L'amico Filippo Giorgianni mi ha inoltrato attraverso Facebook questo testo intitolato "Due profili Santi da meditare per la nostra vita: i Martin e i Beltrame Quattrocchi (con qualche conclusione...)":
"Vita dei Beati Luigi e Zelia Martin, Genitori di Santa Teresa di Gesù Bambino:
Luigi e Zelia sono la prima coppia di coniugi cristiani non martiri che condividono la santità come famiglia. Hanno dato alla Chiesa la Patrona delle Missioni e il suo più giovane Dottore: Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo. Una coppia vera quella dei coniugi Martin “pietre vive e preziose scolpite dallo Spirito” per la Chiesa. Entrambi francesi, Luis Joseph Aloys Stanilas Martin nacque a Bordeaux il 22 agosto 1823, Zélie Guérin a Gandelain, sobborgo di Saint-Denis-sur-Sarthon nell’Orne il 23 dicembre 1831. Lui AVEVA DECISO di consacrarsi a Dio nell’ospizio del Gran San Bernardo, ma non riuscendo nello studio del latino era diventato un espertissimo orologiaio, anche se i suoi pensieri continuavano ad abitare il cielo e il suo cuore orientato a Dio. Lei VOLEVA diventare una Figlia della Carità, ma la Superiora di Alençon, senza mezzi termini, le aveva detto che quella NON erasicuramente la volontà di Dio. Aveva così iniziato a fare la merlettaia, ma il suo capolavoro continuava ad essere il suo silenzioso intreccio di preghiera e carità. I due si incontrarono nell’aprile 1858 sul ponte di Saint Leonard di Alençon: lì Zelia sente DISTINTAMENTE che questo, e NON altri, è l’uomo che è stato preparato per lei e ne è così convinta che lo sposa appena tre mesi dopo. Per Luigi e Zelia fu proprio il matrimonio la via ordinaria per raggiungere la santità e per questo sono stati dichiarati beati, andando così a fare singolare corona alla loro figlia già santa. Inizialmente orientano il matrimonio verso la verginità fisica e ci volle la guida di un prudente confessore per indirizzare entrambi verso il dono di se e per aprirli alla procreazione. Cominciano a nascere i figli, nove, ma solo cinque di essi raggiungono l’età adulta. Perché Luigi e Zelia conoscono le sofferenze e i lutti delle altre famiglie: la morte, in tenerissima età, di tre figli, tra cui i due maschi; l’improvvisa morte di Maria Elena a neppure sei anni; la grave malattia di Teresa, il tifo di Maria e il carattere difficile di Leonia. TUTTO ACCETTATO con una grande fede e con la consapevolezza ogni volta di aver “allevato un figlio per il cielo”. Delle altre famiglie condividono pure lo sforzo del lavoro quotidiano: Luigi nel suo laboratorio di orologiaio, Zelia nella sua azienda di merletti: lavori che assicurano alla famiglia una certa agiatezza, di cui tuttavia NON si fa sfoggio. In casa loro le figlie vengono educate “a non sprecare” e si insegna a fare del “di più” un dono agli altri. La carità concreta è quella che esse imparano,accompagnando mamma o papà di PORTA IN PORTA, di povero in povero. MessaQUOTIDIANA, confessione frequente, adorazioni NOTTURNE, attività parrocchiali, attenta osservanza del riposo festivo, ma soprattutto una “liturgia domestica” di cui Luigi e Zelia sono gli indiscussi celebranti, fatta di pie pratiche sì, ma anche di esami di coscienza sulle ginocchia di mamma e di catechismo imparato in braccio a papà. Zelia muore il 28 agosto 1877, a 45 anni, con l’ultima nata di appena 4 anni, portata via da un cancro al seno, prima sottovalutato e poi dichiarato inoperabile. Luigi muore il 29 luglio 1894, dopo un umiliante declino e causa dell’arteriosclerosi e di una progressiva paralisi. Prima ha, comunque, la gioia di donare tutte le 5 figlie al Signore, quattro nel Carmelo di Lisieux e una tra le Visitandine di Caen. Tra queste, Teresa che dice spesso “Il Signore mi ha dato due genitori più degni del cielo che della terra”. Lei, cui la Chiesa riconosce il merito di aver indicato la “piccola via” per raggiungere la santità, confessa candidamente di aver imparato la spiritualità del suo “sentierino” sulle ginocchia di mamma. “Pensando a papà penso naturalmente al buon Dio”, sussurra, mentre alle consorelle confida: “Non avevo che da guardare mio papà per sapere come pregano i santi”. Il 19 ottobre 2008 la Chiesa ha “messo la firma” sulla santità raggiunta da questa coppia non “malgrado il matrimonio”, ma proprio “grazie al matrimonio”. A portarli sull’altare, la guarigione, avvenuta nel 2002 a Milano, da una grave malformazione congenita, manco a farlo apposta, di un neonato.
Vita dei Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi:
Le nozze vengono celebrate nella Basilica di S. Maria Maggiore il 25 novembre 1905. L’anno seguente nasce il primo figlio, Filippo, seguito da Stefania (nel 1908), Cesare (1909) ed Enrichetta (1914). Crescendo abbracceranno tutti la vita religiosa: Filippo (don Tarcisio), sarà sacerdote diocesano, Stefania (suor Maria Cecilia), monaca benedettina, Cesare (padre Paolino), monaco trappista, ed Enrichetta, l’ultima nata, consacrata secolare. Ad eccezione di Stefania, scomparsa nel 1993, i fratelli sono ancora viventi e di veneranda età, attivi e lucidissimi nel far memoria della santità dei loro genitori, che furono sposi ed educatori davvero esemplari. Lui, Luigi, avvocato generale dello Stato, fu professionista stimato e integerrimo; lei, Maria, una scrittrice assai feconda di libri di carattere educativo. Entrambi avevano a cuore i problemi della società e della nazione: animatori dei gruppi del Movimento di Rinascita Cristiana, avevano aderito anche al Movimento “Per un mondo migliore” di P. Lombardi. Luigi fu amico di Don Sturzo e di Alcide De Gasperi; senza mai prendere una tessera di partito, esercitò l’apostolato nella testimonianza cristiana offerta nel proprio ambiente di lavoro, laicista e refrattario alla fede, nella profonda bontà che ebbe nel trattare con tutti, soprattutto i “lontani”, nella sollecitudine costante verso i bisognosi che bussavano quotidianamente alla loro porta di casa, in Via Depretis, sul colle Viminale. Lei, infermiera volontaria della Croce Rossa, durante le due guerre si prodigò instancabilmente per i soldati feriti; catechista attivissima per le donne del popolo nella parrocchia di S. Vitale, organizzò i corsi per fidanzati, autentica novità pastorale per quei tempi, quando il matrimonio veniva considerato come qualcosa di scontato, che non esigeva approfondimento né preparazione. Maria svolse anche un’intensa opera di apostolato con la penna, FECE PARTE DELL’AZIONE CATTOLICA e di ALTRE associazioni, appoggiò inoltre la nascita dell’Università Cattolica del S. Cuore, accanto a P. Agostino Gemelli e Armida Barelli, chiamata a far parte del Consiglio Centrale dell’Unione Femminile Cattolica Italiana come incaricata nazionale per la religione. Non è certo possibile riassumere in poche righe la straordinaria vicenda umana e spirituale dei coniugi Beltrame Quattrocchi. La loro esistenza di sposi fu un cammino di santità, un andare verso Dio attraverso l’amore del coniuge. Mezzo secolo di vita insieme, senza MAI un attimo di noia, di stanchezza, ma conservando SEMPRE il sapore continuo della novità. Il loro segreto? La preghiera. OGNI mattina a Messa insieme alla Basilica di S. Maria Maggiore, “usciti di chiesa mi dava il “buongiorno”, come se la giornata soltanto allora avesse il ragionevole inizio. Ed era vero…”, ricorda lei in Radiografia di un matrimonio, il suo libro-capolavoro. La recita serale del S. Rosario, l’adorazione NOTTURNA, la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù solennemente intronizzato al posto d’onore NELLA SALA DA PRANZO, e altre pie pratiche. Nel 1917 divennero terziarifrancescani e nel corso della loro vita non mancarono MAI di accompagnare gli ammalati, secondo le loro possibilità, a Loreto e a Lourdes col treno dell’UNITALSI, lui come barelliere, lei come infermiera e dama di compagnia. Il loro esempio, la loro profonda vita di fede, la pratica quotidiana del pregare in famiglia ebbero di certo i propri effetti sui figli, che si sentirono tutti e quattro chiamati dal Signore alla vita consacrata. Non senza ragione, perché “la famiglia che è aperta ai valori trascendenti, che serve i fratelli nella gioia, che adempie con generosa fedeltà i suoi compiti ed è consapevole della sua quotidiana partecipazione al mistero della Croce gloriosa di Cristo, diventa il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio”, (Familiaris Consortio, n. 53). Da questo terreno spirituale così fertile sono scaturite vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, che dimostrano quanto il matrimonio e la verginità, a partire dal comune radicamento nell’amore sponsale del Signore, siano intimamente collegati e si illuminino reciprocamente (Omelia di Benedetto XVI in occasione della beatificazione).
Testimonianza di padre Paolino Beltrame Quattrocchi:
Pur senza immaginare che un giorno sarebbero stati proclamati beati dalla Chiesa, posso sinceramente affermare che ho SEMPRE percepito la straordinarietà SPIRITUALE dei miei genitori. In casa si è sempre respirato un clima soprannaturale, sereno,gioioso, NON bigotto. QUALUNQUE questione si dovesse affrontare, il tipico modo di dire era che BISOGNAVA RISOLVERLA «DAL TETTO IN SU». Fra il papà e la mamma c’è stata come UNA GARA nella crescita spirituale. Lei è partita avvantaggiata, perché viveva già un’intensa esperienza di fede, mentre lui era certamente un brav’uomo, retto e onesto, ma non molto praticante. Nel corso della vita matrimoniale, con l’aiuto del loro direttore spirituale, anche lui si è messo a CORRERE ed entrambi sono giunti adALTE mete di spiritualità. Per dirne una: la mamma raccontava come, da quando avevano cominciato a partecipare quotidianamente alla Messa mattutina, il papà le diceva «buongiorno» all’uscita dalla chiesa, come se solo allora la giornata avesse inizio. Dal fitto carteggio che abbiamo ritrovato, emerge tutta l’intensità del loro amore. (…) E questo amore si trasfondeva sia all’interno sia all’esterno della famiglia, conl’accoglienza di amici di ogni idea e la condivisione con chi era nel bisogno. L’educazione alla fede, che ha portato tre di noi alla consacrazione, era il cibo quotidiano. Conservo ancora una Imitazione di Cristo che la mamma mi regalò quando avevo 10 anni con una dedica che tuttora mi fa venire i brividi: «Ricordati che Cristo si segue, se occorre, fino alla morte».
CONCLUSIONI:
Questo fanno i Santi. Ricapitoliamo: nonostante lavorassero come tutti, NON trovavano scuse e stanchezze, NON erano isolati, erano VIVI nella Chiesa, divisi in decine di pratiche ecclesiali (pie e “missionarie”), a partire dalla Messa OGNI GIORNO e dalla preghiera comunitaria in famiglia, e poi le associazioni e la preghiera d’adorazione eucaristica (anche di NOTTE! Ma noi il nostro sonno lo martoriamo? Lo faremmo mai di svegliarci per pregare la notte? Oppure ci sembra “pesante”, “esagerato”?); in loro si vedeva la santità, così tanto da trasmetterla visibilmente ai loro figli (che si sono tutti consacrati: segni, questi – vale a dire le consacrazioni nascenti in famiglia o nelle associazioni –, che la Chiesa vede e valuta sempre come indici di una fecondità spirituale che rivela santità di vita del gruppo di riferimento – famiglia o associazione –). E noi? E io? E tu? Cosa ci manca di quelle cose che facevano loro? Cosa ci trattiene e perché? Il nostro ambiente è veramente SERENO oppure è solo serenità di facciata pronta a implodere quando qualcosa non va? Traspare da noi uno stare perennemente in cielo visibile agli occhi, facendo e affrontando OGNI cosa (anche problemi...) pensandola sempre con l’anima “dal tetto in su”? E perché noi quelle cose NON le facciamo? Quali giustificazioni tutte UMANE portiamo? Non c’è tempo? C’è stanchezza? Non ce la facciamo? Non c’è voglia? C’è altro da fare? O forse ci sembrano queste cose esagerate e bigotte? Non è che forse, a differenza loro, SEMPLICEMENTE non vogliamo esser Santi e non chiediamo a Dio nella preghiera cosa LUI voglia da noi (bensì perseguiamo ciò che NOI vogliamo per noi, dandoci a metà, donandoci agli altri e a Dio finché ci va, ma mai del tutto, preferendo anteporre le nostre cose, i nostri interessi e svaghi, noi stessi agli altri)?".
Ringrazio quel genio di Filippo dello spunto.
Io penso che essere "santi" non sia "roba da preti e suore" ma credo che ogni cristiano sia chiamata alla santità.
Ora, voglio fare una riflessione più approfondita su questo testo.
Il mondo di oggi è strano.
Grazie ad internet, due persone possono dialogare pur stando a parecchi chilometri di distanza.
Eppure, oggi manca una vera socialità.
Lo vedo io, qui a Roncoferraro, in Provincia di Mantova.
Non c'è più una comunità.
I giovani se ne vanno e non fanno gruppo.
Mi ricordo che vent'anni fa, i giovani si trovavano e parlavano tra loro.
Oggi, invece, ci si saluta a malapena e magari si è "amici" su Facebook.
Addirittura, la Messa è frequentata solo dal 18% delle persone, nonostante i battezzati siano il 90%.
Il valore dell'amicizia e della socialità è stato così distrutto.
Il cristiano non deve muoversi solo in rete ma deve stare tra la gente.
Deve andare a Messa, deve parlare direttamente con la gente e, in ogni occasione, deve cercare di aiutare il prossimo.
Lo può fare attraverso il volontariato o la politica.
Io, per esempio, vado a Messa alla Casa di Riposo "Antonio Nuvolari".
Il brano del Vangelo che sarà letto nelle Messe di domenica (Vangelo secondo Luca, capitolo 10, versetti 38-42) casca a fagiolo:
Allora si fece avanti e disse: "Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". Ma il Signore le rispose: "Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta".".
Il cristiano deve essere un po' come Marta e un po' come Maria.
Cordiali saluti.
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