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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

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domenica 8 marzo 2020

In Africa, la Chiesa non chiude

Porto all'attenzione un articolo scritto da Anna Bono su "La Nuova Bussola Quotidiana" che è intitolato "Coronavirus in Africa: le chiese aiutano, non chiudono".
Ne riporto questo stralcio:

"Infine, ma è il caso di dire last but not least, alla salute degli africani, sostituendosi ai governi del continente, provvedono le Chiese, i missionari, le associazioni di ispirazione cristiana diffusi su tutto il territorio africano: una presenza capillare, indispensabile, vitale.


È stato il Lacor Hospital di Gulu, nel nord dell’Uganda, fondato nel 1959 da un istituto missionario, a dimostrare che c’è speranza per chi si ammala di Ebola. Durante l’epidemia del 2000, mentre nel vicino ospedale governativo il tasso di mortalità sfiorava il 70%, al Lacor è stato inferiore al 40% grazie alla dedizione del personale medico e paramedico cattolico e anglicano, guidato dal dottor Matthew Lukwiya che, insieme a 14 altri dipendenti dell’ospedale, ha dato la vita per assistere e curare i malati senza lasciare niente di intentato.


Come tanti altri ospedali diretti da religiosi e missionari disseminati in tutto il continente, il Lacor, oggi è capace di accogliere oltre 250.000 pazienti all’anno, cura anche chi non può pagare ed è l’unica speranza per milioni di persone. Lo stesso fa il Chaaria Hospital, in Kenya, sotto la guida del medico del Cottolengo Beppe Gaido, unico presidio sanitario in un raggio di decine di chilometri, che assiste 65.000 persone all’anno. Non si contano poi gli ambulatori, i minuscoli centri sanitari missionari e parrocchiali che, oltre a prestare assistenza spesso in condizioni critiche, con mezzi sempre insufficienti, consentono di collegare i territori periferici ai grandi centri: una funzione indispensabile per individuare focolai di malattie e monitorare l’andamento delle epidemie.
In queste settimane inoltre, per fronteggiare il COVID-19, sono scese in campo anche le diocesi e le parrocchie. Mentre altrove la direttiva è sospendere Messe, funerali, Rosari per i morti, in Africa le cerimonie religiose si svolgono come di consueto, anche nei paesi già raggiunti dal coronavirus. La raccomandazione delle diocesi ai sacerdoti è dare la comunione nel palmo della mano, evitare lo scambio del segno di pace, togliere l’acqua benedetta. Solo si sospendono i pellegrinaggi e le processioni".

Ora,  qui da noi, le chiese chiudono.
Invece, in Africa, le chiese restano aperte, pur con certi accorgimenti.
Eppure, il Coronavirus è presente anche in Africa.
Forse, qualcuno dovrebbe farsi due domande. 
Qui si rischiamo davvero di perdere la nostra identità come popolo, oltre a vedere disfarsi la nostra coesione sociale.
La chiesa è il luogo in cui una comunità si riunisce.
Oggi, vedere le chiese vuote e chiuse è desolante.
Andare a messa non è solo un rito sacro (per chi, come me, crede) ma è anche un fatto di identità.
Infatti, la nostra identità si fonda anche sulla tradizione giudaico-cristiana.
Basti pensare ai grandi pensatori e uomini di cultura del passato, come Dante Alighieri, i quali furono impregnati (nel senso più nobile del termine) di tradizione cristiana. 
Questo è molto grave.
In Africa, la Chiesa cattolica (come le altre Chiese presenti) non chiude.
Anzi, coopera per fare informazione, anche attraverso la messa.
Inoltre, porta avanti altri opere.
Qui da noi, almeno qui in Lombardia e nelle zone "rosse", le chiese chiudono.
Ora, il Coronavirus c'è qui come in Africa.
Cambia solo l'atteggiamento.
Questo ci deve fare porre almeno due domande sulla condizione di questa Italia e di questa Europa. 





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Ringrazio l'amico Morris Sonnino di questo screemshot de "Il Corriere della Sera".