riprendo una lettera che tempo fa avevo scritto alla rivista cattolica "L'Eco di San Gabriele" :
Egregio padre,
ho letto la lettera di Filippo (L’Eco giugno 2014), il ragazzo che ha parlato del suo parroco che non vede di buon occhio internet e che non condivide questa sua posizione. Io penso che abbiano ragione entrambi. Certamente, la rete non può rimpiazzare la vita reale. La vera vita non si vive di fronte a un computer ma in mezzo alla gente. Tutti quei valori umani, come l’amicizia o la carità, si coltivano vivendola vita. Sarebbe preferibile che ciò accadesse. Anche l’evangelizzazione va fatta vivendo la vita. Tuttavia, non si può nemmeno demonizzare la rete, che se usata bene è una risorsa. La rete è uno strumento. La rete è uno strumento con cui portare avanti e fare conoscere delle idee, diffondere la cultura, denunciare dei problemi e anche iniziare amicizie e rapporti umani in generale. Internet è uno strumento valido per acquisire conoscenze. Per esempio, la rete può essere usata per imparare meglio le lingue straniere. Il problema vero non è la rete ma il modo in cui essa è usata. Io ho un profilo su Facebook. Molti usano il social network per giocare e per postare cose inutili. Ora, il gioco va bene ma internet non deve essere visto come un “grande gioco”. Io sono un blogger (il mio nuovo blog The Candelabra of Italy ed è in funzione dal 16 settembre 2013, dopo che dei trolls mi avevano danneggiato quello precedente, Italia e Mondo) e uso il social network per pubblicizzare i posts del mio blog, con cui cerco di guadagnarmi qualche soldo (attraverso le pubblicità), di fare cultura e di portare avanti le mie idee. Mi reputo un dilettante ma non nascondo la volontà di entrare nell’editoria. Questo perché vedo tanta gente che invece usa il social network per facezie e cose inutili o per scrivere delle baggianate. Questo è il male. Internet è diventato un “mare magnum” in cui si trova di tutto e di più. Ci sono cose utili e interessanti ma ci sono anche cose che sono inutili, se non dannose. Io penso che nelle scuole si debba insegnare l’informatica, perché bisogna “educare” i ragazzi a usare internet. Così si possono valorizzare le potenzialità della rete, che può essere usata anche per evangelizzare. Cordiali saluti.
Antonio Gabriele Fucilone
Antonio Gabriele Fucilone
Sfruculiando Facebook, noto tanta gente che pubblica cose che fa nella sua quotidianità.
Per esempio, vedo gente che pubblica posts come:
"Oggi mi sono alzato alle 6.00 e alle 8.00 sarò al lavoro"
o:
"Ho fatto colazione al bar con cornetto e cappuccino"
oppure:
"Tra un po' accenderò la lavatrice e farò il bucato".
Ora, io raramente pubblico su Facebook cose che riguardano la mia quotidianità.
Io ho sempre preferito pubblicare cose inerenti alla politica, alla cultura, a temi sociali, le poesie che compongo ed altro e non cose che riguardano la mia quotidianità.
Io sono su Facebook per fare networking.
Io penso che coloro che pubblicano cose inerenti alla propria vita lo facciano perché in fondo sono persone sole.
Oggi, noi ci troviamo di fronte ad un paradosso: noi possiamo interagire con persone che si trovano in capo al mondo ma non siamo una comunità.
Uno che, per esempio, abita a Mantova, può interloquire con una persona che abita a Canicattì o all'estero ma non riesce a fare altrettanto con chi abita nel proprio paese o dall'altra parte del pianerottolo di casa propria
Questa è la realtà dei fatti.
Questa situazione è aggravata dalla crisi, che ha incattivito le persone.
Questa crisi ha fatto emergere una situazione di "disgregazione sociale".
In poche parole, si sta affermando sempre più l'idea del pensare a sé stessi (che entro certi limiti va anche bene, dato che ognuno ha il diritto di potersi realizzare) anche a scapito della comunità.
Questa mentalità non si sta affermando solo nelle grosse città, come Milano, Roma o Napoli (ove "nessuno conosce nessuno") ma anche in piccoli centri, ove dovrebbe essere più radicato il senso della comunità.
Mi viene in mente il paese in cui abito, Roncoferraro, un paese della Provincia di Mantova.
Qui a Roncoferraro è venuta a vivere tanta gente da fuori (per esempio dalla città di Mantova) ma mancando punti di aggregazione ed un tessuto sociale capace di creare aggregazione, questa gente a Roncoferraro sta solo per mangiare e dormire. E' il classico "paese bed and breakfast".
Cito Roncoferraro, che è il paese in cui abito, ma ci sono tante realtà simili.
In poche parole, si sta affermando sempre più l'idea del pensare a sé stessi (che entro certi limiti va anche bene, dato che ognuno ha il diritto di potersi realizzare) anche a scapito della comunità.
Questa mentalità non si sta affermando solo nelle grosse città, come Milano, Roma o Napoli (ove "nessuno conosce nessuno") ma anche in piccoli centri, ove dovrebbe essere più radicato il senso della comunità.
Mi viene in mente il paese in cui abito, Roncoferraro, un paese della Provincia di Mantova.
Qui a Roncoferraro è venuta a vivere tanta gente da fuori (per esempio dalla città di Mantova) ma mancando punti di aggregazione ed un tessuto sociale capace di creare aggregazione, questa gente a Roncoferraro sta solo per mangiare e dormire. E' il classico "paese bed and breakfast".
Cito Roncoferraro, che è il paese in cui abito, ma ci sono tante realtà simili.
Noi ci troviamo di fronte ad una "disgregazione sociale".
Il fatto che oggi social network per condividere aspetti di vita privata è un segnale di ciò.
Cordiali saluti.
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