su "Panorama" vi è un articolo di Claudio Martelli che è intitolato "Le porte girevoli dei magistrati".
Per il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati Eugenio Albamonte non vi è incompatibilità per chi da un tribunale passa alla politica e poi (magari) compie anche il tragitto inverso.
Anzi, con una demagogia che avrebbe fatto scuola anche a Beppe Grillo, in merito al caso di Augusto Minzolini che il Senato non ha fatto decadere, egli ha detto:
"Meglio che in Parlamento ci siano i magistrati anziché i condannati".
Mi stupisce che un magistrato come il dottor Albamonte ignori una cosa che è elementare e fondamentale di un sistema democratico occidentale.
Infatti, egli ignora che in uno Stato di diritto occidentale i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) sono separati.
Ergo, un magistrato vuole fare politica?
Bene! Egli può farlo ma deve abbandonare la magistratura.
Non è possibile che ci debba essere un caso come quello del governatore della Puglia Michele Emiliano, il quale fa il politico ma è ancora nella magistratura, nella quale si è messo in aspettativa.
Se fossi in Emiliano, io mi dimetterei dalla magistratura.
Ricordo che un magistrato è sì un cittadino come tanti altri che può votare ed avere delle sue opinioni.
Però, nella sua veste pubblica, il magistrato deve essere al di fuori della politica e non dare nemmeno l'idea di essere orientato.
Altrimenti, si fa un danno alla magistratura stessa.
Questo rapporto incestuoso tra magistratura e politica è anche un pericolo per la democrazia.
Cordiali saluti.
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