutto diversa dalle immigrazioni otto-novecentesche (tirate in ballo come i cavoli a merenda), è utilissimo leggere tutto d’un fiato il breve e succoso pamphlet di Giuseppe Valditara, Ordinario di Diritto Romano all’Università di Torino e studioso di questioni politiche contemporanee.Se il titolo è già chiaro e ad effetto ("L’impero romano distrutto dagli immigrati", edizioni Il Giornale, pp 52, € 2,50), il sottotitolo lo è ancor di più: “Così i flussi migratori hanno fatto collassare lo stato più imponente dell’antichità”. Niente di meno!
“Roma venne fondata, secondo Varrone, nel 753 a.C. L’ultimo imperatore romano d’Occidente [Romolo Augustolo] venne deposto nel 476 d.C. Una comunità statuale durata oltre 1200 anni è già un record, ma l’impero di Roma fu anche il più grande di tutti i tempi. E, soprattutto, Roma è stata il pilastro della civiltà occidentale. Non solo ha influenzato la lingua della gran parte delle popolazioni d’Europa, ma anche il diritto dei popoli di mezzo mondo, ha tracciato le grandi vie di comunicazione, ha influenzato l’architettura e, soprattutto, ha dato all’Europa moderna alcuni valori essenziali” (p. 7). Si può e si deve aggiungere, da cattolici, il ruolo provvidenziale di Roma e del suo impero come fu riconosciuto chiaramente dai Padri della Chiesa e nel Medioevo. Gli stessi sommi Pontefici, come Pio XII e Paolo VI, solo per citarne due tra i più celebri, fecero vari discorsi in cui celebrarono la grandezza di Roma e del suo ruolo di Città-Civiltà destinata da Dio ad essere davvero Caput mundi in quanto sede del Vicario di Cristo e Capitale eterna della cristianità.
Ebbene il Valditara mostra bene come nella politica romana ci furono sempre due pilastri uniti e indivisibili: l’apertura all’esterno, fino alla concessione della cittadinanza romana agli stranieri (e agli stessi barbari) e “la prioritaria difesa degli interessi della res publica” (p. 8).
Tutta la storia di Roma, dalla monarchia alla repubblica all’impero, è un frullato e un mix di popoli, razze e culture diverse. Ma l’armonia si fondò sulla forte identità culturale di Roma. “La nascita della civitas avviene secondo la tradizione con la costruzione delle mura. Nella narrazione degli antichi la costruzione delle mura viene prima dei templi, delle strade, degli acquedotti e delle case. La storicità delle mura romulee è stata dimostrata dagli scavi degli archeologi” (p. 8). Le mura, a ben pensarci, sono un vero segno di amore. Chi di noi vorrebbe una casa senza mura? Costruire delle mura di cinta, come si faceva per ogni città e borgo del Medioevo e della stessa età moderna, e perfino nei conventi, era un segno di amore e di cura per ciò che era contenuto nelle mura stesse. Le mura della città ci dicono che quello che circondano è importante, i cittadini contano qualcosa per chi presiede al bene comune. Non a caso, ricorda l’Autore, le mura vengono definite già dai romani antichi come sanctae: “Le cose sanctae sono divinae. Dunque è evidente un collegamento con il mondo religioso” (pp. 8-9). Ancora: “Le mura rispondono ad una esigenza di protezione e di differenziazione. Le mura difendono da predoni e invasori (…). Le mura rendono riconoscibile l’extraneus, cioè colui che sta al di fuori, e l’indigeno, cioè colui che è generato all’interno. Le mura dunque identificano e separano” (p. 9). Che bello e commovente nel mondo post moderno tutto liquidità, sottilità, confusione (perfino sessuale e naturale, oltre che etnica e sociale) questo elogio delle mura!
Eppure, senza nessuna contraddizione reale, “i Romani, a differenza di altri popoli antichi, hanno nel loro archetipo l’idea dell’unità della diversità. Roma nasce dall’incontro di popoli e culture differenti” (p. 10). L’intero libretto di Giuseppe Valditara ci dà numerosi esempi in tal senso: Lavinia che sposa il troiano Enea (uno straniero dunque) da cui nasceranno attraverso Silvio, Romolo e Remo (p. 11); il ratto delle sabine, ovvero di donne non-romane (p. 12); i sette re di Roma, con vari stranieri tra i re (Numa Pompilio sabino, Tarquinio Prisco etrusco, etc.); la prima opera letteraria in latino compilata dal greco Livio Andronico; Ennio, “il poetanazionale per eccellenza, era originario del Salento” (p. 15), Catullo veronese, Virgilio mantovano, Tito Livio padovano, etc. etc.
“Gli immigrati faranno fare a Roma un decisivo salto di qualità. La Roma latino-sabina era poco più che un villaggio di pastori e contadini. Saranno i re etruschi, portatori di una civiltà più evoluta, a darle le grandi mura, i grandi palazzi e i grandi templi” (p. 17). D’altra parte, come scrive Polibio, “i Romani sono più pronti di ogni altro popolo a mutare i costumi e adottarne di migliori” (p. 20). Ma allora, immigrazione sì o immigrazione no, si chiederà il lettore? Ebbene per Roma, esemplare anche in questo, non c’erano dubbi: tutto dipende dall’apporto degli stranieri. Infatti, “non tutto ciò che arrivasse dall’estero andava bene: solo ciò che rappresentava un miglioramento, non ciò che peggiorava la vita, le istituzioni, i rapporti sociali” (p. 23). Il criterio non fu mai, salvo alla fine (e ciò provocò l’anarchia), il diritto presunto dello straniero ad essere equiparato al cittadino – vera mostruosità logica e giuridica – ma il bene comune della patria, a volte avvalorato dallo straniero, a volte minato dal barbaro di turno.".
Che la civiltà dell'Impero Romano ebbe benefici dall'immigrazione fu vero solo in parte.
Gli stranieri portarono benefici a Roma fintanto che Roma aveva un'identità e quindi era capace di controllarne l'ingresso e di integrarli.
Purtroppo, nel tardo impero (precisamente dal III secolo AD in poi) l'impero non fu più in grado di fare ciò.
La sua storia si potrebbe paragonare a quella di un corpo umano che fintanto che ha un sistema immunitario forte resiste agli attacchi degli agenti eziologici di varie malattie.
Però, quando il suo stato di salute generale inizia ad essere cagionevole, ecco che le malattie colpiscono.
Nel suo periodo più tardo, Roma non ebbe più nemmeno un'identità ed andò in crisi.
Da una parte, l'espansione di Roma (un'espansione che non fu facile, visto anche che ci furono dei disastri come la sconfitta di Selva di Teutoburgo nel 9 AD) fece entrare in contatto i Romani con altre popolazioni, dall'altra ci fu l'immigrazione.
Finché Roma fu in grado di controllare ogni cosa tutto andò bene.
Quando perse il controllo iniziarono i problemi.
C'è chi accusa il Cristianesimo come causa del declino dell'Impero Romano.
In realtà, quando il Cristianesimo si affermò, l'Impero Romano era già in crisi profonda.
Il Cristianesimo era comunque parte dell'Impero Romano, visto che nacque in un territorio che era politicamente sotto la giurisdizione romana.
Con il Cristianesimo si salvò il salvabile.
Pensiamo ai monaci che copiarono e protessero nei loro monasteri le opere di Aristotele, Platone, Virgilio ed altri grandi autori classici.
Il Cristianesimo salvò la romanità sul piano culturale ma oramai il sistema politico romano era compromesso.
Per esempio, un imperatore aveva potere se aveva con sé l'esercito.
Gli imperatori diventavano tali con l'appoggio dell'esercito.
L'esercito era caduto in mano a generali di origini non romana, precisamente barbara.
Molti imperatori persero il loro potere per le mosse di questi generali.
Pensiamo al caso del Magister Militum Ricimero (405 AD-472 AD), un generale di origini barbare, metà svevo e metà visigoto, che fece il bello ed il cattivo tempo nell'Impero Romano d'Occidente.
La Roma dei Cesari si avviò al declino e crollò nel 476 AD, invasa da orde di barbari.
La Chiesa si adoperò ad evangelizzare i barbari e ad avvicinarli alla cultura romana, facendo rinascere la romanità nel Natale dell'800, con il Sacro Romano Impero di Carlo Magno.
Oggi, noi corriamo lo stesso rischio.
Anzi, rischiamo di finire peggio dei Romani del V secolo AD poiché questi ultimi ebbero dalla loro una Chiesa forte che ricostruì l'identità europea.
Oggi, noi non abbiamo neppure una Chiesa che sappia prendere le redini delle varie situazioni.
Anzi, la Chiesa di oggi non chiede (per esempio) che i Paesi islamici abbiano un atteggiamento di reciprocità riguardo ai luoghi di culto cristiani.
Mentre noi qui facciamo costruire le moschee, nei Paesi islamici non si riesce a fare costruire le chiese.
Questo buonismo ucciderà la nostra civiltà.
Cordiali saluti.
The Liberty Bell of Italy, una voce per chi difende la libertà...dalla politica alla cultura...come i nostri amici americani, i quali ebbero occasione di udire la celebre campana di Philadelphia nel 1776, quando fu letta la celeberrima Dichiarazione di Indipendenza. Questa è una voce per chi crede nei migliori valori della nostra cultura.
Il mio libro
Il mio libro
Il mio libro
Il mio libro
Il mio libro
Il mio libro
Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino
Il mio libro
Il mio libro
Il mio libro
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Translate
Il peggio della politica continua ad essere presente
Ringrazio un caro amico di questa foto.
Nessun commento:
Posta un commento