ieri ci sono state le elezioni in Australia.
Lo spoglio non è ancora finito ma il risultato è clamoroso.
Non c'è una chiara maggioranza.
Il Labour Party of Australia di Bill Shorten e la coalizione di centrodestra del primo ministro Malcolm Turnbull sono praticamente ad un testa a testa e ci sono ancora un po’ di seggi da assegnare: (16 su 150 alla Camera, 13 su 25 al Senato).
Gli ultimi sondaggi danno Turnbull – il quale è premier da soli dieci mesi – leggermente favorito, anche se la strana ondata di instabilità che ha colpito la politica australiana negli ultimi dieci anni potrebbe produrre qualche scossone rispetto alle previsioni.
Infatti, le elezioni del 2013 erano state vinte dal centrodestra, con Tony Abbott come leader.
Lo scarto sul contendente, il premier laburista Kevin Rudd, era di ben dieci punti.
Il governo di Abbott però non era durato molto: nel settembre del 2015 Abbott era stato sostituito da Malcolm Turnbull dopo una votazione interna ai liberali.
Questo è un meccanismo particolare presente in alcuni paesi del mondo, tra cui l’Australia e il Regno Unito, come abbiamo visto in questi giorni.
In pratica, avviene che l’incarico di capo del governo viene assegnato, salvo rare eccezioni, al leader del partito vincitore delle elezioni. Quando una corrente del partito ritiene che il leader non sia più adatto a ricoprire quel ruolo, o che non vincerebbe le successive elezioni, può chiedere un voto di “sfida” (leadership spill) con il quale un contendente può fare sfiduciare e mettere in minoranza il leader in carica, diventare il nuovo capo del partito e quindi anche il capo del governo.
E' quello che è successo con Abbott e Turnbull.
Qui in Italia, si era cercato di introdurre un meccanismo analogo nella riforma costituzionale che era stata bocciata con un referendum nel 2006.
Per sapere qualcosa di più dell'andamento delle elezioni australiane bisognerà attendere i prossimi giorni.
Comunque, che il prossimo governo australiano sia un governo di "grande coalizione".
Cordiali saluti.
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