Cari amici ed amiche,
leggete questo articolo che ho trovato sulla pagina di Facebook "Shalom 7":
"La lettera. Perché è giusto che Nirenstein rappresenti Israele in Italia
di Riccardo Pacifici, ex presidente Comunità ebraica di Roma *
(La Stampa, 10 settembre 2015)
Caro direttore, il dibattito che si è aperto nelle comunità ebraiche in merito alla designazione di Fiamma Nirenstein ad ambasciatore in Italia da parte del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ci offre lo spunto per comprendere e chiarire, una volta per tutte, il tema e, aggiungo io, l’infame pregiudizio che coinvolge ogni ebreo della Diaspora, sulla «doppia lealtà».
Mentre negli Stati Uniti, dove l’ostentazione in ogni Sinagoga delle bandiere americane e israeliane non hai mai sollevato alcun dubbio sul senso di appartenenza e fedeltà agli Stati Uniti d’America, in Italia ancora oggi dobbiamo giustificarci o chiarire quale è il nostro legame con Israele.
Spesso nell’esercizio delle mie attività istituzionali mi è capitato, e non ero il solo, di sentirmi dire (nella più totale buona fede da parte dell’interlocutore) che aveva incontrato il «vostro primo ministro» alludendo a un premier israeliano. La mia e nostra replica è stata sempre il «nostro primo ministro è lei», riferendoci a quello italiano di turno. Capisco quindi le perplessità e in alcuni casi le paure che la designazione di Fiamma Nirenstein possa creare nell’attuale dirigenza ebraica in Italia, a cominciare da quella del nostro rabbino capo, Riccardo Di Segni. Sono certo che nessuno possa aver posto «veti», anche perché sarebbe grave se dall’Italia un leader comunitario fosse in grado di determinare l’annullamento - o l’approvazione - di una decisone del governo israeliano. Sarebbe un fatto senza precedenti. Fiamma Nirenstein ama il nostro Paese e l’ha servito con tutto il cuore fino a divenire parlamentare di prestigio. Oggi da cittadina israeliana ha diritto come ogni nuovo immigrato di contribuire alla vita dello Stato e di fare ciò in cui può esprimersi al meglio, al pari di un medico e di un ricercatore. Oppure, come avviene con i giovani immigrati per i quali non vi è esonero, di fare il servizio militare. Sono certo che Nirenstein saprà rafforzare le relazioni di amicizia fra i nostri Paesi, proprio perché meglio di chiunque altro in Israele lo conosce. In bocca al lupo Fiamma. Fino al tuo arrivo lavoreremo insieme all’attuale ambasciatore Naor Gilon per unire e rafforzare l’amicizia fra Italia e Israele.".
In questo articolo (pubblicato sul quotidiano "La Stampa") ha parlato il dottor Riccardo Pacifici, presidente emerito della Comunità ebraica di Roma, il quale ha espresso un parere diverso rispetto ad altri membri della succitata comunità (come il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni) sulla nuova ambasciatrice israeliana in Italia, la dottoressa Fiamma Nirenstein.
Ora, io sono d'accordo con il dottor Pacifici.
Gli ambasciatori vanno scelti dal governo del Paese a cui appartengono non in base all'orientamento politico del Paese in cui dovranno andare a fare la loro opera di rappresentanza ma in base alla competenza e al merito.
Fiamma Nirenstein ha grandi competenze e grandi meriti.
Inoltre, da italo-israeliana e da persona che è stata parlamentare qui in Italia, ella conosce le istituzioni italiane.
Quindi, è perfettamente legittima questa scelta l premier israeliano Netanyahu.
Solo nei casi di seria inopportunità politica (come il caso dell'ambasciatore francese mandato alla Santa Sede, che era omosessuale) certe scelte possono essere contestate.
Questo non è il caso di Fiamma Nirenstein.
Ovviamente, non posso non riportare le parole del mio amico fraterno e socio Morris Sonnino, il quale da ebreo conservatore romano (che quindi conosce meglio di me la Comunità ebraica di Roma. e da italiano con cittadinanza israeliana si è espresso in questo modo:
"FERMO RESTANDO CHE IL SOTTOSCRITTO, SICURAMENTE, NON FA PARTE DI QUESTI EBREI, CHE CRITICANO UNA SCELTA CHE VIENE EFFETTUATA IN PIENA LEGITTIMITÀ, DA UNO STATO DEMOCRATICO COME ISRAELE, RITENGO PERÒ CHE UNA GUIDA SPIRITUALE, QUALE DOVREBBE ESSERE UN RABBINO CAPO DI UNA COMUNITÀ EBRAICA IMPORTANTE COME QUELLA DI ROMA, NON ABBIA ALCUN TIPO DI DIRITTO DI SINDACARE SCELTE, CHE SPETTANO AD ORGANI POLITICI.A FORTIORI, SE QUESTE DECISIONI PROVENGONO DA UNO STATO DIVERSO RISPETTO ALLA COMUNITÀ CHE RAPPRESENTA. UN RABBINO, SI DEVE OCCUPARE, SOLO DI QUESTIONI AFFERENTI ALLA SFERA RELIGIOSA, AL DIALOGO INTER RELIGIOSO O AI PROBLEMI SPIRITUALI DEI FEDELI. QUANDO TUTTO CIÒ VIENE A MANCARE, SI CREA UN CORTO CIRCUITO ALL'INTERNO DEL SISTEMA POLITICO -RELIGIOSO, PERCHÉ IL LEADER DI UNA COMUNITÀ RELIGIOSA, NON PUÒ TRASFORMARSI IN POLITICO PER OCCASIONI CONTINGENTI.
NON STUPIAMOCI POI, SE LE SINAGOGHE SI SVUOTANO. UN RABBINO, DEVE FARE IL RABBINO, ALTRIMENTI, AVREBBE POTUTO BENISSIMO CANDIDARSI IN POLITICA.".
Sono d'accordo con Morris.
Anzi, io penso che queste parole debbano valere anche per certi sacerdoti cattolici che hanno la "sindrome di Che Guevara o di abbé Gregoire".
Cordiali saluti.
The Liberty Bell of Italy, una voce per chi difende la libertà...dalla politica alla cultura...come i nostri amici americani, i quali ebbero occasione di udire la celebre campana di Philadelphia nel 1776, quando fu letta la celeberrima Dichiarazione di Indipendenza. Questa è una voce per chi crede nei migliori valori della nostra cultura.
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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino
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Il peggio della politica continua ad essere presente
Ringrazio un caro amico di questa foto.
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