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Il mio libro, in collaborazione con Morris Sonnino

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giovedì 19 novembre 2015

Viaggio nell'Islam francese

Cari amici ed amiche,

l'amico e collaboratore Angelo Fazio mi ha portato all'attenzione questo editoriale della giornalista Catherine Field sul sito "Asia News":
"Nel 2010 ho intrapreso un viaggio nel tentativo di capire meglio la comunità musulmana qui, in Francia, e verificare, da una prospettiva giornalistica, il dialogo interreligioso. In un primo momento, questo viaggio sarebbe dovuto durare per cinque mesi. In realtà, continua ancora oggi. Ho vistato moschee, istituti culturali islamici e madrasse a Parigi e nei sobborghi per capire meglio il panorama religioso in Francia. All’inizio, mi sono unita a quattro sacerdoti e sette laici cattolici per ampliare la loro conoscenza dell’islam e coltivare il dialogo interreligioso.Una volta a settimana, il gruppo si è incontrato con imam, educatori e assistenti sociali, ciascuna parte impegnata nel tentativo di capire un po’ meglio l’altra. E ancora oggi, sono in contatto con i membri di questo gruppo. Oggi osservo la situazione da bordo campo, pur se resta l’attenzione nel guardare a come - nonostante la buona volontà - molto vi sia ancora da fare in Francia in tema di dialogo interreligioso e la strada sia ancora lunga da percorrere.
Osservare le comunità religiose della Francia più da vicino, vuol dire al contempo mettere a confronto fra loro due facce di un’unica medaglia, che rappresenta la vita e la società transalpine. Due comunità religiose che condividono lo stesso Paese, ma che solo di rado appaiono incontrarsi fra loro. Da un lato vi sono quanti appartengono alla maggioranza cristiana, confortati dalle loro antiche radici che affondano nella storia della Francia e che vantano un capitale culturale, sociale ed economico messo da parte nel corso del secoli. Dall’altro, vi sono i membri della religione islamica, seguiti da immigrati e dai loro discendenti, i quali crescono con molta più rapidità dei cattolici ma che mancano della fiducia, delle conoscenze di base e dei vantaggi della religione nativa.
Dietro questo tentativo di dialogo vi sono alcune figure autorevoli. Uno è Mohamed-Ali Bouharb, che nel 2005 è diventato il primo cappellano musulmano della Gendarmeria Nazionale, parte del ministero della Difesa. Nel suo lavoro quotidiano, Bouharb si scontra con i suoi superiori di grado dell’esercito, dovendo spiegare loro cose molto semplici quali le pratiche della fede, i suoi riti e la dieta; egli deve inoltre confrontarsi con soldati musulmani, che accettano controvoglia l’idea di andare a combattere in Afghanistan e nella regione del Sahel.
Un altro è Hubert de Charge, il quale ha trascorso più di dieci anni nel tentativo di avvicinare le comunità cattoliche e musulmane. Uomo calmo, gentile, affascinante di famiglia aristocratica, de Charge ha un fratello, cristiano, il quale era uno dei sette monaci cistercensi rapiti e uccisi in Algeria nel 1996. Le teste decapitate dei monaci sono state ritrovate, ma dei loro corpi si è persa ogni traccia.
A dispetto delle qualità di questi operatori del dialogo e costruttori di ponti, la realtà sembra sempre mettersi d’intralcio. Vi sono molti tentativi di dialogo, ma poco terreno comune sul quale confrontarsi, e le azioni solo in casi molto rari fanno seguito alle parole. Nessuna delle due parti in causa sembra voler cedere terreno, uscire dalla propria zona di conforto e di sicurezza.
Al riguardo, vi è una riunione in particolare che funge da esempio su quanto lavoro vi sia ancora da fare in questo ambito. Ho visitato una madrassa, un centro educativo e culturale islamico, nel fetido sobborgo di Saint Denis. Qui in questo contesto vi sono complessi abitativi enormi e scadenti - spuntati come funghi negli anni ’60 e ’70 per accogliere il flusso di manodopera a basso costo proveniente dal Nord Africa - sorti attorno ai resti di un’antica basilica, in cui sono sepolti i re e le regine di Francia.
La madrassa è situata in un complesso industriale costruito durante il “Glorioso trentennio” del boom economico di circa 50 anni fa, attraversato da un’autostrada a quattro corsie; una vera e propria terra di nessuno dove gli involucri dei cartoncini dei fast-food sono spazzati dal vento e anche i graffiti sui muri hanno l’aria stanca.
Durante un corso serale gli insegnanti spiegano a un gruppo di giovani musulmani sui vent’anni gli elementi peculiari della vita francese. Essi non parlano di libertà e di altri concetti importanti per gli intellettuali francesi, e nemmeno dell’arte e del cibo che stanno così a cuore ai bohémienne borghesi. Al contrario, essi parlano dell’elemento base nella lotta alla sopravvivenza: come fronteggiare la burocrazia al municipio. Le donne siedono da un lato della classe; gli uomini dall’altra.
Ho parlato a lungo con il vice-capo della madrassa, un uomo di origine algerina che pensavo diffidasse del “tokenism” [la pratica volta a garantire concessioni solo simboliche, ndr]. Egli ha trasmesso una lunga lista di problemi. E ha confermato che fino a quel momento non era stato fatto abbastanza per integrare i giovani musulmani all’interno della società francese. Al riguardo, egli ha dichiarato: “Voi francesi, non ci capite”. Le parole dell’eterno straniero incompreso
.".

Ringrazio Angelo.
Queste parole dimostrano che il modello di integrazione francese è fallito.
La Francia ha tolto i suoi simboli "in nome dell'integrazione" ma chi è venuto lì non si è integrato né ha accettato il modello francese ed occidentale.
Non solo la Francia non è stata in grado di integrare una larga fetta dei musulmani ma ha tagliato le sue radici culturali in nome del relativismo.
Cordiali saluti.

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Ringrazio un caro amico di questa foto.