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martedì 24 novembre 2015

"Se l’Is guarda a Oriente"-da Vatican Insider

Cari amici ed amiche,

leggete questo articolo che mi è stato portato all'attenzione dall'amico e socio Angelo Fazio.

L'articolo in questione è un testo preso dal sito "Vatican Insider" che è intitolato "Se l'Is guarda ad Oriente" e che riporta una stralcio del libro d Paolo Nicelli che è intitolato "L'Islam nel Sud Est Asiatico".
Questo è l'articolo:

"Nelle più o meno piccole formazioni radicali islamiche presenti negli stati asiatici «a Oriente del Profeta», sembra essere scattato, soprattutto dopo la strage di Parigi, un meccanismo di «emulazione» verso gli animatori del Califfato. D’altronde è assodato che i foreign fighters accolti in Siria e in Iraq provengono sì dall’Europa ma anche da paesi asiatici a maggioranza musulmana come Pakistan, Bangladesh, Malaysia e Indonesia, o da contesti dove esistono sostanziose minoranze islamiche (come India e Filippine).
L’Is ha computo un scelta strategica cercando alleanze in Oriente, in nome di quel «jihad globale» che, nell’ideologia islamista, dovrebbe accomunare tutti gli appartenenti alla «umma», la comunità islamica mondiale. Perché, se è vero che l’islam più noto è quello arabo e mediorientale (che, considerando anche il nord africa, supera i 320 milioni di fedeli), è invece quello oltre i confini del mondo arabo a detenere il primato demografico.
Considerando l’Asia del sud (paesi come Pakistan, India, Bangladesh), l’Asia centrale (le repubbliche ex sovietiche come Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan) e il sud-est asiatico (Malaysia e Indonesia in primis), si arriva, infatti, a circa 800 milioni di seguaci di Allah.
Partendo da queste solide basi religiose, lo Stato islamico ha lanciato ami per fare rete con i movimenti radicali, pur minoritari, presenti a livello locale. Dopo i primi risultati (con il flusso dei foreign fighters asiatici), è stata la volta degli «ambasciatori», inviati a diffondere in Oriente il virus delle idee militanti del Califfo e a reclutare nuovi combattenti.
È vero che il volto dell’islam asiatico è generalmente ben diverso da quello arabo: giunto tramite le rotte mercantili già nel secolo XIII, il credo islamico si è incrociato, in un graduale processo di osmosi, con culture e tradizioni locali, assumendo caratteristiche di moderazione e spiritualità (come quella sufi) tutt’altro che battagliere o radicali.
Negli ultimi decenni, però, predicatori mediorientali (da Arabia Saudita, Iran, Egitto, Turchia) hanno cercato di «rimodellare» quel volto, contribuendo a rigenerare fenomeni terroristici in Indonesia come nelle Filippine, in Pakistan come in Bangladesh.
Oggi se il gruppo dei «Bangsamoro Islamic Freedom Fighters» a Mindanao (Filippine) proclama di «ispirarsi all’Is» e lo stesso fa il gruppo «Ansarullah Bangla» in quel di Dacca, si comprende come l’allerta dei governi asiatici, in diverse nazioni, sia salito.
Secondo l'Institute for Policy Analysis of Conflict di Giacarta, i militanti che fanno la spola con Damasco e Baghdad potrebbero, infatti, rivitalizzare il terrorismo nostrano grazie a campagne di addestramento e indottrinamento mirate soprattutto ai giovani.
Sarebbe una sorta di «avvelenamento» del milieu musulmano asiatico, storicamente vissuto all’insegna di sani principi di convivenza multiculturale e multireligiosa.
Ma perché l’ideologia islamista attecchisce? Secondo gli osservatori, quelle che si vanno a risvegliare sono pulsioni sopite o sorpassate, che si richiamano agli antichi sultanati, esistenti nel sud-est asiatico prima dell’era coloniale. L’obiettivo dichiarato, allora, sarebbe quello di costituire il «Daulah islamiah Nusantara» (arcipelago dello stato islamico), moderno sultanato che comprenda Malesia, Indonesia, Singapore, il sud della Thailandia e delle Filippine, riunendo così i musulmani presenti in tutta l’area
."

Ringrazio Angelo.
Stando così le cose, noi ci troviamo davanti ad un altro fronte pericoloso, oltre al fronte nordafricano e a quello mediorientale?
Cordiali saluti.

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